E tanti saluti a Gramsci

di Fausto Carioti

Compagni, addio. La musica è finita, gli amici se ne vanno e l’editore pure. La favola di Renato “Mani bucate” è terminata. Si è conclusa il 16 febbraio, assieme alla carriera politica dell’Obama di Sanluri, diventato all’improvviso il Trombato di Cagliari. Quello stesso giorno, si è scoperto ieri, è iniziata la storia di Soru “Mani di forbice”. Che, in attesa di vendere l’Unità a un nuovo proprietario, ha iniziato il “lavoro sporco”. Tagliando teste di giornalisti, riducendo la foliazione, decurtando le buste paga. È una storia prosaica, ma alquanto istruttiva. Soprattutto per chi è convinto che gli imprenditori di sinistra mettano gli ideali prima dei soldi.

Ovviamente non doveva andare così. Ora Soru giura di non voler lasciare la politica. Fa sapere che intende lavorare «alla nascita di un vero Partito democratico sardo». Ma quale Sardegna: lui doveva diventare il leader del Pd nazionale. Le elezioni isolane servivano da trampolino. Vinceva lì, e poi dopo qualche anno - o qualche mese, a seconda di quello che succedeva a Walter Veltroni - diventava segretario del partito. Come volevano i giornali di Carlo De Benedetti, che ce lo avevano fatto credere. Lui stesso parlava già da futuro leader del centrosinistra. «Dimostrerò che Berlusconi si può battere. Come ha fatto Prodi due volte», diceva all’Espresso. Capito? Mica come quel mollaccione di Veltroni. Proprio in vista del grande salto, a maggio si era comprato l’Unità. Con motivazioni ufficiali molto nobili: «Quando ho letto che il giornale di Antonio Gramsci era in vendita, mi sono detto che non era giusto che finisse nel tritacarne del mercato come un qualsiasi prodotto di consumo», spiegava.

Ma in Sardegna Soru è stato sconfitto dal figlio del commercialista di Silvio Berlusconi. Il che, come si può intuire, rende improponibile la sua candidatura, un domani, contro Berlusconi stesso. Insomma, addio sogni di gloria. Con un grande avvenire dietro le spalle, Soru, a questo punto, ha un problema serio: che fare dell’Unità? Perché come investimento economico non ha senso. Specie in tempi come questi, con gli investitori pubblicitari che fuggono. Certo, il suo doveva essere un investimento politico, ma si è visto come è andata. E allora? Allora, alla prima occasione buona, Soru decide di sfilarsi.

Venerdì i suoi uomini presentano un piano di ristrutturazione che, secondo il comunicato pubblicato ieri dai redattori dell’Unità, «compromette il giornale e le sue prospettive di sviluppo, l’occupazione, i livelli salariali e la professionalità dei giornalisti, colpendo in modo particolare il precariato». Dalla redazione fanno sapere che l’editore ha chiesto un taglio degli stipendi del 40%, la chiusura di tutte le redazioni locali, la riduzione delle pagine e della diffusione. Oltre a molti prepensionamenti. Non è chiaro se la voce “razionalizzazione dei costi” comprenda anche l’addio ad alcuni collaboratori illustri, come Marco Travaglio e l’ex direttore Furio Colombo. Se non si faranno questi tagli, l’amministratore delegato è pronto a portare i libri dell’Unità in tribunale entro un mese.

L’editore ha i suoi motivi. L’Unità ha chiuso il 2009 in rosso di quasi 8 milioni di euro. Per rimettersi in carreggiata servirebbe una ricapitalizzazione tra i 4 e i 6 milioni. Solo che Soru conosceva benissimo la situazione del giornale. Al momento dell’acquisto aveva staccato un assegno da 2 milioni, ma in redazione davano per scontato che ne avrebbe messi altri quanto prima. Per questo la comunicazione dell’editore è stata una doccia fredda: per i giornalisti dell’Unità, che hanno annunciato cinque giorni di sciopero; per lo stesso direttore voluto da Soru, Concita De Gregorio; per lo stato maggiore dei Ds, che bene o male continua a seguire le sorti del giornale.

Facile leggere dietro al rifiuto di ricapitalizzare l’Unità una grande voglia di fuga. Lo stesso amministratore delegato della società editrice, Antonio Saracino, ha fatto capire al comitato di redazione che Soru, appena si presenta un acquirente con i soldi in bocca, è pronto a passare la mano. Mister Tiscali, del resto, è solo uno dei tanti ridotti a corto di liquidità dalla crisi finanziaria. Per mettere il giornale sul mercato, però, bisogna prima pulire i conti. E così, accetta rossa in mano, Soru si accinge a potare stipendi e posti di lavoro. Proprio come avviene per «un qualsiasi prodotto di consumo». Alla prova dei fatti, colui che doveva essere il primo dei progressisti non pare molto diverso dall’ultimo degli squali. Con tanti saluti a Gramsci.

© Libero. Pubblicato il 1 marzo 2009.

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