Quando il populista sta al Quirinale

di Fausto Carioti

Il percorso del disegno di legge salva-Eluana, ricalcato da Silvio Berlusconi sul decreto bocciato da Giorgio Napolitano, appare ben definito, e i tempi della sua approvazione potrebbero davvero essere rapidi come vuole il premier. Ma questo, anziché abbassare la tensione tra il Quirinale e palazzo Chigi, sta producendo l’effetto opposto. Il presidente della repubblica, ieri, ha fatto una di quelle cose da cui uno col suo incarico dovrebbe astenersi: si è appellato direttamente alla piazza, contro il governo. «Conto sulla fiducia e sulla comprensione dei cittadini», ha detto Napolitano, cercando nella pubblica opinione quei consensi che non gli hanno dato i principali costituzionalisti, incluso l’ex presidente della Consulta Antonio Baldassarre, secondo i quali l’operato di Napolitano nei confronti dell’esecutivo è stato contrario alla Costituzione.

Proprio ieri il direttore di Repubblica, Ezio Mauro, aveva scritto quello che a sinistra dicono in tanti, ovvero che Berlusconi sta usando la vicenda di Eluana in modo strumentale: della povera ragazza, al presidente del consiglio, non frega nulla, ciò che gli interessa è solo umiliare il Quirinale, spinto com’è dal suo «istinto populista». Una tesi smentita poche ore dopo da un sondaggio apparso sul sito web dello stesso quotidiano, secondo il quale il 61% degli italiani sta con la famiglia Englaro, e quindi con Napolitano. E non è che Berlusconi non lo sapesse: i numeri che girano nei sondaggi sull’eutanasia sono gli stessi da anni, e il premier li conosce a menadito. Sa pure che l’elettorato di Forza Italia e del PdL, sull’argomento, è diviso. I suoi avversari si mettano il cuore in pace: stavolta il Cavaliere non ha agito spinto dalla ricerca del consenso, ma perché convinto di fare la cosa giusta. Ovviamente, ora che il «populismo» si è messo a farlo Napolitano, riusciranno a dirci che il suo appello alla piazza è ispirato dalla voglia di portare stabilità in un Paese minato dalla irresponsabilità del premier. Tanto, qualche bieco secondo fine da imputare a Berlusconi si trova sempre.

Il presidente del consiglio non ha alcuna intenzione di abbozzare, ma almeno si muove secondo i canali istituzionali. Così fa sapere che intende «riflettere» se sia necessario modificare una Costituzione ispirata da forze politiche ideologizzate e innamorate del modello sovietico. Ogni riferimento al Partito comunista italiano, nel quale il compagno Napolitano ha militato per mezzo secolo, è puramente casuale. Se sistema presidenziale deve essere, è il ragionamento di Berlusconi, che lo sia sino in fondo e premi chi i voti li ha davvero. Cioè lui. Ma cambiare la Costituzione non è come far approvare il disegno di legge per Eluana (operazione peraltro delicatissima) e l’aria che si respira tra i poli non invita certo alle larghe intese. Comunque, è un progetto a scadenza molto lunga. Adesso, sull’agenda della politica, c’è solo la vicenda Englaro.

Se tutto andrà come Berlusconi spera, tra pochi giorni Napolitano si troverà davanti, sotto forma di disegno di legge approvato dalle Camere, lo stesso testo che si era rifiutato di firmare venerdì. A questo punto Napolitano avrebbe davanti due strade: ingoiare il rospo e mettere subito la firma, oppure rinviare il testo alle Camere, come gli consente di fare la Costituzione. Ma, tempo poche ore, il provvedimento sarebbe di nuovo sulla sua scrivania, e stavolta il presidente della repubblica sarebbe costretto a siglarlo. Nel primo caso per il Quirinale sarebbe una semplice sconfitta, nel secondo una vera catastrofe. Per questo, nella maggioranza, si dà per scontato che promulghi il testo appena le Camere glielo invieranno.

Anche perché sembra esserci ancora un confine oltre il quale il presidente della repubblica e il premier non intendono spingersi. Il più prudente appare proprio Berlusconi. Nelle ultime ore Napolitano è uscito dal seminato e ha calpestato le prerogative del governo almeno due volte. Prima quando ha inviato una lettera al consiglio dei ministri mentre era in corso, per condizionarne l’attività. E dopo quando si è rifiutato di firmare il decreto, che in base alla Costituzione è responsabilità del solo esecutivo. Eppure, malgrado abbia la maggioranza assoluta dei parlamentari, Berlusconi ha subito assicurato che a mettere in stato d’accusa il presidente della repubblica non ci pensa nemmeno. Né ha alcuna intenzione di dare retta a Francesco Cossiga, che lo invita a reagire allo sgarbo dimettendosi e dichiarando così guerra al Quirinale.

Ovvio, uno dei due è destinato a uscire da questo conflitto con le ossa rotte. Ma, finché quell’ultimo limite non sarà superato, né Napolitano né Berlusconi correranno il rischio di perdere la poltrona. Rimarranno lì, al loro posto, detestandosi più di prima.

© Libero. Pubblicato l'8 febbraio 2009.

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