Amnesty e la lagna dell'Italia razzista

di Fausto Carioti

Ogni nuova norma sull’immigrazione diventa il ritorno delle leggi razziali, ogni clandestino fatto espatriare è l’inizio di una nuova shoah, ogni anno per colpa dell’uomo si estingue qualche migliaio di specie animali, viene distrutto un quarto della foresta amazzonica e si avvicina di qualche decennio lo scioglimento delle calotte polari. È il grande problema delle associazioni umanitarie ed ecologiste: per dare senso alla loro esistenza, per mobilitare le coscienze e raccogliere finanziamenti e consensi, devono sempre gridare che è in atto qualche tragedia incommensurabile, più grave della precedente. La cosa buona di certe sparate è che nessuno le prende più sul serio. Tranne chi ha bisogno di strumentalizzarle, s’intende. Succede anche alle organizzazioni più note. Ieri, ad esempio, c’è ricaduta Amnesty International, già ribattezzata «Amnesy International» per la facilità con cui dimentica le travi nell’occhio dei peggiori regimi e indugia sulle pagliuzze delle democrazie. Per capirsi: il rapporto 2008 di questa organizzazione dedica poco più di una paginetta alla Cuba dei fratelli Castro e ben due pagine e mezza al nostro Paese. Insomma, il portavoce di Amnesty Italia ieri ha detto di avere la «sensazione» che nel nostro Paese sia in atto «una deriva politica e di parte dei mezzi di informazione orientata verso discriminazione, xenofobia e razzismo». La stessa cosa, ha aggiunto, sosterrebbero non meglio precisati «organismi internazionali ed europei».

È chiaro che, se c’è bisogno di aggrapparsi alle «sensazioni», di concreto, dietro al ritornello dell’Italia xenofoba e razzista, c’è poco o niente. Se l’Italia ha un problema con l’immigrazione, è quello di avere aperto le porte troppo in fretta a tutti, senza avere alcuna strategia per l’accoglienza. Nel 2008 gli immigrati residenti in Italia hanno superato il numero di tre milioni e mezzo, e sono diventati il 6% della popolazione. Sono più che raddoppiati nel giro di cinque anni: nel 2003 il loro numero era di poco superiore agli 1,5 milioni. Tra loro c’è di tutto: brava gente ansiosa di lavorare e delinquenti della peggiore specie, una parte dei quali è già finita in prigione e rappresenta il 37% della popolazione carceraria.

Per anni la classe politica si è limitata a sperare che le cose si mettessero a posto da sole. A farle quadrare ci avrebbe pensato il multiculturalismo: più culture, più religioni diverse tra loro, costrette a convivere assieme, avrebbero prodotto, per qualche curioso motivo, qualcosa di nuovo, unico e bello. Come gli ingredienti di un piatto di cucina “fusion”. Non è andata così, e a rimetterci ora sono sia gli italiani sia gli immigrati che hanno voglia di inserirsi e non trovano un modello di cittadinanza che li attenda. A differenza di quanto avviene, ad esempio, negli Stati Uniti, che restano il migliore esempio di assimilazione dei nuovi arrivati.

Il risultato è un Paese in cui la grandissima parte degli immigrati sono, al tempo stesso, male integrati e troppo aiutati. Male integrati perché, anche se hanno ottenuto la cittadinanza, non si sentono italiani, non conoscono la storia, la cultura e la lingua del Paese che li ospita e quasi sempre vivono in quartieri-ghetto assieme ai loro connazionali. Troppo aiutati perché nessun Paese europeo, negli ultimi anni, li ha fatti entrare così facilmente come l’Italia. Perché negli asili pubblici i loro figli spesso hanno la precedenza sui figli degli italiani. Perché in tante scuole statali ormai otto alunni su dieci sono stranieri, così in classe non si parla più italiano e le famiglie italiane sono costrette a iscrivere altrove i loro figli. Perché sono agevolati da tante amministrazioni locali, anche economicamente, per avviare piccole attività d’impresa che fanno concorrenza sleale agli italiani. Perché sono lasciati liberi di fare cerimonie religiose davanti alle nostre basiliche, di manifestare bruciando la bandiera dello Stato di Israele e di gridare slogan antisemiti.

E mentre si gettavano le basi per creare questo sfascio, le associazioni per la difesa dei diritti umani non capivano che la politica delle porte spalancate avrebbe presto aumentato il tasso di criminalità degli immigrati, creato insicurezza nella popolazione italiana e costretto i governi, in modo goffo e talvolta brutale, ad abbozzare un giro di vite. Al contrario: Amnesty International e le altre chiedevano allo Stato un atteggiamento ancora più lassista. Che avrebbe prodotto mostri ancora più grandi. E fatto gridare al razzismo e alla xenofobia con molta più ragione di quanto viene fatto adesso.

© Libero. Pubblicato il 12 febbraio 2009.

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