La favola di San Soru Martire
di Fausto Carioti
Antonio Gramsci, che l’Unità la fondò nel 1924, scriveva che «dire la verità è un’azione rivoluzionaria». Ma Concita De Gregorio, che l’Unità la dirige oggi, è una signora tranquilla che a fare la rivoluzione manco ci pensa, e così si accontenta delle mezze verità. Anche di meno, se serve. Nell’editoriale di ieri, ad esempio, con tono soave e modi decisi, si è presa la bega di difendere il suo editore, Renato Soru, appena raso al suolo dal figlio del commercialista di Silvio Berlusconi, Ugo Cappellacci. Alle elezioni regionali sarde il Pd ha ottenuto il 24% dei voti (alle politiche, un anno fa, aveva preso il 36%), tanto da costringere Walter Veltroni alle dimissioni. Di chi la colpa? Per il direttore dell’Unità la risposta è facile: di tutti, tranne che di Soru.
Intanto, c’è un colpevole buono per tutte le stagioni. Soru, scrive la De Gregorio, «è rimasto vittima dello strapotere mediatico ed economico del premier». Come alibi, però, se ne sono visti di migliori. Intanto Soru non è proprio l’ultimo dei poverelli, visto che il suo venti per cento di azioni Tiscali, anche con la Borsa che va malissimo, vale comunque una cinquantina di milioni di euro. E pure dal punto di vista mediatico è tutt’altro che uno sprovveduto, perché non solo controlla l’Unità e ha una sua televisione digitale, ma ha potuto contare anche sui giornali del gruppo di Carlo De Benedetti: Repubblica, l’Espresso e il quotidiano locale La Nuova Sardegna. L’Ingegnere teneva all’amicizia con il governatore sardo sia per questioni di business, sia perché aveva puntato su di lui come possibile leader del centrosinistra nazionale (a De Benedetti, come noto, piace molto giocare al demiurgo).
Insomma, lo «strapotere» di Berlusconi non basta a spiegare il massacro avvenuto a Perdas de Fogu e dintorni. La De Gregorio lo sa benissimo, e infatti scrive che Soru «è rimasto vittima anche della trappola del suo stesso partito. Quello che aveva apertamente sfidato e che nelle province rosse è arrivato a esercitare il voto disgiunto contro di lui». Una vendetta barbaricina «che chi poteva non ha voluto o saputo evitare».
Ora, che Veltroni sia uno sprovveduto e che il Pd sia un covo di vipere è roba nota, anche se leggerlo sull’Unità fa sempre un certo effetto. Ma la favoletta di San Soru Martire, vittima delle cattiverie del mondo e mandato a morire da Veltroni, è solo una parte della storia. C’è da raccontarne l’altra metà abbondante. Questa, sì, rivoluzionaria per l’Unità. È la storia di Soru, politico ostinato e imbranato, artefice della propria disfatta e coautore di quella di Veltroni. Un racconto che inizia a metà dicembre, quando il segretario del Pd, terrorizzato dai sondaggi, avverte Soru che andare a elezioni anticipate in Sardegna rischia di fare male a tutti e due. Per farlo desistere, gli offre il suo appoggio totale contro quella parte del Pd locale ai ferri corti con il fondatore di Tiscali. Ma il governatore, fregandosene dei sondaggi e dell’esito che il suo gesto potrà avere nei confronti di Veltroni, decide di dimettersi e andare al voto a metà febbraio.
Un gesto che i sardi, però, non riescono a capire. Tanto che il 33% di loro deciderà di non andare a votare (nel 2004 gli astenuti erano stati il 29%). In compenso il suo avversario è assai debole, e lo dimostrerà lo scarto di cinque punti tra i voti presi da lui e quelli ottenuti dalla sua coalizione. Eppure, Soru riesce a perdere sotto tutti i punti di vista: lascia a Cappellacci la maggioranza assoluta degli elettori, si fa distanziare di 80mila voti, rovina se stesso - perché dopo questa prova non avrà più alcuna chance di diventare un leader nazionale - e dà il colpo di grazia a Veltroni. Il quale, dopo aver perso le elezioni politiche dello scorso aprile, le regionali del Friuli-Venezia Giulia, le comunali romane, le provinciali siciliane e le regionali abruzzesi, può completare il suo Grande Slam con la batosta sarda. Ma l’amore è cieco e la De Gregorio riesce a scrivere che Soru ha avuto comunque «un successo personale molto alto». Chissà se perdeva come andava a finire.
© Libero. Pubblicato il 18 febbraio 2009.
Antonio Gramsci, che l’Unità la fondò nel 1924, scriveva che «dire la verità è un’azione rivoluzionaria». Ma Concita De Gregorio, che l’Unità la dirige oggi, è una signora tranquilla che a fare la rivoluzione manco ci pensa, e così si accontenta delle mezze verità. Anche di meno, se serve. Nell’editoriale di ieri, ad esempio, con tono soave e modi decisi, si è presa la bega di difendere il suo editore, Renato Soru, appena raso al suolo dal figlio del commercialista di Silvio Berlusconi, Ugo Cappellacci. Alle elezioni regionali sarde il Pd ha ottenuto il 24% dei voti (alle politiche, un anno fa, aveva preso il 36%), tanto da costringere Walter Veltroni alle dimissioni. Di chi la colpa? Per il direttore dell’Unità la risposta è facile: di tutti, tranne che di Soru.
Intanto, c’è un colpevole buono per tutte le stagioni. Soru, scrive la De Gregorio, «è rimasto vittima dello strapotere mediatico ed economico del premier». Come alibi, però, se ne sono visti di migliori. Intanto Soru non è proprio l’ultimo dei poverelli, visto che il suo venti per cento di azioni Tiscali, anche con la Borsa che va malissimo, vale comunque una cinquantina di milioni di euro. E pure dal punto di vista mediatico è tutt’altro che uno sprovveduto, perché non solo controlla l’Unità e ha una sua televisione digitale, ma ha potuto contare anche sui giornali del gruppo di Carlo De Benedetti: Repubblica, l’Espresso e il quotidiano locale La Nuova Sardegna. L’Ingegnere teneva all’amicizia con il governatore sardo sia per questioni di business, sia perché aveva puntato su di lui come possibile leader del centrosinistra nazionale (a De Benedetti, come noto, piace molto giocare al demiurgo).
Insomma, lo «strapotere» di Berlusconi non basta a spiegare il massacro avvenuto a Perdas de Fogu e dintorni. La De Gregorio lo sa benissimo, e infatti scrive che Soru «è rimasto vittima anche della trappola del suo stesso partito. Quello che aveva apertamente sfidato e che nelle province rosse è arrivato a esercitare il voto disgiunto contro di lui». Una vendetta barbaricina «che chi poteva non ha voluto o saputo evitare».
Ora, che Veltroni sia uno sprovveduto e che il Pd sia un covo di vipere è roba nota, anche se leggerlo sull’Unità fa sempre un certo effetto. Ma la favoletta di San Soru Martire, vittima delle cattiverie del mondo e mandato a morire da Veltroni, è solo una parte della storia. C’è da raccontarne l’altra metà abbondante. Questa, sì, rivoluzionaria per l’Unità. È la storia di Soru, politico ostinato e imbranato, artefice della propria disfatta e coautore di quella di Veltroni. Un racconto che inizia a metà dicembre, quando il segretario del Pd, terrorizzato dai sondaggi, avverte Soru che andare a elezioni anticipate in Sardegna rischia di fare male a tutti e due. Per farlo desistere, gli offre il suo appoggio totale contro quella parte del Pd locale ai ferri corti con il fondatore di Tiscali. Ma il governatore, fregandosene dei sondaggi e dell’esito che il suo gesto potrà avere nei confronti di Veltroni, decide di dimettersi e andare al voto a metà febbraio.
Un gesto che i sardi, però, non riescono a capire. Tanto che il 33% di loro deciderà di non andare a votare (nel 2004 gli astenuti erano stati il 29%). In compenso il suo avversario è assai debole, e lo dimostrerà lo scarto di cinque punti tra i voti presi da lui e quelli ottenuti dalla sua coalizione. Eppure, Soru riesce a perdere sotto tutti i punti di vista: lascia a Cappellacci la maggioranza assoluta degli elettori, si fa distanziare di 80mila voti, rovina se stesso - perché dopo questa prova non avrà più alcuna chance di diventare un leader nazionale - e dà il colpo di grazia a Veltroni. Il quale, dopo aver perso le elezioni politiche dello scorso aprile, le regionali del Friuli-Venezia Giulia, le comunali romane, le provinciali siciliane e le regionali abruzzesi, può completare il suo Grande Slam con la batosta sarda. Ma l’amore è cieco e la De Gregorio riesce a scrivere che Soru ha avuto comunque «un successo personale molto alto». Chissà se perdeva come andava a finire.
© Libero. Pubblicato il 18 febbraio 2009.