Ma sulla sicurezza il governo non può sbagliare

di Fausto Carioti

Va bene che l’opposizione non esiste, e questo dà modo a chi sta al governo di fare più o meno ciò che vuole. Però gli elettori tengono gli occhi puntati sull’esecutivo, dal quale si attendono molto, soprattutto in materia di sicurezza. Nessuno ha scordato la lunga scia di sangue prodotta dall’indulto, voluto nel 2006 dal governo Prodi e votato anche da Forza Italia e Udc. Ecco perché il centrodestra farebbe bene a pensarci due volte, e ad adottare ogni cautela possibile, prima di varare nuove misure “svuotacarceri”, come quelle annunciate dal ministro della Giustizia, Angelino Alfano. Anche perché chi ad aprile ha votato per il PdL e la Lega lo ha fatto con l’intenzione di mettere i delinquenti in prigione, non di tirarli fuori. Tra i punti del programma con cui Silvio Berlusconi ha stravinto le elezioni si leggeva: «Costruzione di nuove carceri e apertura delle strutture penitenziarie già realizzate ma non ancora attive». Niente di strano, quindi, se gli elettori del centrodestra si mostrano perplessi davanti agli annunci di queste ore.

Alfano ha spiegato che è necessario intervenire proprio perché «l’indulto ha fallito e dopo due anni ci troviamo nuovamente con le carceri piene». In base al suo progetto, 4.100 detenuti uscirebbero di prigione per scontare il resto della pena agli arresti domiciliari, controllati grazie a un braccialetto elettronico che, se provano a scappare, fa scattare l’allarme nel commissariato più vicino. Altri 3.300 detenuti, stavolta stranieri, sarebbero invece rispediti al loro Paese, dove finirebbero di scontare la pena inflitta dai tribunali italiani. Il risultato sarebbero 7.400 delinquenti in meno nelle nostre carceri, con conseguente risparmio per i contribuenti. Gli intenti di Alfano, insomma, sono lodevoli.

Ma le cose, in realtà, sono più complicate di come possano sembrare a prima vista. Ci ha pensato Roberto Maroni, ministro dell’Interno, a farlo notare. E se i dubbi dell’esponente del Carroccio possono essere dovuti anche a quello smarcamento della Lega dal resto della maggioranza, che ci accompagnerà sino alle elezioni europee, lo stesso non si può dire per le perplessità espresse dai poliziotti, la cui esperienza sul campo va tenuta in considerazione.

I braccialetti elettronici, innanzitutto. Al momento, l’unica certezza è che hanno fallito. Furono introdotti in Italia da un decreto del governo Amato convertito in legge nel 2001. Nel 2003 ne furono presi 400 esemplari, per il cui uso lo Stato paga 11 milioni di euro l’anno, grazie a un contratto con Telecom che scadrà nel 2011. In realtà, gli apparecchi sono inutilizzati già dal 2005. I problemi tecnici, dovuti alle difficoltà di “comunicazione” del bracciale con la centralina telefonica collegata con la sede operativa della polizia o dei carabinieri, non si contavano. E il lavoro degli agenti non fu in alcun modo facilitato. Soldi buttati, insomma. Il braccialetto elettronico che ha in mente adesso il ministro è di una generazione successiva, e dovrebbe dare più garanzie. È indispensabile però che i miglioramenti tecnologici comportino una riduzione dei costi, non un loro aumento. I poliziotti ci vanno molto cauti e chiedono al governo di pensarci bene. «Non vorremmo che queste novità comportino un aggravio di lavoro per il personale in divisa, che è già carente», avverte il portavoce nazionale del Sindacato autonomo di polizia, Massimo Montebove. «I commissariati già hanno poche pattuglie, e sarebbe impossibile mandare gli agenti a controllare, anche un solo giorno su due, il detenuto che sconta gli arresti domiciliari con il braccialetto».

Pure il rimpatrio dei carcerati stranieri merita grande cautela. L’operazione prevede che l’Italia prenda accordi bilaterali con i Paesi da cui provengono più delinquenti. Da soli quattro Stati - Marocco, Romania, Albania e Tunisia - arriva il 59% dei 20.600 stranieri presenti nelle carceri italiane, e quindi un’intesa con i governi di queste nazioni potrebbe garantire un bel po’ di sollievo per le casse dello Stato. Va da sé che a Rabat e Bucarest non smaniano per riprendersi borseggiatori, spacciatori e tagliagole, e accetterebbero di farlo solo dietro pagamento. Però, conti alla mano, i margini per un accordo ci sono. Un detenuto nelle carceri italiane costa al contribuente, in media, 250 euro al giorno. In teoria, girare una quota di questi soldi al governo straniero disposto a far scontare al carcerato la fine della pena nelle sue prigioni dovrebbe convenire a tutti. Il problema è che gli Stati in questione ci hanno già dimostrato di essere partner poco affidabili in materia d’immigrazione, che tendono a giocare al rialzo e a non mantenere gli impegni. Insomma, rispedire i delinquenti stranieri nelle prigioni di casa loro è una gran bella idea, ma è necessario che il governo italiano riesca a non farsi prendere in giro.

Di sicuro, qualunque strada si prenda e nonostante la penuria di soldi nelle casse pubbliche, è indispensabile far entrare in funzione quanto prima nuovi penitenziari. Perché quelli attuali sono sovraffollati e in condizioni indecenti, perché l’immigrazione da dentro e fuori l’Unione europea sta portando in Italia più delinquenti di quanti se ne potessero prevedere e perché si tratta di un preciso impegno che questo governo ha preso con gli elettori prima del voto. Berlusconi, anche negli ultimi giorni, non ha perso occasione per ripeterci che lui le promesse le mantiene. Ecco una buona occasione per dimostrarlo.

© Libero. Pubblicato il 9 settembre 2008.

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