La vignetta che fa schifo


di Fausto Carioti

A pagina 5 dell’ultimo numero del sedicente inserto satirico dell’Unità c’è una vignetta che non fa ridere. Niente di strano, di questi tempi. Però si nota subito lo stesso. Perché questa vignetta fa schifo. Molto schifo. Ve lo scrive uno che quando si tratta di satira non ha lo stomaco debole, avendo iniziato a frequentarla in tenera età, spendendo più di una paghetta per comprare quel concentrato di cattiverie che - non a caso - si chiamava il Male. Uno che guarda le trasmissioni di Michele Santoro solo per ghignare su certe vignette perfide di Vauro e ha la raccolta rilegata delle prime annate di “Cuore” (l’ultimo inserto satirico dell’Unità degno dell’aggettivo che portava). La vignetta che fa schifo raffigura un ragazzo che impugna la pistola con aria strafottente. Ricorda il finlandese che pochi giorni fa ha compiuto una strage a scuola. Punta l’arma verso qualcuno. La vittima, si capisce subito dal testo, è Renato Brunetta, ministro della Pubblica amministrazione. Il boia del popolo parla lo slang delle periferie romane. Dice: «Ho preso il vecchio ferro. Quello de quando facevo anche 14 h consecutive da guardia giurata. E so venuto ar ministero a ringrazziatte, Renà». Titolo di questa eruzione di odio represso: «Guerre giuste».

La morale della vignetta è trasparente, non occorre essere laureati in semiotica con Umberto Eco per cogliere ciò che è evidente: il Sessantotto ce l’ha insegnato, uccidere Brunetta non è reato. Qualunque cosa si voglia intendere per satira, per quanto larghi possano essere i suoi confini, questa roba qui appartiene a un’altra categoria: quella dell’idiozia criminale. Manco a dirlo, l’autore fa sapere, nel suo sito, di essere legato a organizzazioni pacifiste tipo “Movimento Nonviolento” e “Peacelink”. Il che non stupisce, per carità, ma aiuta a capire un po’ meglio quello che c’è dentro il pacifismo italiano. La lapide di Brunetta disegnata accanto alla vignetta (complimenti a chi ha deciso l’accostamento), con impresso l’epitaffio «Cacchio, sono finito fra i fannulloni anch’io» (che risate), rende il risultato finale ancora più infame.

Ora, le ipotesi sono due. La prima: il disegnatore che ha glorificato il killer del ministro è un alieno, uno che non sa chi è il ministro della Pubblica amministrazione né come vive. Anche se tardivo, un rapido corso d’aggiornamento potrebbe allora essergli utile, almeno per il futuro. Brunetta da anni fa una vita da non augurare a nessuno. È scortato 24 ore su 24. Nel 2002 i terroristi rossi decisero chi fare fuori tra lui, Maurizio Sacconi e Marco Biagi. Grazie anche a chi lo lasciò senza scorta, la scelta cadde sul terzo. Ma dopo il povero Biagi, in lista c’erano gli altri due. Non sono notizie riservate: anche se Brunetta non ha mai sventolato una delle tante minacce di morte che ha ricevuto e continua a ricevere, la sua vita da recluso è di dominio pubblico. Ce n’è traccia persino nella bibbia degli ignoranti, l’enciclopedia online Wikipedia: «Vive sotto scorta ininterrottamente dal 1983, essendo stato più volte minacciato di morte dalle Brigate Rosse». E poi ci sono i precedenti di Biagi, Massimo D’Antona ed Ezio Tarantelli, che dovrebbero indurre ogni individuo di media intelligenza a pensarci due volte prima di accostare una pistola a un giuslavorista italiano.

Lo stesso ministro, nel giugno scorso, al convegno confindustriale di Santa Margherita Ligure, per una volta si lasciò andare: «Vivo con la scorta da venticinque anni. La mia gioventù l’ho consumata con i carabinieri e la polizia. Ma che Paese è questo?», sbottò. Bella domanda, anche se la risposta è orrenda: è un Paese nel quale, se fai il tuo mestiere, prima ti minacciano di morte e poi spunta fuori il pirla con la matita in mano che fa l’elogio di chi ti vuole ammazzare. 

Seconda ipotesi, più probabile: il disegnatore non viene da un altro pianeta. Era al corrente di tutto questo. Sapeva della vita fetente che Brunetta è costretto a fare, sapeva che il suo nome era ed è nelle liste degli assassini. Ma ha deciso di fregarsene e di puntargli lo stesso quella pistola addosso. In questo caso, sostantivi e aggettivi sono superflui: il personaggio si definisce da solo.

Consapevoli di averne pestata una grossa, i vertici dell’Unità ieri si sono dovuti scusare. Ma hanno provato lo stesso a inventarsi qualcosa per salvare la faccia. Impresa disperata. Sergio Staino, ideatore dell’inserto, si è cimentato in uno sport estremo come l’arrampicata prolungata sugli specchi: «La vignetta di Biani, nelle intenzioni dell’autore e nell’interpretazione che abbiamo dato come redazione, esprimeva solo il disagio, l’indignazione e il vaneggiamento, folle e non certo condivisibile, che può provocare una strabordante polemica contro supposti fannulloni, in un paese come il nostro in cui invece sta crescendo la disoccupazione. In questo specifico caso, il disagio profondo di una guardia giurata per la quale il vecchio “ferro”, strumento del suo lavoro, sottolineava la sua attuale situazione di disoccupato». Se non ci avete capito nulla, tranquilli: quelli normali siete voi. «Questa la buona fede nostra e del disegnatore», prosegue Staino scivolando sempre più giù, «ma se, come può sempre accadere, la ciambella non è uscita con il buco e per una qualche ragione, legata al disegno o al testo, qualche lettore può interpretarla in modo da sembrare un invito all’uso delle armi, né io, né Biani, né l’intera redazione di Emme, abbiamo alcuna  difficoltà a chiedere scusa a questi lettori, ministro Brunetta,  ovviamente, compreso». Con 940 lettere usate per dire: «Scusate, abbiamo fatto una cavolata», l’Unità stabilisce il nuovo record della categoria. Consegnando ai posteri una perla giornalistica come l’elogio della pistola quale metafora arguta della disoccupazione.

Post scriptum. Una piccola annotazione personale, nella speranza che aiuti qualcuno a comprendere meglio il personaggio. Lo scorso 12 settembre il sottoscritto intervistò Brunetta a Gubbio, sul palco della kermesse di Forza Italia. Il ministro, che era e resta socialista, quella sera disse di considerare la sua battaglia contro i nullafacenti della pubblica amministrazione assolutamente «di sinistra». Cioè destinata ad aiutare soprattutto le categorie più deboli, come i malati e gli anziani, costrette a rivolgersi allo Stato per tirare avanti. Scherzando, chiusi l’intervista chiedendogli se, visti i risultati ottenuti, la popolarità conseguita e l’alto concetto che il ministro ha di sé (che lui non fece nulla per nascondere nemmeno in quell’occasione) non sarebbe il caso di clonarlo e farne altri come lui. Brunetta la prese sul serio. Rispose che occorre creare una classe dirigente (hai detto niente), e indicò l’esempio da seguire: «Un Dalla Chiesa si può ammazzare, dieci Dalla Chiesa si possono ammazzare, ma cento, mille Dalla Chiesa alla fine vincono». Applaudirono tutti, ma i suoi collaboratori rimasero di ghiaccio. Dietro l’evocazione del generale Dalla Chiesa, mi dissero poi, avevano visto la preoccupazione di Brunetta per le tante minacce ricevute da quando è diventato ministro. Questa è la vita dell’uomo su cui la nuova Unità di Concita De Gregorio, intelligente e moderata, trova divertente puntare una pistola.

© Libero. Pubblicato il 30 settembre 2008.

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