Silvio & Walter
di Fausto Carioti
Non c’è bisogno della foto con bacio in bocca, tipo quelle che immortalavano i capi sovietici quando incontravano gli sventurati leader di qualche Paese satellite. L’inciucio tra Silvio Berlusconi e Walter Veltroni è nei fatti, è scritto dal destino che, in questa fase, si è divertito a metterli uno accanto all’altro. Così diversi, così vicini. Ed è inevitabile che il prezzo di questa loro intesa implicita finisca per essere pagato tutto, a caro prezzo, da Romano Prodi.
Un po’ per pudore (quello di Veltroni nei confronti del governo sostenuto dal suo partito) e un po’ per normale ipocrisia (in politica talvolta è una qualità), Silvio & Walter non possono dire davanti alle telecamere tutte le cose che adesso li uniscono. Che sono tante.
Primo. Ambedue vogliono riscrivere le regole del gioco a loro vantaggio. Vogliono che sia introdotta, al più presto, una nuova legge elettorale, che consegni a quello dei loro due partiti che prenderà più voti la più larga maggioranza possibile. Siccome i seggi alla Camera e al Senato sono quelli che sono, questa operazione può essere fatta solo a spese degli altri partiti, cioè di quelli che, sino ad oggi, sono stati i loro alleati. Con i quali il leader del costituendo partito delle libertà e quello del neonato partito democratico non vogliono più sentirsi obbligati a stringere accordi. «Mai più alleanze forzose» è lo slogan della strana coppia nata ieri a Montecitorio. Non a caso, il confronto partirà dal sistema tedesco-spagnolo ideato da Salvatore Vassallo. Sponsorizzato da Veltroni, e nella sostanza gradito anche a Berlusconi, serve proprio a questo: caratterizzato da circoscrizioni piccole, avvantaggerebbe i grandi partiti, dando loro un “premio di maggioranza implicito” tanto più alto quanto più grande è il partito. Una sigla che riuscisse a prendere il 38-39% dei voti potrebbe ottenere la maggioranza assoluta dei seggi. Il leader di questo partito sarebbe, automaticamente, il primo ministro. In altre parole, Berlusconi e Veltroni vogliono che quello di loro due che vincerà le prossime elezioni possa restare a palazzo Chigi per cinque anni senza dover subire, ogni giorno, i diktat di un Clemente Mastella o di un Oliviero Diliberto. Ma se questa volontà di creare un partito costruito sulla figura del leader è normale, e persino ostentata, nel caso di Berlusconi, lo è assai meno per Veltroni, dalle cui parti c’è sempre chi considera simili “derive” cesaristiche una lesione alla democrazia.
Secondo. Entrambi vogliono che il prossimo sistema elettorale impedisca la creazione di un nuovo centro che faccia da ago della bilancia tra i due schieramenti. Per riuscirci, dovranno giocare di sponda sia tra loro, sia con i loro alleati a destra (nel caso di Berlusconi) e a sinistra (nel caso di Veltroni). Gli spazi per trovare un’alchimia che torni comoda ai due grandi, strozzi nella culla i piccoli al centro e non penalizzi troppo i partiti collocati alle estremità ci sono tutti.
Terzo. Per ambedue è indispensabile che la legislatura termini prima della scadenza naturale. Restare a bagnomaria sino al 2011 sarebbe un suicidio politico. Per Veltroni, perché ogni giorno in più che governa Prodi il centrosinistra perde voti. E per Berlusconi, classe 1936, perché l’anagrafe è quella che è. Silvio vuole che si vada a votare nel 2008, ma gli va bene anche il 2009. Walter punta alle elezioni nel 2009, dopo aver fatto qualche ritocco alla Costituzione. Ma non si metterebbe a piangere se si dovesse votare nel 2008.
Quarto. Berlusconi e Veltroni possono persino permettersi il lusso di non trovare un accordo per cambiare la legge elettorale. A differenza dei loro alleati, hanno a disposizione un’alternativa pronta a premiarli pure se non combinano un tubo. È il referendum voluto da Mario Segni e Giovanni Guzzetta, che punta a ridurre il numero dei partiti assegnando un premio di maggioranza nazionale, in ambedue i rami del parlamento, alla lista che prende più voti, e non più alla coalizione vincente. Le firme necessarie per chiedere il referendum sono state raggiunte e certificate. Se, a gennaio, la corte costituzionale darà il via libera (e le voci che filtrano in questi giorni fanno ben sperare per i referendari) e se nelle settimane seguenti non si troverà una larga intesa per una nuova legge elettorale (ed è chiaro che nessun accordo si potrà fare senza i due partiti principali), in primavera si andrà a votare per cambiare le regole del gioco. Si può scommettere sin d’ora che la Rai di Veltroni e la Mediaset di Berlusconi non faranno come in altre occasioni, e daranno ampia pubblicità al referendum.
È vero, come sostengono gli avversari del quesito referendario, che un simile meccanismo elettorale favorirebbe la creazione di grandi liste eterogenee. Partiti e partitini, in parole povere, “fingerebbero” di allearsi per trarre il massimo vantaggio possibile dalla legge elettorale, ma subito dopo il voto ogni componente formerebbe il suo gruppo parlamentare, e il quadro politico sarebbe frammentato proprio come oggi. Ma Berlusconi e Veltroni, guarda caso, hanno pensato anche a questo. Tra i punti sui quali ieri si sono trovati d’accordo, c’è la riforma dei regolamenti parlamentari: al Senato e alla Camera non sarà più possibile creare gruppi ai quali non corrisponda un partito candidato alle elezioni.
Insomma, Berlusconi e Veltroni si trovano in quella che gli esperti di teoria dei giochi chiamano situazione “win-win”: comunque vada, ne usciranno ambedue vincenti. Se riusciranno a cambiare la legge elettorale, lo faranno a loro uso e consumo. Se non ci sarà alcun accordo, il referendum lavorerà per loro. In ogni caso, il giorno dopo che la nuova legge sarà entrata in vigore, tutto sarà pronto per il pensionamento di Prodi e il ritorno alle urne.
Per Berlusconi, poi, l’intesa con Veltroni offre un motivo d’interesse in più. La doppia minaccia di una legge elettorale che premia i partiti più grandi e del referendum potrebbe indurre qualcuno dei “piccoli” che appoggiano il governo, tipo Mastella, a scegliere la terza strada: far saltare il governo e la legislatura, in modo da evitare il voto referendario. A questo punto, Berlusconi avrebbe vinto comunque, ottenendo il ritorno alle urne dopo appena due anni passati all’opposizione. Avrebbe solo il compito di ricucire con gli alleati. Anche per questo, si è guardato bene dal rompere una volta per tutte con Gianfranco Fini e Pier Ferdinando Casini.
© Libero. Pubblicato il 1 dicembre 2007.
Non c’è bisogno della foto con bacio in bocca, tipo quelle che immortalavano i capi sovietici quando incontravano gli sventurati leader di qualche Paese satellite. L’inciucio tra Silvio Berlusconi e Walter Veltroni è nei fatti, è scritto dal destino che, in questa fase, si è divertito a metterli uno accanto all’altro. Così diversi, così vicini. Ed è inevitabile che il prezzo di questa loro intesa implicita finisca per essere pagato tutto, a caro prezzo, da Romano Prodi.
Un po’ per pudore (quello di Veltroni nei confronti del governo sostenuto dal suo partito) e un po’ per normale ipocrisia (in politica talvolta è una qualità), Silvio & Walter non possono dire davanti alle telecamere tutte le cose che adesso li uniscono. Che sono tante.
Primo. Ambedue vogliono riscrivere le regole del gioco a loro vantaggio. Vogliono che sia introdotta, al più presto, una nuova legge elettorale, che consegni a quello dei loro due partiti che prenderà più voti la più larga maggioranza possibile. Siccome i seggi alla Camera e al Senato sono quelli che sono, questa operazione può essere fatta solo a spese degli altri partiti, cioè di quelli che, sino ad oggi, sono stati i loro alleati. Con i quali il leader del costituendo partito delle libertà e quello del neonato partito democratico non vogliono più sentirsi obbligati a stringere accordi. «Mai più alleanze forzose» è lo slogan della strana coppia nata ieri a Montecitorio. Non a caso, il confronto partirà dal sistema tedesco-spagnolo ideato da Salvatore Vassallo. Sponsorizzato da Veltroni, e nella sostanza gradito anche a Berlusconi, serve proprio a questo: caratterizzato da circoscrizioni piccole, avvantaggerebbe i grandi partiti, dando loro un “premio di maggioranza implicito” tanto più alto quanto più grande è il partito. Una sigla che riuscisse a prendere il 38-39% dei voti potrebbe ottenere la maggioranza assoluta dei seggi. Il leader di questo partito sarebbe, automaticamente, il primo ministro. In altre parole, Berlusconi e Veltroni vogliono che quello di loro due che vincerà le prossime elezioni possa restare a palazzo Chigi per cinque anni senza dover subire, ogni giorno, i diktat di un Clemente Mastella o di un Oliviero Diliberto. Ma se questa volontà di creare un partito costruito sulla figura del leader è normale, e persino ostentata, nel caso di Berlusconi, lo è assai meno per Veltroni, dalle cui parti c’è sempre chi considera simili “derive” cesaristiche una lesione alla democrazia.
Secondo. Entrambi vogliono che il prossimo sistema elettorale impedisca la creazione di un nuovo centro che faccia da ago della bilancia tra i due schieramenti. Per riuscirci, dovranno giocare di sponda sia tra loro, sia con i loro alleati a destra (nel caso di Berlusconi) e a sinistra (nel caso di Veltroni). Gli spazi per trovare un’alchimia che torni comoda ai due grandi, strozzi nella culla i piccoli al centro e non penalizzi troppo i partiti collocati alle estremità ci sono tutti.
Terzo. Per ambedue è indispensabile che la legislatura termini prima della scadenza naturale. Restare a bagnomaria sino al 2011 sarebbe un suicidio politico. Per Veltroni, perché ogni giorno in più che governa Prodi il centrosinistra perde voti. E per Berlusconi, classe 1936, perché l’anagrafe è quella che è. Silvio vuole che si vada a votare nel 2008, ma gli va bene anche il 2009. Walter punta alle elezioni nel 2009, dopo aver fatto qualche ritocco alla Costituzione. Ma non si metterebbe a piangere se si dovesse votare nel 2008.
Quarto. Berlusconi e Veltroni possono persino permettersi il lusso di non trovare un accordo per cambiare la legge elettorale. A differenza dei loro alleati, hanno a disposizione un’alternativa pronta a premiarli pure se non combinano un tubo. È il referendum voluto da Mario Segni e Giovanni Guzzetta, che punta a ridurre il numero dei partiti assegnando un premio di maggioranza nazionale, in ambedue i rami del parlamento, alla lista che prende più voti, e non più alla coalizione vincente. Le firme necessarie per chiedere il referendum sono state raggiunte e certificate. Se, a gennaio, la corte costituzionale darà il via libera (e le voci che filtrano in questi giorni fanno ben sperare per i referendari) e se nelle settimane seguenti non si troverà una larga intesa per una nuova legge elettorale (ed è chiaro che nessun accordo si potrà fare senza i due partiti principali), in primavera si andrà a votare per cambiare le regole del gioco. Si può scommettere sin d’ora che la Rai di Veltroni e la Mediaset di Berlusconi non faranno come in altre occasioni, e daranno ampia pubblicità al referendum.
È vero, come sostengono gli avversari del quesito referendario, che un simile meccanismo elettorale favorirebbe la creazione di grandi liste eterogenee. Partiti e partitini, in parole povere, “fingerebbero” di allearsi per trarre il massimo vantaggio possibile dalla legge elettorale, ma subito dopo il voto ogni componente formerebbe il suo gruppo parlamentare, e il quadro politico sarebbe frammentato proprio come oggi. Ma Berlusconi e Veltroni, guarda caso, hanno pensato anche a questo. Tra i punti sui quali ieri si sono trovati d’accordo, c’è la riforma dei regolamenti parlamentari: al Senato e alla Camera non sarà più possibile creare gruppi ai quali non corrisponda un partito candidato alle elezioni.
Insomma, Berlusconi e Veltroni si trovano in quella che gli esperti di teoria dei giochi chiamano situazione “win-win”: comunque vada, ne usciranno ambedue vincenti. Se riusciranno a cambiare la legge elettorale, lo faranno a loro uso e consumo. Se non ci sarà alcun accordo, il referendum lavorerà per loro. In ogni caso, il giorno dopo che la nuova legge sarà entrata in vigore, tutto sarà pronto per il pensionamento di Prodi e il ritorno alle urne.
Per Berlusconi, poi, l’intesa con Veltroni offre un motivo d’interesse in più. La doppia minaccia di una legge elettorale che premia i partiti più grandi e del referendum potrebbe indurre qualcuno dei “piccoli” che appoggiano il governo, tipo Mastella, a scegliere la terza strada: far saltare il governo e la legislatura, in modo da evitare il voto referendario. A questo punto, Berlusconi avrebbe vinto comunque, ottenendo il ritorno alle urne dopo appena due anni passati all’opposizione. Avrebbe solo il compito di ricucire con gli alleati. Anche per questo, si è guardato bene dal rompere una volta per tutte con Gianfranco Fini e Pier Ferdinando Casini.
© Libero. Pubblicato il 1 dicembre 2007.