Chi governa il governo Prodi
Walter Veltroni comanda, Romano Prodi obbedisce. Diciamolo: già si era intuito. Però il fatto che adesso lo scriva l'Unità, in prima pagina, la dice lunga.
Nel pomeriggio di ieri, domenica 2 dicembre, Prodi aveva detto di essere lui il "garante della coalizione". Voleva dare a tutti, soprattutto ai piccoli partiti della maggioranza, l'immagine di quello che non è stato tagliato fuori dall'asse Berlusconi-Veltroni. Il presidente del Consiglio si candidava ad essere il capocordata di tutti quelli che rischiano di finire vittime di una riforma elettorale confezionata su misura per i grandi. Il suo messaggio era: tranquilli, finché ci sono io nessuno vi farà del male. Un'assicurazione reciproca sulla vita, insomma: i piccoli aiutano Prodi, evitano di tirare troppo la corda con il suo governo, e lui usa quel che resta del suo potere per impedire strappi da parte di Veltroni.
Passano poche ore. Prodi è tornato a Roma, c'è il vertice del partito democratico. Scrive l'Unità: «C'era attesa per come Prodi avrebbe dato sostanza al suo ruolo, enunciato a Bologna prima del rientro, di "garante della coalizione" in funzione anti-inciuci. Il premier però, raggiungendo il Palatino, ha corretto il tiro: "Tutto il Pd è garante della coalizione". Frutto di un colloquio con Veltroni non entusiasta della formula precedente». E siccome il Pd è Veltroni, che poi è anche quello che ha costretto Prodi a rimangiarsi la sua uscita, non ci sono molti dubbi su chi, oggi, abbia in mano la maggioranza e lo stesso governo.
Ovviamente, se per ammissione del presidente del consiglio l'unica garanzia che hanno i piccoli è la benevolenza dei grandi, non c'è da stupirsi che Clemente Mastella abbia ricominciato a minacciare il governo, e con esso la stessa legislatura. Né che Fausto Bertinotti, fiutato il vento, si sia buttato nelle braccia di Veltroni.
Nel pomeriggio di ieri, domenica 2 dicembre, Prodi aveva detto di essere lui il "garante della coalizione". Voleva dare a tutti, soprattutto ai piccoli partiti della maggioranza, l'immagine di quello che non è stato tagliato fuori dall'asse Berlusconi-Veltroni. Il presidente del Consiglio si candidava ad essere il capocordata di tutti quelli che rischiano di finire vittime di una riforma elettorale confezionata su misura per i grandi. Il suo messaggio era: tranquilli, finché ci sono io nessuno vi farà del male. Un'assicurazione reciproca sulla vita, insomma: i piccoli aiutano Prodi, evitano di tirare troppo la corda con il suo governo, e lui usa quel che resta del suo potere per impedire strappi da parte di Veltroni.
Passano poche ore. Prodi è tornato a Roma, c'è il vertice del partito democratico. Scrive l'Unità: «C'era attesa per come Prodi avrebbe dato sostanza al suo ruolo, enunciato a Bologna prima del rientro, di "garante della coalizione" in funzione anti-inciuci. Il premier però, raggiungendo il Palatino, ha corretto il tiro: "Tutto il Pd è garante della coalizione". Frutto di un colloquio con Veltroni non entusiasta della formula precedente». E siccome il Pd è Veltroni, che poi è anche quello che ha costretto Prodi a rimangiarsi la sua uscita, non ci sono molti dubbi su chi, oggi, abbia in mano la maggioranza e lo stesso governo.
Ovviamente, se per ammissione del presidente del consiglio l'unica garanzia che hanno i piccoli è la benevolenza dei grandi, non c'è da stupirsi che Clemente Mastella abbia ricominciato a minacciare il governo, e con esso la stessa legislatura. Né che Fausto Bertinotti, fiutato il vento, si sia buttato nelle braccia di Veltroni.