Ecologismo, ultima frontiera: più emissioni corporee, meno emissioni di Co2
di Fausto Carioti
È la smania progressista del momento: regredire all’età delle caverne (abitudini igieniche incluse) per limitare le emissioni di anidride carbonica. Con una differenza. I nostri antenati figli ne facevano a frotte, mentre gli ecologisti guardano i cuccioli dell’uomo con ostentato fastidio: piccoli inquinatori prepotenti, come vi permettete di compromettere l’equilibrio di Gaia, nostra madre Terra? Quanto a paganesimo, Al Gore e i suoi emuli potrebbero dare ripetizioni agli ominidi con la clava. Attenzione: non è più una semplice questione ecologica. Ormai è diventata una battaglia morale, combattuta con il furore degli invasati: o fai il possibile per azzerare i consumi e i trasporti, o sei una minaccia per il pianeta, e il minimo che ti meriti è il pubblico disprezzo. Così ieri i lettori di Repubblica hanno potuto leggere il racconto di un giornalista ecologista, Paolo Rumiz, che ha provato a vivere una settimana seguendo le nuove leggi morali: «Calcolando l’equivalente in anidride carbonica di ogni minimo atto. Ho misurato i chilometri in treno, il cibo consumato, i tempi di cottura, gli sciacquoni». Ad illustrargli la via, l’immancabile «vademecum di consumo etico» e un gruppo di consulenti di Legambiente ansiosi di calcolare l’«effetto Co2» delle sue giornate. Ovviamente non sono consulenti qualunque, ma «consulenti etici». Prendiamone atto: un tempo chi aveva problemi di coscienza chiedeva consigli al prete, oggi va dai ragazzotti di Legambiente.
Il finale è scontato sin dall’inizio: la cavia esce dall’esperimento entusiasta, una persona diventata nuova grazie alla rivelazione che si è molto più felici anche senza frigorifero e lesinando sullo sciacquone. Più interessante è capire il percorso umano che porta a questa conclusione. Innanzitutto cambia il rapporto con il corpo e l’igiene. Il water viene usato con parsimonia. Le docce sono «brevi» e «non quotidiane». A rendere il quadro più inquietante ci sono le lunghe pedalate, con relative sudate e conseguenti afrori, cui deve sottoporsi l’adepto del fondamentalismo ecologista: l’uso di ogni motore a scoppio, ovviamente, è vietato.
Pochissimo sapone, acqua col contagocce: sta diventando una tendenza. Nel libro di Paul Waddington “Shades of Green” (“Gradazioni di verde”), nuovo corano del credo ambientalista, si spiega che farsi il bagno è uno spreco di una risorsa importantissima. Se per millenni abbiamo fatto a meno delle abluzioni quotidiane, e ancora oggi milioni di persone non si lavano, un motivo ci sarà. Chi ha un fiume sotto casa, ne approfitti. Gli altri si arrangino. Del resto il compagno Ken Livingstone, sindaco di Londra, ha invitato i suoi concittadini a non tirare lo sciacquone dopo aver fatto pipì. Il fatto che dalle sue parti si ignori l’esistenza del bidet gli ha risparmiato l’altra metà della predica. Stesso comportamento promosso da Fulco Pratesi, fondatore del Wwf Italia. Il quale ha anche ammesso di farsi il bagnetto una volta a settimana: «Nella vasca piccola e con poca acqua, senza schiuma», ha tenuto a precisare.
Peccato che a tanto amore per la natura non sembri corrispondere analogo trasporto per i propri simili. Quando il giornalista di Repubblica che ha dichiarato guerra all’anidride carbonica si trova in treno, seduto accanto a una normale famigliola, si capisce che considera il genere umano qualcosa di molto simile a un cancro che sta divorando il pianeta. I due bambini sono paragonati a dei «mostri». Il maschietto che mangia e la mamma che lo sfama hanno la grave colpa di non comprendere le implicazioni che il loro gesto ha sull’intero ecosistema. La carognetta si permette persino di ignorare la complessità delle relazioni interpersonali. «Ripete: mio mio mio. Poi, guardando il vuoto, io io io. Conosce solo l’ausiliare “voglio”. Ignora il “posso” e il “devo”», annota con orrore il cronista, a quanto pare ignaro di trovarsi davanti a una normale fase dello sviluppo infantile. Commenta indignato: «È chiaro, sono i bambini il primo anello della catena dello spreco. Ai bambini non si nega nulla. Il livello mondiale di Co2 dipende anche da loro». Per la gioia dell’inviato di Repubblica, è un problema che si porrà ancora per poco: il tasso di fertilità delle donne di questo Paese è ben al di sotto del minimo necessario per mantenere stabile la popolazione, e nel giro di qualche generazione vedere bambini che mangiano e altre volgarità del genere sarà uno spettacolo rarissimo.
Ma è tutta l’attività dell’uomo a dargli sui nervi. La gente che riempie il carrello ai supermercati, i ragazzi che si parlano con telefonini «sintonizzati sul nulla» (chissà come fa a saperlo, forse ha origliato), quelli che invece di preoccuparsi per lo scioglimento della calotta polare ridono davanti al computer, i presidi che nelle scuole «non smantellano quegli osceni distributori di merendine», i ministri della Pubblica istruzione che non impongono agli alunni l’insegnamento del “consumo etico”, magari mettendo 3 in pagella a chi tira la catena nel bagno della scuola. Ovunque volge lo sguardo, vede spettacoli da incubo. Si incavola, sente crescere «la rabbia e la voglia di cambiare». Scrive: «Sento che in me sta avvenendo una trasformazione irreversibile». Forse si riferisce alle sue ascelle: meglio non indagare.
È il caso di riportare le cose alle loro dimensioni reali. L’ecogiornalista di Repubblica definisce l’anidride carbonica (Co2) «il gas che la civiltà dello spreco spara nell’atmosfera surriscaldando la Terra e chiudendoci tutti in una cappa mortale». Chi legge robe simili si convince che la Co2 l’ha inventata l’uomo, e magari chi l’ha scritto lo pensa davvero. La verità è che nell’atmosfera ci sono 3000 miliardi di tonnellate di Co2, senza le quali non esisterebbe la vita su questo pianeta, e ogni anno l’uomo ne immette 20 miliardi, lo 0,6% del totale. Questa quantità è pari appena al 3% delle emissioni annuali di anidride carbonica: il restante 97% è prodotto dal pianeta, ad esempio tramite gli oceani e i vulcani. Oltre metà della Co2 generata dall’uomo ha buone probabilità di finire assorbita dagli oceani. I dati smentiscono che questo gas sia il vero responsabile dell’aumento della temperatura del pianeta: questa iniziò ad innalzarsi nel 1700, quando la popolazione mondiale era meno di un miliardo e le industrie ancora non esistevano. La temperatura globale smise poi di crescere per oltre tre decenni a partire dal 1940, cioè negli anni in cui più aumentarono le emissioni di Co2. Insomma, tanto sudore (e tanto odore) per nulla.
Post scriptum. L’articolo di Repubblica può essere letto anche online, sul sito web del quotidiano. Secondo i precetti di Waddington è una scelta dannosa: per fornire energia ai server dei siti web ogni giorno si immettono nell’atmosfera 234,7 grammi di anidride carbonica. Molto meglio la vecchia carta da giornale, spiega il breviario dei talebani dell’ecologia. Anche perché, a lettura ultimata, può essere usata per altri scopi. Meno nobili, forse, ma molto più «etici».
© Libero. Pubblicato il 29 dicembre 2007.
È la smania progressista del momento: regredire all’età delle caverne (abitudini igieniche incluse) per limitare le emissioni di anidride carbonica. Con una differenza. I nostri antenati figli ne facevano a frotte, mentre gli ecologisti guardano i cuccioli dell’uomo con ostentato fastidio: piccoli inquinatori prepotenti, come vi permettete di compromettere l’equilibrio di Gaia, nostra madre Terra? Quanto a paganesimo, Al Gore e i suoi emuli potrebbero dare ripetizioni agli ominidi con la clava. Attenzione: non è più una semplice questione ecologica. Ormai è diventata una battaglia morale, combattuta con il furore degli invasati: o fai il possibile per azzerare i consumi e i trasporti, o sei una minaccia per il pianeta, e il minimo che ti meriti è il pubblico disprezzo. Così ieri i lettori di Repubblica hanno potuto leggere il racconto di un giornalista ecologista, Paolo Rumiz, che ha provato a vivere una settimana seguendo le nuove leggi morali: «Calcolando l’equivalente in anidride carbonica di ogni minimo atto. Ho misurato i chilometri in treno, il cibo consumato, i tempi di cottura, gli sciacquoni». Ad illustrargli la via, l’immancabile «vademecum di consumo etico» e un gruppo di consulenti di Legambiente ansiosi di calcolare l’«effetto Co2» delle sue giornate. Ovviamente non sono consulenti qualunque, ma «consulenti etici». Prendiamone atto: un tempo chi aveva problemi di coscienza chiedeva consigli al prete, oggi va dai ragazzotti di Legambiente.
Il finale è scontato sin dall’inizio: la cavia esce dall’esperimento entusiasta, una persona diventata nuova grazie alla rivelazione che si è molto più felici anche senza frigorifero e lesinando sullo sciacquone. Più interessante è capire il percorso umano che porta a questa conclusione. Innanzitutto cambia il rapporto con il corpo e l’igiene. Il water viene usato con parsimonia. Le docce sono «brevi» e «non quotidiane». A rendere il quadro più inquietante ci sono le lunghe pedalate, con relative sudate e conseguenti afrori, cui deve sottoporsi l’adepto del fondamentalismo ecologista: l’uso di ogni motore a scoppio, ovviamente, è vietato.
Pochissimo sapone, acqua col contagocce: sta diventando una tendenza. Nel libro di Paul Waddington “Shades of Green” (“Gradazioni di verde”), nuovo corano del credo ambientalista, si spiega che farsi il bagno è uno spreco di una risorsa importantissima. Se per millenni abbiamo fatto a meno delle abluzioni quotidiane, e ancora oggi milioni di persone non si lavano, un motivo ci sarà. Chi ha un fiume sotto casa, ne approfitti. Gli altri si arrangino. Del resto il compagno Ken Livingstone, sindaco di Londra, ha invitato i suoi concittadini a non tirare lo sciacquone dopo aver fatto pipì. Il fatto che dalle sue parti si ignori l’esistenza del bidet gli ha risparmiato l’altra metà della predica. Stesso comportamento promosso da Fulco Pratesi, fondatore del Wwf Italia. Il quale ha anche ammesso di farsi il bagnetto una volta a settimana: «Nella vasca piccola e con poca acqua, senza schiuma», ha tenuto a precisare.
Peccato che a tanto amore per la natura non sembri corrispondere analogo trasporto per i propri simili. Quando il giornalista di Repubblica che ha dichiarato guerra all’anidride carbonica si trova in treno, seduto accanto a una normale famigliola, si capisce che considera il genere umano qualcosa di molto simile a un cancro che sta divorando il pianeta. I due bambini sono paragonati a dei «mostri». Il maschietto che mangia e la mamma che lo sfama hanno la grave colpa di non comprendere le implicazioni che il loro gesto ha sull’intero ecosistema. La carognetta si permette persino di ignorare la complessità delle relazioni interpersonali. «Ripete: mio mio mio. Poi, guardando il vuoto, io io io. Conosce solo l’ausiliare “voglio”. Ignora il “posso” e il “devo”», annota con orrore il cronista, a quanto pare ignaro di trovarsi davanti a una normale fase dello sviluppo infantile. Commenta indignato: «È chiaro, sono i bambini il primo anello della catena dello spreco. Ai bambini non si nega nulla. Il livello mondiale di Co2 dipende anche da loro». Per la gioia dell’inviato di Repubblica, è un problema che si porrà ancora per poco: il tasso di fertilità delle donne di questo Paese è ben al di sotto del minimo necessario per mantenere stabile la popolazione, e nel giro di qualche generazione vedere bambini che mangiano e altre volgarità del genere sarà uno spettacolo rarissimo.
Ma è tutta l’attività dell’uomo a dargli sui nervi. La gente che riempie il carrello ai supermercati, i ragazzi che si parlano con telefonini «sintonizzati sul nulla» (chissà come fa a saperlo, forse ha origliato), quelli che invece di preoccuparsi per lo scioglimento della calotta polare ridono davanti al computer, i presidi che nelle scuole «non smantellano quegli osceni distributori di merendine», i ministri della Pubblica istruzione che non impongono agli alunni l’insegnamento del “consumo etico”, magari mettendo 3 in pagella a chi tira la catena nel bagno della scuola. Ovunque volge lo sguardo, vede spettacoli da incubo. Si incavola, sente crescere «la rabbia e la voglia di cambiare». Scrive: «Sento che in me sta avvenendo una trasformazione irreversibile». Forse si riferisce alle sue ascelle: meglio non indagare.
È il caso di riportare le cose alle loro dimensioni reali. L’ecogiornalista di Repubblica definisce l’anidride carbonica (Co2) «il gas che la civiltà dello spreco spara nell’atmosfera surriscaldando la Terra e chiudendoci tutti in una cappa mortale». Chi legge robe simili si convince che la Co2 l’ha inventata l’uomo, e magari chi l’ha scritto lo pensa davvero. La verità è che nell’atmosfera ci sono 3000 miliardi di tonnellate di Co2, senza le quali non esisterebbe la vita su questo pianeta, e ogni anno l’uomo ne immette 20 miliardi, lo 0,6% del totale. Questa quantità è pari appena al 3% delle emissioni annuali di anidride carbonica: il restante 97% è prodotto dal pianeta, ad esempio tramite gli oceani e i vulcani. Oltre metà della Co2 generata dall’uomo ha buone probabilità di finire assorbita dagli oceani. I dati smentiscono che questo gas sia il vero responsabile dell’aumento della temperatura del pianeta: questa iniziò ad innalzarsi nel 1700, quando la popolazione mondiale era meno di un miliardo e le industrie ancora non esistevano. La temperatura globale smise poi di crescere per oltre tre decenni a partire dal 1940, cioè negli anni in cui più aumentarono le emissioni di Co2. Insomma, tanto sudore (e tanto odore) per nulla.
Post scriptum. L’articolo di Repubblica può essere letto anche online, sul sito web del quotidiano. Secondo i precetti di Waddington è una scelta dannosa: per fornire energia ai server dei siti web ogni giorno si immettono nell’atmosfera 234,7 grammi di anidride carbonica. Molto meglio la vecchia carta da giornale, spiega il breviario dei talebani dell’ecologia. Anche perché, a lettura ultimata, può essere usata per altri scopi. Meno nobili, forse, ma molto più «etici».
© Libero. Pubblicato il 29 dicembre 2007.