Legge elettorale, partenza sbagliata

di Fausto Carioti

La sfida che attende Silvio Berlusconi e Walter Veltroni è di semplice lettura. O riusciranno a introdurre una legge elettorale che consentirà al partito che vince le elezioni di governare senza essere appeso ai veti degli alleati. E questo sarà possibile solo grazie a una qualche forma di premio di maggioranza. Oppure avranno perso la partita. Con loro, il paese avrà perso un’occasione storica. E nei prossimi anni, a palazzo Chigi, assisteremo a tante repliche tristi del copione visto sino ad oggi, con i veti incrociati nella maggioranza che bloccano ogni progetto degno di questo nome, dalle riforme economiche alla posa di un semplice binario.

Davanti agli alleati si può indorare la pillola finché si vuole, ma non si possono cambiare le leggi dell’aritmetica. Per governare senza essere condizionati dagli altri, i leader dei due partiti opposti e rivali hanno bisogno di avere la maggioranza assoluta dei seggi in Parlamento. Devono, cioè, essere sovra-rappresentati rispetto al loro reale peso elettorale, che oggi si aggira tra il 30 e il 35 per cento. Perché ciò avvenga, è necessario che le altre sigle politiche abbiano, al contrario, una percentuale di parlamentari inferiore a quella dei loro voti.

Non è un insulto alla democrazia, come i partiti piccoli e medi vogliono far credere. Al contrario: è proprio quello che accade nelle grandi democrazie. In Inghilterra e in Francia, Tony Blair e Nicolas Sarkozy, alla guida di partiti che valgono all’incirca il 35% dei voti, hanno avuto in parlamento un’ampia maggioranza assoluta. In Spagna il meccanismo elettorale, di fatto, taglia fuori dalla rappresentanza i partiti che non raggiungono il 15% dei voti, e consente a partiti che si avvicinano al 40% dei consensi di avere la maggioranza assoluta dei parlamentari.

Paragonata a questi modelli, la proposta di riforma delle legge elettorale scritta da Enzo Bianco, presentata ieri, è una delusione. Perché ripropone tutti i difetti delle leggi elettorali viste all’opera sinora in Italia, con i pessimi risultati che tocchiamo con mano da anni. Nonostante gli strepiti che ha sollevato, il testo di Bianco, sul quale convergono i consensi di Veltroni e di Berlusconi, prevede un proporzionale senza alcun premio di maggioranza, limitandosi ad avvantaggiare i grandi partiti introducendo collegi elettorali sul modello di quelli spagnoli. Questi, in teoria, sotto-rappresentano i partiti minori a vantaggio dei più grandi. Ma questo “premio di maggioranza implicito” scatta solo se le circoscrizioni sono numerose e molto piccole. Per garantire risultati simili a quelli visti in Spagna, infatti, il modello di Bianco dovrebbe prevedere almeno 48 circoscrizioni. Ne contempla, invece, solo 32.

Anche se è una semplice base di discussione, insomma, la proposta di Bianco è una partenza col piede sbagliato, perché non sotto-rappresenta i piccoli partiti né avvantaggia i grandi. Almeno non quanto avvenga nelle democrazie più serie, i cui sistemi elettorali hanno mostrato di garantire una governabilità e una stabilità che Berlusconi e Veltroni si sognano. Ma se vorranno davvero avere la stessa forza politica e la stessa capacità di cambiare il paese mostrata da Blair in Inghilterra e da Sarkozy in Francia, il leader del popolo delle libertà e quello del partito democratico dovranno contare su una forza parlamentare paragonabile a quella del governo inglese e di quello francese.

© Libero. Pubblicato il 12 dicembre 2007.

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