Napolitano fuori dalla Costituzione
di Fausto Carioti
A ricordare la costituzione al presidente della repubblica si corre il rischio di passare per sfrontati. Pazienza. All’articolo 87, quello che elenca i poteri del capo dello Stato, si legge che egli «rappresenta l’unità nazionale», «può inviare messaggi alle Camere», «presiede il consiglio della magistratura» e altre cose così, tutte di altissimo valore istituzionale. Nulla si dice, invece, del ruolo che riveste nei confronti del mondo dell’informazione. Il motivo c’è: il presidente della repubblica non ha alcun potere sui media. La qualità del prodotto fornito dalle testate giornalistiche italiane è affare che riguarda i giornalisti, gli editori e i lettori. Il presidente della repubblica, piuttosto, ha un obbligo nei confronti dei mezzi d’informazione: deve rispettarli, perché essi sono simbolo di quella libertà d’espressione difesa dall’articolo 21 della costituzione. Sono concetti molto banali. Eppure, nel messaggio inviato ieri ai vertici della Federazione nazionale della stampa italiana, Giorgio Napolitano sembra averli scordati.
Il capo dello stato ha scritto al sindacato dei giornalisti che la stampa italiana, così com’è, non gli va bene. Si spinge al punto da spiegare cosa, secondo lui, dovrebbe andare in pagina, e cosa sarebbe invece meglio non servire ai lettori. Innanzitutto, meno notizie su furti, omicidi e rapine. Roba da bassa portineria: «L’attenzione che viene data ai fatti di cronaca nera, come credo si dica in linguaggio giornalistico, mi appare talvolta eccedere nel sensazionalismo». Bontà sua, Napolitano riconosce che «il diritto-dovere di cronaca è intangibile», ma fissa subito un paletto: «I mezzi di comunicazione di massa, oltre a essere specchi della realtà, sono anche strumenti essenziali di formazione delle coscienze».
Argomento, quello della «formazione delle coscienze» a mezzo stampa, che lui stesso deve maneggiare piuttosto bene, visto che nel 1974 scriveva sull’Unità, l’organo del suo partito, che la decisione dell’Unione sovietica di esiliare il dissidente Aleksandr Solzhenitsyn e di privarlo della cittadinanza era «la migliore» che potessero prendere i compagni di Mosca. Al giorno d’oggi, però, nessun giornale italiano - per fortuna - raggiunge certi livelli: il “compagno Napolitano” può tranquillizzarsi.
Il giornale che il capo dello stato “consiglia” di offrire agli italiani indulge su argomenti più elevati: «Auspicherei una più intensa attenzione ai problemi internazionali, e in particolare modo ai temi dell’unificazione europea». Il fatto che nessuno, nel sindacato dei giornalisti, gli abbia rispettosamente detto di restare al suo posto, conferma meglio di mille inchieste l’asservimento dell’informazione italiana dinanzi alla politica.
Nato e cresciuto all’interno del partito comunista italiano quando questo era il più asservito all’Unione sovietica, a tutt’oggi l’ottantaduenne Napolitano non sembra avere grande confidenza con il concetto di libera impresa. Se giornali e televisioni scelgono di dare rilievo a certi argomenti, lo fanno perché sono convinti che rappresentino episodi importanti per la vita italiana. L’omicidio di una ragazza a Perugia e il mondo su cui hanno gettato un po’ di luce i cronisti e gli investigatori ci spiegano ciò che sta diventando questo Paese, e come stanno cambiando le nuove generazioni, meglio di tanti sbrodolamenti sociologici.
Gli italiani questo lo hanno capito. E infatti premiano i giornali e le trasmissioni che li aiutano a comprendere quello che è successo. Questo consente alle imprese editrici di vendere i loro prodotti e continuare ad andare avanti, sfamando le famiglie di chi ci lavora e fornendo ai lettori e agli spettatori un piccolo contributo quotidiano alla comprensione dei fatti.
Gli stessi italiani bocciano, in modo spietato e regolare, quegli approfondimenti giornalistici sull’unificazione europea che il Quirinale vorrebbe appioppargli. Vedono simili argomenti come qualcosa di incomprensibile e di ostile. Per capire il motivo, basta sfogliare l’elenco delle direttive europee. Il cuore di un vecchio “apparatnik” come Napolitano palpiterà pure per certe norme dirigiste che fissano le dimensioni massime degli ortaggi e dei profilattici autorizzati a entrare nelle nostre case. Ma agli italiani danno il voltastomaco. Cambiano canale, gettano il giornale nel cestino. E se qualche milione di persone la pensa in maniera opposta al presidente della repubblica, non c’è dubbio che sono loro ad avere ragione ed è lui a stare nel torto.
© Libero. Pubblicato il 27 novembre 2007.
A ricordare la costituzione al presidente della repubblica si corre il rischio di passare per sfrontati. Pazienza. All’articolo 87, quello che elenca i poteri del capo dello Stato, si legge che egli «rappresenta l’unità nazionale», «può inviare messaggi alle Camere», «presiede il consiglio della magistratura» e altre cose così, tutte di altissimo valore istituzionale. Nulla si dice, invece, del ruolo che riveste nei confronti del mondo dell’informazione. Il motivo c’è: il presidente della repubblica non ha alcun potere sui media. La qualità del prodotto fornito dalle testate giornalistiche italiane è affare che riguarda i giornalisti, gli editori e i lettori. Il presidente della repubblica, piuttosto, ha un obbligo nei confronti dei mezzi d’informazione: deve rispettarli, perché essi sono simbolo di quella libertà d’espressione difesa dall’articolo 21 della costituzione. Sono concetti molto banali. Eppure, nel messaggio inviato ieri ai vertici della Federazione nazionale della stampa italiana, Giorgio Napolitano sembra averli scordati.
Il capo dello stato ha scritto al sindacato dei giornalisti che la stampa italiana, così com’è, non gli va bene. Si spinge al punto da spiegare cosa, secondo lui, dovrebbe andare in pagina, e cosa sarebbe invece meglio non servire ai lettori. Innanzitutto, meno notizie su furti, omicidi e rapine. Roba da bassa portineria: «L’attenzione che viene data ai fatti di cronaca nera, come credo si dica in linguaggio giornalistico, mi appare talvolta eccedere nel sensazionalismo». Bontà sua, Napolitano riconosce che «il diritto-dovere di cronaca è intangibile», ma fissa subito un paletto: «I mezzi di comunicazione di massa, oltre a essere specchi della realtà, sono anche strumenti essenziali di formazione delle coscienze».
Argomento, quello della «formazione delle coscienze» a mezzo stampa, che lui stesso deve maneggiare piuttosto bene, visto che nel 1974 scriveva sull’Unità, l’organo del suo partito, che la decisione dell’Unione sovietica di esiliare il dissidente Aleksandr Solzhenitsyn e di privarlo della cittadinanza era «la migliore» che potessero prendere i compagni di Mosca. Al giorno d’oggi, però, nessun giornale italiano - per fortuna - raggiunge certi livelli: il “compagno Napolitano” può tranquillizzarsi.
Il giornale che il capo dello stato “consiglia” di offrire agli italiani indulge su argomenti più elevati: «Auspicherei una più intensa attenzione ai problemi internazionali, e in particolare modo ai temi dell’unificazione europea». Il fatto che nessuno, nel sindacato dei giornalisti, gli abbia rispettosamente detto di restare al suo posto, conferma meglio di mille inchieste l’asservimento dell’informazione italiana dinanzi alla politica.
Nato e cresciuto all’interno del partito comunista italiano quando questo era il più asservito all’Unione sovietica, a tutt’oggi l’ottantaduenne Napolitano non sembra avere grande confidenza con il concetto di libera impresa. Se giornali e televisioni scelgono di dare rilievo a certi argomenti, lo fanno perché sono convinti che rappresentino episodi importanti per la vita italiana. L’omicidio di una ragazza a Perugia e il mondo su cui hanno gettato un po’ di luce i cronisti e gli investigatori ci spiegano ciò che sta diventando questo Paese, e come stanno cambiando le nuove generazioni, meglio di tanti sbrodolamenti sociologici.
Gli italiani questo lo hanno capito. E infatti premiano i giornali e le trasmissioni che li aiutano a comprendere quello che è successo. Questo consente alle imprese editrici di vendere i loro prodotti e continuare ad andare avanti, sfamando le famiglie di chi ci lavora e fornendo ai lettori e agli spettatori un piccolo contributo quotidiano alla comprensione dei fatti.
Gli stessi italiani bocciano, in modo spietato e regolare, quegli approfondimenti giornalistici sull’unificazione europea che il Quirinale vorrebbe appioppargli. Vedono simili argomenti come qualcosa di incomprensibile e di ostile. Per capire il motivo, basta sfogliare l’elenco delle direttive europee. Il cuore di un vecchio “apparatnik” come Napolitano palpiterà pure per certe norme dirigiste che fissano le dimensioni massime degli ortaggi e dei profilattici autorizzati a entrare nelle nostre case. Ma agli italiani danno il voltastomaco. Cambiano canale, gettano il giornale nel cestino. E se qualche milione di persone la pensa in maniera opposta al presidente della repubblica, non c’è dubbio che sono loro ad avere ragione ed è lui a stare nel torto.
© Libero. Pubblicato il 27 novembre 2007.