La sicurezza secondo Walter

di Fausto Carioti

Sono di sinistra. «Ma anche» di destra, ora che nella città governata dal loro candidato premier c’è scappata la vittima. Sono contro i «razzisti» che ce l’hanno con gli immigrati romeni. «Ma anche» contro gli immigrati romeni, adesso che hanno capito di cosa sono capaci molti di loro. La maggioranza assomiglia sempre più al suo nuovo leader, Walter Veltroni. Il quale, a sua volta, assomiglia sempre più all’imitazione che ne fa il comico Maurizio Crozza: è tutto quello che ha sempre detto di essere, «ma anche» il suo esatto opposto, se solo serve. Con la stessa superficialità con cui, da anni, il sindaco della capitale va in giro a dire che entrò nel partito comunista italiano perché era un «anticomunista» (che è come dire che uno si è fatto sacerdote perché ateo), con la stessa faciloneria con cui Piero Fassino giura che aderì al Pci perché era «contro il comunismo» (stessa coerenza di uno che entra nel Ku Klux Klan per combattere il razzismo), ora dicono che loro sono per l’immigrazione controllata. All’improvviso, sgombrare i campi rom con la forza non è più roba da leghisti nazistoidi, ma diventa un esempio di buon governo. Tutto d’un tratto, notare che alcune nazionalità d’immigrati, statistiche alla mano, hanno un tasso di delinquenza maggiore di altre, non è più becero razzismo, ma la risposta a quella sana esigenza di sicurezza e trasparenza che viene dalla società civile.

Veltroni-Crozza è la metafora della sinistra che è giunta troppo tardi, e in modo troppo goffo, su posizioni che sino a ieri ha ritenuto indecenti. L’immigrazione romena in Italia ha prodotto una lunga scia di sangue. Parlate a microfoni spenti con qualunque ufficiale dei carabinieri o della polizia, e avrete sempre la stessa versione: quello che più colpisce, della malavita romena e di quella albanese, non è tanto il numero dei reati, che pure è molto alto, specie in rapporto al numero di immigrati di queste nazionalità presenti in Italia. Ma è il livello di brutalità, il tasso di violenza usato per compiere la più piccola rapina. Per levarti cinque euro sono disposti a pestarti a sangue. Anche se la situazione peggiora di pari passo con l’aumentare degli stranieri in Italia, il fenomeno è evidente da anni. Eppure Veltroni, sino a poco tempo fa, dava del razzista a chi puntava il dito contro i romeni. Nel giugno del 2006, davanti ai suoi concittadini preoccupati per l’aumento dei crimini commessi da questi immigrati, il sindaco buonista sfoderava il suo sermoncino: «Vorrei invitare tutti a non fare la cosa più semplice, a non diventare razzisti, perché quando c’è una rapina si dice: “Un romeno fa una rapina”». E invece no, non bisognava dirlo: nella Roma di Veltroni, «inclusiva» e «solidale», era politicamente scorretto indicare la nazionalità del delinquente.

C’è voluto il corpo massacrato di Giovanna Reggiani per far uscire il sindaco dal suo sogno rosa confetto e fargli capire che avevano ragione “gli altri”, quelli che lui chiamava razzisti. Poche ore dopo che la donna era stata ridotta in fin di vita, Veltroni ha detto l’indicibile, ha ammesso che i romeni sono peggiori degli altri immigrati: «Quando il 75% degli arrestati proviene da un solo Paese, e tutti gli episodi hanno la stessa modalità, ovvero aggressione violenta, furto, stupro e omicidio, esiste un problema specifico», ha riconosciuto con qualche anno di ritardo.

E fa pena vedere Romano Prodi, che resta a palazzo Chigi solo perché Veltroni ha ancora bisogno di tenerlo lì per un po’, battere i pugni sul tavolo e dire che «quanto si doveva, è stato fatto». Se il “pacchetto sicurezza” approvato per decreto mercoledì sera era «cosa dovuta», perché il suo governo ha agito solo dopo l’aggressione della donna? Perché, sino a quel momento, il suo esecutivo e la sua maggioranza hanno fatto di tutto per rendere il più lassista possibile la politica nei confronti degli immigrati? Il bello di Veltroni, Prodi e compagni è che riescono a fare tutti questi contorcimenti senza pentirsi né arrossire. Senza sentirsi in dovere di dare uno straccio di spiegazione. Anzi, lo fanno con la spocchia di sempre, fingendo di essere in perfetta coerenza con quanto fatto sino a ieri e continuando a dire che il cialtrone parolaio è Silvio Berlusconi.

La verità è che hanno dovuto fare la faccia da duri e dare un giro di vite in fretta e furia perché l’omicidio è avvenuto in un momento delicatissimo per la sinistra e nella città governata da Veltroni, quella che il leader del partito democratico propone come modello per il resto d’Italia. Non scordiamolo: il 21 agosto scorso un romeno e due albanesi, imbottiti di cocaina, avevano massacrato e ucciso Lucia Comin e Guido Pellicciardi, dopo essere entrati nella loro abitazione. Un delitto duplice che, quanto a efferatezza, regge benissimo il confronto con quello di Roma. Anche in quel caso, gli assassini erano immigrati. Ma allora non ci fu nessuna riunione straordinaria del consiglio dei ministri e nessun provvedimento venne varato d’emergenza. Perché la violenza era avvenuta a Treviso e in un momento in cui la sinistra non si stava giocando la sua sopravvivenza.

Stavolta, invece, all’omicidio di Tor di Quinto tutti gli italiani collegano la faccia del sindaco Veltroni, leader del primo partito della sinistra, impegnato in un difficilissimo recupero di consensi. Sul tavolo del segretario del partito democratico era appena planato qualche sondaggio un po’ meno deprimente del solito. Ora, quanto avvenuto nella sua città rischia di vanificare la campagna autopromozionale che si era preparato con tanta cura. È toccato a Prodi - destino ingrato - cercare di tappare la falla. Perché a sinistra dicono che l’opposizione sta usando l’omicidio della Reggiani per lanciare un’aggressione politica al governo, e ovviamente è vero. Ma il cinismo di Gianfranco Fini e degli altri leader del centrodestra non è diverso da quello che ha spinto Prodi e Veltroni a fare quello che non avevano voluto fare due mesi fa, dopo la mattanza di Treviso.

© Libero. Pubblicato il 2 novembre 2007.

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