Il ditone di Antonione, il Culo di Prodi
di Fausto Carioti
Ha già scritto tutto qualche anno fa Edmondo Berselli, che essendo direttore di una rivista colta come il Mulino conosce le categorie della politica: «È il Culo di Prodi. Come tutti i fenomeni meravigliosi, come un monstrum smisurato e stupefacente, come un prodigio prenaturale, una chimera, una fenice, una cometa, il C. di Prodi è un Ente largamente imprevedibile. Una giocata di classe indicibile, come una “rabona” di Maradona, una “ruleta” di Zidane, un missile di Adriano». Imprevedibile, ovvero che entra in azione quando meno te lo aspetti. Perché alla fine Silvio Berlusconi era lì lì per spuntarla. Mentre tutti - i suoi alleati per primi - lo davano per abbattuto, il Cavaliere era a un passo dal vincere il match con Romano Prodi. Le spaccature della sinistra stavano per mandare in crisi il governo sulla Finanziaria. Poi è intervenuto Lui. Assente da tempo, il C. di Prodi ha scelto di manifestarsi nel momento decisivo della legislatura. Il “monstrum smisurato” ha deviato la traiettoria del dito di Roberto Antonione, 54 anni, vicepresidente dei senatori di Forza Italia e berlusconiano doc. Doveva finire sul pulsante bianco. È piombato su quello verde. E la storia di questa legislatura è cambiata. Prodi la sfanga e salva le terga. Anzi, le benedice. Berlusconi mastica amaro. Antonione, in lacrime, fa sapere che è pronto a dimettersi.
Sono le sei di sera quando l’aula vota l’emendamento che introduce nell’ordinamento italiano la class action, ovvero la possibilità per i consumatori di fare una causa collettiva contro le aziende. È una proposta di Willer Bordon e Roberto Manzione, due senatori “dissidenti” del centrosinistra. Hanno votato la Finanziaria assieme all’Unione in cambio della garanzia che il governo appoggerà i loro emendamenti. Infatti l’esecutivo esprime parere favorevole sulla class action. Ma a sinistra non tutti sono convinti. Anna Finocchiaro, generale in gonnella che ha il compito di tenere compatta la palude del centrosinistra, si alza, va dai due senatori della Südtiroler Volkspartei, Helga Thaler Ausserhofer e Manfred Pinzger, e li avverte: «Se non passa l’emendamento, non passa nemmeno la Finanziaria». Che vuol dire: o votate con noi, o ce ne andiamo tutti a casa.
L’emendamento è approvato con 158 voti a favore: gli astenuti e i contrari sono 156. Se uno di quelli che hanno dato voto favorevole si fosse astenuto, sarebbe finita in parità. Questo avrebbe significato bocciare il provvedimento, rompere il fragilissimo equilibrio del centrosinistra e mandare in crisi Prodi. Quel voto c’era: era di Antonione, che col viso terreo prende la parola e fa sapere di aver sbagliato. Voleva astenersi (pulsante bianco), come hanno fatto tanti suoi colleghi di Forza Italia. Ma, per motivi che nemmeno lui sa spiegarsi (e che del resto, come abbiamo visto, hanno a che vedere con un’entità metafisica e imponderabile), ha pigiato il pulsante verde: voto favorevole. Povero pirla, viene da dirgli. Come il bambino imbranato che ti sfascia il televisore con una pallonata: il primo istinto è quello di strozzarlo, poi lo vedi con le lacrime agli occhi e ti limiti a imprecare in silenzio.
L’episodio cambia l’esito della partita, ma non il giudizio politico. Che ricalca il copione già visto nella scorsa campagna elettorale. Berlusconi straparla, va avanti a testa bassa, fa la figura del matto e nessuno lo prende sul serio. A cose fatte, però, tutti si accorgono che aveva ragione lui. Le elezioni si potevano vincere: sarebbe bastato cancellare quelle norme sulla par condicio che riducevano al minimo i confronti televisivi tra i due schieramenti. Berlusconi voleva farlo, ma i suoi alleati non lo hanno seguito. Per poi accorgersi che sarebbe bastato prendere 24mila voti in più per restare al governo.
Stesso discorso in questi giorni. An, l’Udc e persino la Lega hanno iniziato ad accusare Berlusconi di averli trascinati in un’altra delle sue follie: puntare tutto su una spallata impossibile. Prima ancora che terminasse la discussione della Finanziaria in Senato, gli hanno fatto sapere che avrebbero iniziato la politica delle mani libere: si inizia a trattare sulle riforme con Walter Veltroni, il nuovo che avanza. E pazienza se in questo modo avrebbero dato l’impressione di una coalizione allo sfascio. Invece il leader di Forza Italia, con le sue solite fanfaronate, l’aveva azzeccata anche stavolta. Lo ha tradito il ditone di Antonione.
Ma se Prodi festeggia, sbaglia. Dedichi pure uno sfottò al suo rivale, però poi inizi a preoccuparsi sul serio. Ha potuto approvare la manovra senza ricorrere alla fiducia solo perché il centrodestra ha voluto presentare pochissimi emendamenti (sbagliando, ammettono ora in molti). A palazzo Madama la sua coalizione è stata disastrosa. Ogni singola componente della maggioranza, ogni singolo senatore si è sentito in diritto di pretendere qualcosa dal governo. Prodi non ha potuto fare altro che chinare il capo e concedere. Se le concessioni a Dini facevano incavolare Rifondazione e Comunisti italiani, lui li recuperava a colpi di altre regalie. Proseguendo così nel cammino adottato da inizio legislatura: quello di Prodi, come ha scritto (da sinistra) Luca Ricolfi sulla Stampa, «è il primo governo che vara manovre che anziché correggere i nostri squilibri li aggravano, e lo fanno intenzionalmente».
Tanta generosità nell’uso dei soldi pubblici non è bastata: ieri Bordon e Dini hanno detto in modo chiaro che la maggioranza è morta e che occorre aprire una nuova fase politica. Intanto il provvedimento più lacerante per il centrosinistra, il pacchetto sul welfare, ancora deve essere discusso. Mentre si avvicina il referendum proposto da Mario Segni: se la legge elettorale non viene cambiata nel frattempo, a primavera si vota per ridurre il numero dei partiti. Clemente Mastella ha già detto che, piuttosto che correre questo rischio, fa cadere il governo e terminare la legislatura. Insomma, visto come è andata ieri, Berlusconi ha ottimi motivi per piangere, ma Prodi non ha nessun motivo per ridere.
© Libero. Pubblicato il 16 novembre 2007.
Ha già scritto tutto qualche anno fa Edmondo Berselli, che essendo direttore di una rivista colta come il Mulino conosce le categorie della politica: «È il Culo di Prodi. Come tutti i fenomeni meravigliosi, come un monstrum smisurato e stupefacente, come un prodigio prenaturale, una chimera, una fenice, una cometa, il C. di Prodi è un Ente largamente imprevedibile. Una giocata di classe indicibile, come una “rabona” di Maradona, una “ruleta” di Zidane, un missile di Adriano». Imprevedibile, ovvero che entra in azione quando meno te lo aspetti. Perché alla fine Silvio Berlusconi era lì lì per spuntarla. Mentre tutti - i suoi alleati per primi - lo davano per abbattuto, il Cavaliere era a un passo dal vincere il match con Romano Prodi. Le spaccature della sinistra stavano per mandare in crisi il governo sulla Finanziaria. Poi è intervenuto Lui. Assente da tempo, il C. di Prodi ha scelto di manifestarsi nel momento decisivo della legislatura. Il “monstrum smisurato” ha deviato la traiettoria del dito di Roberto Antonione, 54 anni, vicepresidente dei senatori di Forza Italia e berlusconiano doc. Doveva finire sul pulsante bianco. È piombato su quello verde. E la storia di questa legislatura è cambiata. Prodi la sfanga e salva le terga. Anzi, le benedice. Berlusconi mastica amaro. Antonione, in lacrime, fa sapere che è pronto a dimettersi.
Sono le sei di sera quando l’aula vota l’emendamento che introduce nell’ordinamento italiano la class action, ovvero la possibilità per i consumatori di fare una causa collettiva contro le aziende. È una proposta di Willer Bordon e Roberto Manzione, due senatori “dissidenti” del centrosinistra. Hanno votato la Finanziaria assieme all’Unione in cambio della garanzia che il governo appoggerà i loro emendamenti. Infatti l’esecutivo esprime parere favorevole sulla class action. Ma a sinistra non tutti sono convinti. Anna Finocchiaro, generale in gonnella che ha il compito di tenere compatta la palude del centrosinistra, si alza, va dai due senatori della Südtiroler Volkspartei, Helga Thaler Ausserhofer e Manfred Pinzger, e li avverte: «Se non passa l’emendamento, non passa nemmeno la Finanziaria». Che vuol dire: o votate con noi, o ce ne andiamo tutti a casa.
L’emendamento è approvato con 158 voti a favore: gli astenuti e i contrari sono 156. Se uno di quelli che hanno dato voto favorevole si fosse astenuto, sarebbe finita in parità. Questo avrebbe significato bocciare il provvedimento, rompere il fragilissimo equilibrio del centrosinistra e mandare in crisi Prodi. Quel voto c’era: era di Antonione, che col viso terreo prende la parola e fa sapere di aver sbagliato. Voleva astenersi (pulsante bianco), come hanno fatto tanti suoi colleghi di Forza Italia. Ma, per motivi che nemmeno lui sa spiegarsi (e che del resto, come abbiamo visto, hanno a che vedere con un’entità metafisica e imponderabile), ha pigiato il pulsante verde: voto favorevole. Povero pirla, viene da dirgli. Come il bambino imbranato che ti sfascia il televisore con una pallonata: il primo istinto è quello di strozzarlo, poi lo vedi con le lacrime agli occhi e ti limiti a imprecare in silenzio.
L’episodio cambia l’esito della partita, ma non il giudizio politico. Che ricalca il copione già visto nella scorsa campagna elettorale. Berlusconi straparla, va avanti a testa bassa, fa la figura del matto e nessuno lo prende sul serio. A cose fatte, però, tutti si accorgono che aveva ragione lui. Le elezioni si potevano vincere: sarebbe bastato cancellare quelle norme sulla par condicio che riducevano al minimo i confronti televisivi tra i due schieramenti. Berlusconi voleva farlo, ma i suoi alleati non lo hanno seguito. Per poi accorgersi che sarebbe bastato prendere 24mila voti in più per restare al governo.
Stesso discorso in questi giorni. An, l’Udc e persino la Lega hanno iniziato ad accusare Berlusconi di averli trascinati in un’altra delle sue follie: puntare tutto su una spallata impossibile. Prima ancora che terminasse la discussione della Finanziaria in Senato, gli hanno fatto sapere che avrebbero iniziato la politica delle mani libere: si inizia a trattare sulle riforme con Walter Veltroni, il nuovo che avanza. E pazienza se in questo modo avrebbero dato l’impressione di una coalizione allo sfascio. Invece il leader di Forza Italia, con le sue solite fanfaronate, l’aveva azzeccata anche stavolta. Lo ha tradito il ditone di Antonione.
Ma se Prodi festeggia, sbaglia. Dedichi pure uno sfottò al suo rivale, però poi inizi a preoccuparsi sul serio. Ha potuto approvare la manovra senza ricorrere alla fiducia solo perché il centrodestra ha voluto presentare pochissimi emendamenti (sbagliando, ammettono ora in molti). A palazzo Madama la sua coalizione è stata disastrosa. Ogni singola componente della maggioranza, ogni singolo senatore si è sentito in diritto di pretendere qualcosa dal governo. Prodi non ha potuto fare altro che chinare il capo e concedere. Se le concessioni a Dini facevano incavolare Rifondazione e Comunisti italiani, lui li recuperava a colpi di altre regalie. Proseguendo così nel cammino adottato da inizio legislatura: quello di Prodi, come ha scritto (da sinistra) Luca Ricolfi sulla Stampa, «è il primo governo che vara manovre che anziché correggere i nostri squilibri li aggravano, e lo fanno intenzionalmente».
Tanta generosità nell’uso dei soldi pubblici non è bastata: ieri Bordon e Dini hanno detto in modo chiaro che la maggioranza è morta e che occorre aprire una nuova fase politica. Intanto il provvedimento più lacerante per il centrosinistra, il pacchetto sul welfare, ancora deve essere discusso. Mentre si avvicina il referendum proposto da Mario Segni: se la legge elettorale non viene cambiata nel frattempo, a primavera si vota per ridurre il numero dei partiti. Clemente Mastella ha già detto che, piuttosto che correre questo rischio, fa cadere il governo e terminare la legislatura. Insomma, visto come è andata ieri, Berlusconi ha ottimi motivi per piangere, ma Prodi non ha nessun motivo per ridere.
© Libero. Pubblicato il 16 novembre 2007.