Maroni aveva fatto i conti senza i presidi
di Fausto Carioti
Quando Roberto Maroni, due giorni fa, ha avvertito che «chi occupa abusivamente le scuole, impedendo ad altri di studiare, sarà denunciato», ha detto una cosa che in un “paese normale” (espressione con cui a sinistra amano riempirsi la bocca) manco si dovrebbe dire, tanto è banale. Il principio per cui la mia libertà finisce dove inizia la libertà altrui, e che il primo compito dello Stato è far rispettare questo confine, è l’essenza della democrazia liberale. Accusare il ministro dell’Interno di lanciare «minacce» fasciste, come stanno facendo la Cgil e tutta la sinistra, incluso il Pd, conferma il perdurante analfabetismo degli orfani del Pci in materia di libertà individuali.
Tanto più che non c’è bisogno di scrivere nuove leggi o di slabbrare le norme già esistenti. È già tutto nel codice penale. Articolo 340: «Chiunque, fuori dei casi preveduti da particolari disposizioni di legge, cagiona un’interruzione o turba la regolarità di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità, è punito con la reclusione fino a un anno. I capi promotori od organizzatori sono puniti con la reclusione da uno a cinque anni». Articolo 633: «Chiunque invade arbitrariamente terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di occuparli o di trarne altrimenti profitto, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a due anni o con la multa da euro 103 a euro 1.032». Insomma, le leggi ci sono e parlano chiaro.
Maroni, però, aveva fatto i conti senza i rettori e i presidi delle facoltà universitarie e delle scuole superiori. Se nessuno di loro alza la cornetta e chiama la questura, la polizia non interviene, le occupazioni e i picchetti proseguono e i diritti dei poveri illusi convinti che la scuola serva per studiare e non per fare casino continuano a essere calpestati. Ed è proprio quello che sta succedendo in questi giorni. Vuoi perché molti dei presidi sono figli del Sessantotto e davanti agli slogan dei cortei e agli scontri di piazza Navona hanno riassaporato pulsioni antiche. Vuoi perché tanti altri di loro tirano a campare e non vogliono avere rogne con studenti agitati e professori isterici. Fatto sta che ieri sera, a domanda diretta, dal ministero dell’Interno hanno risposto di non aver ricevuto «alcuna segnalazione» dai responsabili degli istituti e delle facoltà. Eppure a Roma, a un chilometro dal Viminale, ci sono sei facoltà universitarie “okkupate”.
In tutta Italia sono centinaia i presidi e rettori che si sono arruolati tra le cheerleader del movimento o fanno finta di niente davanti a chi blocca le lezioni con la forza. Certo, l’intervento delle forze dell’ordine potrebbe essere chiesto pure da un insegnante, dal genitore di un alunno o da uno studente. Ma si tratta di ipotesi del tutto improbabili, se non altro perché l’autore della denuncia sarebbe oggetto delle ritorsioni di colleghi e superiori intenzionati a bloccare l’attività dei licei e degli atenei. L’omertà, invece, paga sempre.
Così, se Maroni vuole essere coerente con le sue parole e intende davvero portare a giudizio chi impedisce agli altri di studiare, deve varcare il Rubicone. Gli uomini in divisa non debbono agire solo su chiamata, ma andare “motu proprio” negli istituti occupati (ogni commissariato sa quali sono) e ripristinare la normalità, dopo aver identificato i responsabili. Tra i quali un posto particolare dovrebbe essere riservato ai dirigenti degli istituti che hanno chiuso occhi, orecchie e bocca davanti a chi ha bloccato le lezioni. Anche in questo caso il reato già esiste: si chiama omissione di denuncia. Se il governo non ha la forza politica per fare questo passo, è inutile promettere che i colpevoli saranno puniti.
Anche perché, tra giudici compiacenti, politici leccaculo pronti a intervenire e scappatoie offerte dalla legge, è ovvio che nessuno dei ragazzotti dediti alle occupazioni passerebbe un minuto in carcere. Ma almeno si darebbe l’impressione che lo Stato c’è (non solo quando si tratta di chiedere le tasse), per una volta non ha paura dei violenti (anzi li porta in tribunale) e difende anche i diritti di chi non urla. Vivaiddio, questa sì che sarebbe una rivoluzione.
© Libero. Pubblicato il 1 novembre 2008.
Quando Roberto Maroni, due giorni fa, ha avvertito che «chi occupa abusivamente le scuole, impedendo ad altri di studiare, sarà denunciato», ha detto una cosa che in un “paese normale” (espressione con cui a sinistra amano riempirsi la bocca) manco si dovrebbe dire, tanto è banale. Il principio per cui la mia libertà finisce dove inizia la libertà altrui, e che il primo compito dello Stato è far rispettare questo confine, è l’essenza della democrazia liberale. Accusare il ministro dell’Interno di lanciare «minacce» fasciste, come stanno facendo la Cgil e tutta la sinistra, incluso il Pd, conferma il perdurante analfabetismo degli orfani del Pci in materia di libertà individuali.
Tanto più che non c’è bisogno di scrivere nuove leggi o di slabbrare le norme già esistenti. È già tutto nel codice penale. Articolo 340: «Chiunque, fuori dei casi preveduti da particolari disposizioni di legge, cagiona un’interruzione o turba la regolarità di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità, è punito con la reclusione fino a un anno. I capi promotori od organizzatori sono puniti con la reclusione da uno a cinque anni». Articolo 633: «Chiunque invade arbitrariamente terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di occuparli o di trarne altrimenti profitto, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a due anni o con la multa da euro 103 a euro 1.032». Insomma, le leggi ci sono e parlano chiaro.
Maroni, però, aveva fatto i conti senza i rettori e i presidi delle facoltà universitarie e delle scuole superiori. Se nessuno di loro alza la cornetta e chiama la questura, la polizia non interviene, le occupazioni e i picchetti proseguono e i diritti dei poveri illusi convinti che la scuola serva per studiare e non per fare casino continuano a essere calpestati. Ed è proprio quello che sta succedendo in questi giorni. Vuoi perché molti dei presidi sono figli del Sessantotto e davanti agli slogan dei cortei e agli scontri di piazza Navona hanno riassaporato pulsioni antiche. Vuoi perché tanti altri di loro tirano a campare e non vogliono avere rogne con studenti agitati e professori isterici. Fatto sta che ieri sera, a domanda diretta, dal ministero dell’Interno hanno risposto di non aver ricevuto «alcuna segnalazione» dai responsabili degli istituti e delle facoltà. Eppure a Roma, a un chilometro dal Viminale, ci sono sei facoltà universitarie “okkupate”.
In tutta Italia sono centinaia i presidi e rettori che si sono arruolati tra le cheerleader del movimento o fanno finta di niente davanti a chi blocca le lezioni con la forza. Certo, l’intervento delle forze dell’ordine potrebbe essere chiesto pure da un insegnante, dal genitore di un alunno o da uno studente. Ma si tratta di ipotesi del tutto improbabili, se non altro perché l’autore della denuncia sarebbe oggetto delle ritorsioni di colleghi e superiori intenzionati a bloccare l’attività dei licei e degli atenei. L’omertà, invece, paga sempre.
Così, se Maroni vuole essere coerente con le sue parole e intende davvero portare a giudizio chi impedisce agli altri di studiare, deve varcare il Rubicone. Gli uomini in divisa non debbono agire solo su chiamata, ma andare “motu proprio” negli istituti occupati (ogni commissariato sa quali sono) e ripristinare la normalità, dopo aver identificato i responsabili. Tra i quali un posto particolare dovrebbe essere riservato ai dirigenti degli istituti che hanno chiuso occhi, orecchie e bocca davanti a chi ha bloccato le lezioni. Anche in questo caso il reato già esiste: si chiama omissione di denuncia. Se il governo non ha la forza politica per fare questo passo, è inutile promettere che i colpevoli saranno puniti.
Anche perché, tra giudici compiacenti, politici leccaculo pronti a intervenire e scappatoie offerte dalla legge, è ovvio che nessuno dei ragazzotti dediti alle occupazioni passerebbe un minuto in carcere. Ma almeno si darebbe l’impressione che lo Stato c’è (non solo quando si tratta di chiedere le tasse), per una volta non ha paura dei violenti (anzi li porta in tribunale) e difende anche i diritti di chi non urla. Vivaiddio, questa sì che sarebbe una rivoluzione.
© Libero. Pubblicato il 1 novembre 2008.