Epifani torna sulla Terra
di Fausto Carioti
La crisi economica? Sarà molto più dura del previsto. Il grande sciopero generale del 12 dicembre? Si può anche non fare. No, non è Giulio Tremonti. Per un giorno (dies aureo signanda lapillo) è toccato a Guglielmo Epifani usare il linguaggio del realismo. È presto per dire se la lunga serie di toppe inanellate dal segretario della Cgil, culminate nella rottura con Cisl e Uil, lo abbia indotto a una svolta, oppure se si tratti dell’ennesimo tatticismo destinato a durare poche ore. Ma di sicuro Epifani ieri è apparso molto meno bellicoso e intransigente dei giorni precedenti. Disponibile al dialogo, verrebbe da dire se si trattasse di un’altra persona.
«Dalla ricognizione che stiamo facendo in queste ore esce una crisi ancora più pesante. Sta arrivando una valanga e c’è bisogno di un intervento di proporzioni molto forti», ha detto il sindacalista. Quanto al maxi-sciopero, ha assicurato che se il governo dovesse accogliere «il senso delle proposte» della Cgil, la sua confederazione sarebbe «pronta a riflettere» sulla protesta. Insomma, la Cgil sembra cambiare priorità: fino ad oggi, come hanno detto senza giri di parole i leader di Cisl e Uil, il sindacato di corso Italia si è preoccupato soprattutto di «fare politica», cioè di capitanare l’opposizione al governo Berlusconi. In nome della conservazione, si è spinto sino a dire no alla riforma «anti-fannulloni» della pubblica amministrazione disegnata da Renato Brunetta. Un provvedimento che promette tagli di stipendi e licenziamenti per i più lavativi tra dirigenti e dipendenti pubblici, visto di buon occhio dallo stesso Partito democratico che infatti, al Senato, non ha votato contro il decreto. Dunque tanta ideologia paleomarxista, quella per cui i lavoratori sono sfruttati per definizione e hanno sempre ragione, e molto poco buonsenso. Adesso, invece, il leader della Cgil sembra mettere da parte il conflitto con il governo e portare in primo piano la lotta alla crisi economica.
Dire che il risveglio di Epifani è tardivo è un grazioso eufemismo. L’economia manda segnali pessimi già da mesi e disastrosi ormai da diverse settimane. Confindustria dice che quella attuale sarà la recessione più lunga del dopoguerra e ipotizza un calo della ricchezza prodotta dal paese dello 0,4% nell’anno in corso e di un ulteriore 1% nel 2009. Le ultime previsioni parlano di un calo dei consumi destinato a durare almeno sino al 2010. Certo, va male dappertutto. Ma anche quando gli altri Paesi ricominceranno a crescere, ha avvertito la Confcommercio, «noi continueremo a barcamenarci con le variazioni decimali di Pil e consumi, come accade da venti anni a questa parte e in particolare dagli anni 2000». Ovvero da quando l’Italia ha dovuto rinunciare alle cosiddette “svalutazioni competitive”, con le quali per decenni si era deprezzata la lira rispetto alle altre monete e si erano rese più competitive le nostre esportazioni, rinunciando però a fare una politica industriale degna di questo nome. Il prezzo di quelle scelte lo paghiamo adesso.
Davanti allo sfascio attuale e a un orizzonte tanto tetro, i sindacati non ideologizzati hanno preso l’unica decisione sensata: sedersi a un tavolo e trovare in fretta un’intesa con il governo per rendere la macchina pubblica un po’ più efficiente e il suo costo un po’ meno gravoso per le famiglie e le imprese. Gli accordi per riformare la Pubblica amministrazione raggiunti dal ministro Renato Brunetta con Cisl e Uil, e respinti dalla Cgil, rientrano proprio in questa logica.
Ma Epifani non si è limitato a dire no. Si è anche messo a ballare sul Titanic, organizzando uno sciopero generale per metà dicembre allo scopo di bloccare il Paese. L’ultima cosa di cui ha bisogno un’economia in recessione. Tanto che la decisione della Cgil è stata accolta con grande freddezza anche dal Pd. Gli unici ad apprezzare sono stati quelli di Rifondazione comunista, ormai extraparlamentari a tutti gli effetti e accreditati dagli ultimi sondaggi solo dell’uno per cento delle intenzioni di voto. Alleati inquietanti, per il più grande sindacato italiano. Insomma, se solo volesse Epifani avrebbe mille buoni motivi per ripensare alle sue scelte recenti. Ma forse questo è chiedere troppo.
© Libero. Pubblicato il 21 novembre 2008.
La crisi economica? Sarà molto più dura del previsto. Il grande sciopero generale del 12 dicembre? Si può anche non fare. No, non è Giulio Tremonti. Per un giorno (dies aureo signanda lapillo) è toccato a Guglielmo Epifani usare il linguaggio del realismo. È presto per dire se la lunga serie di toppe inanellate dal segretario della Cgil, culminate nella rottura con Cisl e Uil, lo abbia indotto a una svolta, oppure se si tratti dell’ennesimo tatticismo destinato a durare poche ore. Ma di sicuro Epifani ieri è apparso molto meno bellicoso e intransigente dei giorni precedenti. Disponibile al dialogo, verrebbe da dire se si trattasse di un’altra persona.
«Dalla ricognizione che stiamo facendo in queste ore esce una crisi ancora più pesante. Sta arrivando una valanga e c’è bisogno di un intervento di proporzioni molto forti», ha detto il sindacalista. Quanto al maxi-sciopero, ha assicurato che se il governo dovesse accogliere «il senso delle proposte» della Cgil, la sua confederazione sarebbe «pronta a riflettere» sulla protesta. Insomma, la Cgil sembra cambiare priorità: fino ad oggi, come hanno detto senza giri di parole i leader di Cisl e Uil, il sindacato di corso Italia si è preoccupato soprattutto di «fare politica», cioè di capitanare l’opposizione al governo Berlusconi. In nome della conservazione, si è spinto sino a dire no alla riforma «anti-fannulloni» della pubblica amministrazione disegnata da Renato Brunetta. Un provvedimento che promette tagli di stipendi e licenziamenti per i più lavativi tra dirigenti e dipendenti pubblici, visto di buon occhio dallo stesso Partito democratico che infatti, al Senato, non ha votato contro il decreto. Dunque tanta ideologia paleomarxista, quella per cui i lavoratori sono sfruttati per definizione e hanno sempre ragione, e molto poco buonsenso. Adesso, invece, il leader della Cgil sembra mettere da parte il conflitto con il governo e portare in primo piano la lotta alla crisi economica.
Dire che il risveglio di Epifani è tardivo è un grazioso eufemismo. L’economia manda segnali pessimi già da mesi e disastrosi ormai da diverse settimane. Confindustria dice che quella attuale sarà la recessione più lunga del dopoguerra e ipotizza un calo della ricchezza prodotta dal paese dello 0,4% nell’anno in corso e di un ulteriore 1% nel 2009. Le ultime previsioni parlano di un calo dei consumi destinato a durare almeno sino al 2010. Certo, va male dappertutto. Ma anche quando gli altri Paesi ricominceranno a crescere, ha avvertito la Confcommercio, «noi continueremo a barcamenarci con le variazioni decimali di Pil e consumi, come accade da venti anni a questa parte e in particolare dagli anni 2000». Ovvero da quando l’Italia ha dovuto rinunciare alle cosiddette “svalutazioni competitive”, con le quali per decenni si era deprezzata la lira rispetto alle altre monete e si erano rese più competitive le nostre esportazioni, rinunciando però a fare una politica industriale degna di questo nome. Il prezzo di quelle scelte lo paghiamo adesso.
Davanti allo sfascio attuale e a un orizzonte tanto tetro, i sindacati non ideologizzati hanno preso l’unica decisione sensata: sedersi a un tavolo e trovare in fretta un’intesa con il governo per rendere la macchina pubblica un po’ più efficiente e il suo costo un po’ meno gravoso per le famiglie e le imprese. Gli accordi per riformare la Pubblica amministrazione raggiunti dal ministro Renato Brunetta con Cisl e Uil, e respinti dalla Cgil, rientrano proprio in questa logica.
Ma Epifani non si è limitato a dire no. Si è anche messo a ballare sul Titanic, organizzando uno sciopero generale per metà dicembre allo scopo di bloccare il Paese. L’ultima cosa di cui ha bisogno un’economia in recessione. Tanto che la decisione della Cgil è stata accolta con grande freddezza anche dal Pd. Gli unici ad apprezzare sono stati quelli di Rifondazione comunista, ormai extraparlamentari a tutti gli effetti e accreditati dagli ultimi sondaggi solo dell’uno per cento delle intenzioni di voto. Alleati inquietanti, per il più grande sindacato italiano. Insomma, se solo volesse Epifani avrebbe mille buoni motivi per ripensare alle sue scelte recenti. Ma forse questo è chiedere troppo.
© Libero. Pubblicato il 21 novembre 2008.