Il Ground zero della sinistra

di Fausto Carioti

Ministri di Romano Prodi che parlano male delle scelte di Romano Prodi. Presunti talenti della politica, portati alla ribalta da Walter Veltroni, che dicono peste e corna delle proposte del loro mentore. A ben guardare la casa delle libertà, quella vera, dove ognuno fa quello che gli pare, è il Partito democratico. L’ultima occasione è il nuovo libro di Francesco Delzio, top manager di Piaggio ed ex direttore dei Giovani di Confindustria. S’intitola "Politica ground zero", lo ha appena stampato Rubbettino e costa 12 euro.

Il precedente libro di Delzio, "Generazione Tuareg", fu un piccolo caso editoriale citato da tanti, a destra come a sinistra (più di tutti ne parlò Gianfranco Fini), ed è normale che su questo nuovo saggio ci siano parecchie aspettative. Che non restano deluse. La tesi di Delzio è che si rischia, tempo qualche decennio, un mondo senza politica, almeno «nella sua forma più celebrata, la Democrazia. Troppo costosa, troppo inefficiente, troppo autoreferenziale. È stato un bel gioco, ci siamo divertiti tutti in quelle seratone elettorali vissute al cardiopalma per un exit poll sbagliato o per uno 0,2% in più conquistato dal partito del cuore. Ma ora basta, siamo nel 2050, non è più tempo di fiction». Si può evitare questo futuro, sostiene Delzio, soprattutto grazie ai leader carismatici, liberi dai vecchi paraocchi ideologici e capaci di risvegliare la passione per la politica. Personaggi come il presidente eletto americano, Barack Obama, il gaullista francese Nicolas Sarkozy o il quarantenne David Cameron, leader dei conservatori britannici.

E in Italia? Ecco, qui viene il bello. Silvio Berlusconi ormai è un fuori quota, tanto da essere paragonato nel libro a Napoleone III “le petit”, imperatore di Francia: ambizioso, populista, amante dello spettacolo, edificatore della grande Parigi dei boulevard, realizzatore della rete ferroviaria francese e autore di riforme importanti per il credito e l’industria. Resta da capire cosa c’è a sinistra. Delzio fa parlare otto donne dei due schieramenti, impegnate nella politica. Manco a dirlo, le cose peggiori sui leader del centrosinistra arrivano dalle esponenti dell’opposizione.

Linda Lanzillotta, ad esempio, fu ministro degli Affari regionali nel governo Prodi. Ecco cosa dice del suo presidente del consiglio e del più importante dei ministri di quell’esecutivo: «È stato un grande errore di Prodi voler affidare tutta la linea di politica economica a tecnici, perché esercitando quel livello di responsabilità si compiono scelte politiche a tutto tondo. E, non a caso, le uscite pubbliche del ministro Padoa Schioppa non portavano consenso».

Seppellito il responsabile dell’Economia, tocca dare il colpo di grazia a Prodi. Il quale, per una scellerata coincidenza, nei giorni scorsi si è attribuito il merito di aver rimosso i rifiuti dalla Campania: «Napoli l’abbiamo pulita noi, Berlusconi l’ha solo lucidata». La Lanzillotta, però, ricorda una storia ben diversa. La storia di un esecutivo dove qualcuno voleva fare le cose, ma alla fine vincevano sempre quelli del “no”. «La sopravvivenza quotidiana del governo Prodi è prevalsa sulla possibilità di spiegare direttamente al Paese le riforme che non piacevano alla sinistra conservatrice», racconta la Lanzillotta a Delzio. «L’emergenza dei rifiuti in Campania, per esempio, è stata avviata a soluzione dal governo Berlusconi mettendo in atto il piano che era già stato elaborato da Bertolaso su incarico del nostro governo, ma che noi non abbiamo potuto realizzare a causa dell’opposizione di Pecoraro Scanio». E tanti saluti alla “politica del fare”.

Ce n’è anche per Veltroni. Alessia Mosca, classe 1975, ricercatrice dell’Arel, il centro studi fondato da Nino Andreatta, è stata prima nominata responsabile Welfare del Pd, quindi portata in Parlamento grazie al vituperato sistema elettorale delle liste bloccate. Il suo è uno dei volti nuovi che Veltroni ha voluto lanciare per rendere il partito, se non più giovane, almeno più giovanile. Commentando la proposta di Veltroni per assegnare ai precari un «salario minimo legale» di mille euro al mese (costo per il contribuente: 50 miliardi di euro), la Mosca lo massacra così: «Ero contraria alla proposta del salario minimo. Durante la campagna elettorale cercavo di non parlarne, perché credo non sia una proposta riformista, ma un provvedimento di facciata, che aiuta poco o nulla i precari e non favorisce lo sviluppo del mercato del lavoro. Non è flessibilità, non è sicurezza. Oggi qualcuno vorrebbe ri-presentarla come disegno di legge al Senato, come provvedimento-bandiera del partito: io sono contrarissima».

E va bene la libertà di pensiero e di mandato, ma non si è mai visto un partito fondato sull’anarchia e lo sputtanamento dei suoi leader vincere alcunché e produrre qualcosa di diverso dal disorientamento degli elettori. Il “ground zero” della politica, almeno nella sinistra italiana, si spiega soprattutto così.

© Libero. Pubblicato il 18 novembre 2008.

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