Il prezzo da pagare per non aver ucciso l'Udc
di Fausto Carioti
In politica l’efficacia è tutto. Una delle poche regole dell’ambiente dice che, se non puoi ammazzare chi ti leva i voti, almeno prova a fartelo amico. Silvio Berlusconi a fare fuori l’Udc ci ha provato sul serio. Ci è anche andato molto vicino. Ma non ci è riuscito. Il progetto di cambiare la legge elettorale per le Europee, che introduceva una soglia di sbarramento al 5%, doveva servire proprio a spedire al parlamento di Strasburgo solo il Pdl e il Pd, e tutt’al più la Lega e l’Italia dei valori. Per il partito di Pier Ferdinando Casini sarebbe stata la mazzata finale. Inesistente al Senato, ininfluente alla Camera, se l’Unione di centro fosse stata estromessa pure dal parlamento europeo sarebbe diventata un partito-fantasma, tipo Rifondazione Comunista. Ma il presidente del consiglio aveva sopravvalutato la tenuta di Veltroni e dei suoi. Ai quali una simile legge elettorale sarebbe andata benissimo, ma non volevano metterci la faccia sopra. E siccome Berlusconi non aveva alcuna voglia di fare il lavoro “sporco” anche per loro, è finita che non se ne fa niente. In altre parole, l’Udc è salva. Non gode di ottima salute, ma le elezioni provinciali di Trento, dove assieme al Pd ha appena sconfitto il centrodestra, dimostrano che ha ancora qualcosa da dire. A questo punto, se Berlusconi vuole seguire la regola, deve provare a (ri) farseli amici.
Non sarà cosa facile. Intanto perché, se ai parlamentari di Forza Italia fai il nome di Casini, la mano di costoro corre subito alla fondina. Lo stesso Berlusconi ricorda ancora come un incubo gli anni di governo trascorsi con l’Udc impegnata a cuocerlo a fuoco lento, ed è convinto (ed è difficile dargli torto) che, se il suo esecutivo attuale sta combinando qualcosa, è proprio perché non ha chi gli mette i bastoni tra le ruote un giorno sì e l’altro pure. Certi rancori in politica contano, ma la storia insegna che ci si può chiudere un occhio sopra: il carteggio degli insulti tra Umberto Bossi e Berlusconi è lì a dimostrarlo. I sondaggi, del resto, non saranno sempre smaglianti come adesso, e verrà il momento in cui un alleato in più, almeno nelle elezioni locali, sarà decisivo. Già oggi, l’impressione è che il Pdl riesca a vincere quasi ovunque se Pd e Udc corrono separati, ma soffra parecchio, e rischi batoste tipo quella di Trento, se si presentano insieme. Le occasioni per replicare l’esperimento dello scorso fine settimana all’Udc non mancheranno. Prima dell’estate milioni di italiani saranno chiamati alle urne per rinnovare molte amministrazioni locali. L’Udc è per la politica delle mani libere: sceglie di volta in volta con chi allearsi, a seconda delle amicizie e di come gira il vento. In Abruzzo, dove il 30 novembre si vota per la Regione, correrà da sola, lontana dal candidato che Antonio Di Pietro ha imposto al Pd. A Bologna, Casini appoggerà invece il ritorno a sindaco di Giorgio Guazzaloca, assieme al Pdl.
Al momento, con Veltroni alla guida del Pd, l’ipotesi di un’alleanza stabile con l’Udc è remota. Ma il pendolo del potere, dentro al Partito democratico, ha già iniziato a oscillare, e punta dritto verso Massimo D’Alema e i suoi. I quali puntano proprio ad allargare il giro delle alleanze, includendo per prima l’Udc. I rapporti tra D’Alema e i casiniani sono già ottimi. Alla festa dell’Udc, la scorsa estate, l’omino coi baffi fu quasi portato in trionfo. Se l’asse tra Pdl e Pd per cambiare la legge elettorale delle europee non ha retto, parte del merito (o della colpa) va proprio a D’Alema. Del resto la legge elettorale che piace a lui, basata sul modello proporzionale tedesco corretto con una soglia di sbarramento attorno al 3% e il voto di preferenza, è la stessa che vuole l’Udc. Ed è sempre D’Alema quello che, come Casini, va in giro a dire che le elezioni si vincono conquistando gli elettori moderati.
Insomma, tutto lascia pensare che Berlusconi, nel momento stesso in cui ha rinunciato ad affossare l’Udc, si sia condannato a trattare con Casini, se non altro per sottrarlo all’orbita del Pd. Potrebbe persino essere un’esperienza meno spiacevole del previsto. Avranno tanti difetti, gli ex diccì, ma un tavolo attorno al quale discutere non lo negano a nessuno. Soprattutto, sono molto pragmatici. E oggi, tra Berlusconi e il Pd, non c’è dubbio che sia il presidente del consiglio quello che offre le maggiori garanzie. Coraggio, Cavaliere. In fondo, se l’è cercata lei.
© Libero. Pubblicato il 12 novembre 2008.
In politica l’efficacia è tutto. Una delle poche regole dell’ambiente dice che, se non puoi ammazzare chi ti leva i voti, almeno prova a fartelo amico. Silvio Berlusconi a fare fuori l’Udc ci ha provato sul serio. Ci è anche andato molto vicino. Ma non ci è riuscito. Il progetto di cambiare la legge elettorale per le Europee, che introduceva una soglia di sbarramento al 5%, doveva servire proprio a spedire al parlamento di Strasburgo solo il Pdl e il Pd, e tutt’al più la Lega e l’Italia dei valori. Per il partito di Pier Ferdinando Casini sarebbe stata la mazzata finale. Inesistente al Senato, ininfluente alla Camera, se l’Unione di centro fosse stata estromessa pure dal parlamento europeo sarebbe diventata un partito-fantasma, tipo Rifondazione Comunista. Ma il presidente del consiglio aveva sopravvalutato la tenuta di Veltroni e dei suoi. Ai quali una simile legge elettorale sarebbe andata benissimo, ma non volevano metterci la faccia sopra. E siccome Berlusconi non aveva alcuna voglia di fare il lavoro “sporco” anche per loro, è finita che non se ne fa niente. In altre parole, l’Udc è salva. Non gode di ottima salute, ma le elezioni provinciali di Trento, dove assieme al Pd ha appena sconfitto il centrodestra, dimostrano che ha ancora qualcosa da dire. A questo punto, se Berlusconi vuole seguire la regola, deve provare a (ri) farseli amici.
Non sarà cosa facile. Intanto perché, se ai parlamentari di Forza Italia fai il nome di Casini, la mano di costoro corre subito alla fondina. Lo stesso Berlusconi ricorda ancora come un incubo gli anni di governo trascorsi con l’Udc impegnata a cuocerlo a fuoco lento, ed è convinto (ed è difficile dargli torto) che, se il suo esecutivo attuale sta combinando qualcosa, è proprio perché non ha chi gli mette i bastoni tra le ruote un giorno sì e l’altro pure. Certi rancori in politica contano, ma la storia insegna che ci si può chiudere un occhio sopra: il carteggio degli insulti tra Umberto Bossi e Berlusconi è lì a dimostrarlo. I sondaggi, del resto, non saranno sempre smaglianti come adesso, e verrà il momento in cui un alleato in più, almeno nelle elezioni locali, sarà decisivo. Già oggi, l’impressione è che il Pdl riesca a vincere quasi ovunque se Pd e Udc corrono separati, ma soffra parecchio, e rischi batoste tipo quella di Trento, se si presentano insieme. Le occasioni per replicare l’esperimento dello scorso fine settimana all’Udc non mancheranno. Prima dell’estate milioni di italiani saranno chiamati alle urne per rinnovare molte amministrazioni locali. L’Udc è per la politica delle mani libere: sceglie di volta in volta con chi allearsi, a seconda delle amicizie e di come gira il vento. In Abruzzo, dove il 30 novembre si vota per la Regione, correrà da sola, lontana dal candidato che Antonio Di Pietro ha imposto al Pd. A Bologna, Casini appoggerà invece il ritorno a sindaco di Giorgio Guazzaloca, assieme al Pdl.
Al momento, con Veltroni alla guida del Pd, l’ipotesi di un’alleanza stabile con l’Udc è remota. Ma il pendolo del potere, dentro al Partito democratico, ha già iniziato a oscillare, e punta dritto verso Massimo D’Alema e i suoi. I quali puntano proprio ad allargare il giro delle alleanze, includendo per prima l’Udc. I rapporti tra D’Alema e i casiniani sono già ottimi. Alla festa dell’Udc, la scorsa estate, l’omino coi baffi fu quasi portato in trionfo. Se l’asse tra Pdl e Pd per cambiare la legge elettorale delle europee non ha retto, parte del merito (o della colpa) va proprio a D’Alema. Del resto la legge elettorale che piace a lui, basata sul modello proporzionale tedesco corretto con una soglia di sbarramento attorno al 3% e il voto di preferenza, è la stessa che vuole l’Udc. Ed è sempre D’Alema quello che, come Casini, va in giro a dire che le elezioni si vincono conquistando gli elettori moderati.
Insomma, tutto lascia pensare che Berlusconi, nel momento stesso in cui ha rinunciato ad affossare l’Udc, si sia condannato a trattare con Casini, se non altro per sottrarlo all’orbita del Pd. Potrebbe persino essere un’esperienza meno spiacevole del previsto. Avranno tanti difetti, gli ex diccì, ma un tavolo attorno al quale discutere non lo negano a nessuno. Soprattutto, sono molto pragmatici. E oggi, tra Berlusconi e il Pd, non c’è dubbio che sia il presidente del consiglio quello che offre le maggiori garanzie. Coraggio, Cavaliere. In fondo, se l’è cercata lei.
© Libero. Pubblicato il 12 novembre 2008.