Veltroni è pronto a uccidere la bozza Bianco
di Fausto Carioti
Nel momento più delicato della legislatura, una persona sola ha il cerino in mano: Walter Veltroni. Glielo hanno messo Romano Prodi e Silvio Berlusconi, e non hanno alcuna intenzione di levarglielo. In questa settimana si capirà se il leader del Pd si brucia le mani o è in grado di gestire la situazione. Il presidente del consiglio ieri, da Bologna, gli ha dato carta bianca: «Il mio compito», ha detto Prodi, «è definire la linea di governo, non di partito. Il resto è una decisione degli organi operativi del partito». Tradotto, vuol dire che Prodi rinuncia, almeno formalmente, a difendere i “nanetti” del centrosinistra che puntellano il suo governo, e lascia Veltroni libero di inseguire le sue voglie di bipartitismo. Sia candidando il Pd da solo, senza alleati, come Walter ha detto di voler fare; sia tirando dritto su una riforma elettorale che dia al partito che vince le elezioni il controllo del parlamento. Al di là delle dichiarazioni ufficiali, infatti, la cosiddetta “bozza Bianco”, nella sua attuale formulazione, è data per morta dallo stesso segretario del partito democratico, che molto presto dovrebbe far recapitare a Berlusconi una nuova proposta, meno “proporzionale” del testo di cui si è discusso negli ultimi giorni.
Quello che Prodi pensa, per ora lo fa dire dai suoi fedelissimi, come Franco Monaco, autore ieri di un attacco durissimo a Veltroni: «Per anni abbiamo pensato e coltivato l’Ulivo come baricentro e timone di una più vasta alleanza di centrosinistra dentro un sistema bipolare. Ieri abbiamo appreso che quello di Veltroni è tutt’altra cosa. Chi e dove si è decisa tale radicale metamorfosi?». Insomma, il sindaco di Roma, anche dentro il suo partito, è un uomo solo, che gli altri mandano avanti con la speranza, nemmeno troppo celata, che si faccia del male. La battuta del senatore forzista Giorgio Stracquadanio fotografa bene la situazione: «Il Pd è un partito a vocazione maggioritaria, ma ha il problema non di non avere un segretario maggioritario».
Sull’altro fronte, quello delle trattative con Silvio Berlusconi, Veltroni paga il prezzo di dover fare il mazziere: lui ha il compito di distribuire le carte. Il leader di Forza Italia si limita a guardarle, sempre più pigramente: se gli vanno bene, continua a giocare, ma dopo aver ricordato al suo interlocutore che l’ipotesi di non raggiungere alcun accordo non lo spaventa affatto. Se mai dovesse porsi l’alternativa tra andare al voto e cambiare la legge elettorale, magari affidando un governo per le riforme a un tecnico (e tanto per cambiare gira il nome di Mario Monti), il Cavaliere punterebbe dritto sul ritorno alle urne.
Preso dai gravi problemi di salute della madre, Berlusconi ha affidato la partita con Veltroni alle mani abili di Gianni Letta e Gaetano Quagliariello. La linea è chiara: Forza Italia non è seduta al tavolo delle trattative con il Pd, non è corresponsabile delle proposte elaborate da Veltroni ai suoi. Ma si limita a riceverle e le ritiene accettabili solo se esse corrispondono a due requisiti. Primo: il nuovo sistema dovrà impedire che una forza politica minore possa essere decisiva per la sorti del governo. Secondo: il metodo elettorale del Senato non dovrà essere troppo dissimile da quello della Camera. Spiega Quagliariello: «Il nostro comportamento è stato assolutamente lineare. Abbiamo detto sì a una proposta iniziale che ci hanno fatto e abbiamo giudicato le altre ipotesi in base ai principi su cui si basava la prima proposta. È quanto continueremo a fare se saremo chiamati a valutare altre ipotesi».
La notizia di queste ore è che la “bozza Bianco”, anche nella sua seconda versione, modificata per venire incontro alle esigenze di Rifondazione comunista e Udc, può ritenersi morta e sepolta. È giudicata troppo “tedesca”, cioè troppo proporzionale, e non in grado di dare vita a maggioranze stabili. Non solo da Berlusconi. Un uomo vicinissimo a Veltroni, il costituzionalista Stefano Ceccanti, ieri l’ha bocciata senza rimedio: «Andare da soli alle elezioni significa davvero liberarsi da alleanze coatte, disomogenee, solo se il sistema elettorale, unito alle norme regolamentari e costituzionali, designa chiaramente un vincitore, funziona cioè in termini selettivi. Se invece il sistema si limita a fotografare i voti in seggi, visto che è altamente improbabile che un partito da solo ottenga la maggioranza assoluta dei voti, si finisce per realizzare alleanze coatte post-elettorali. I contenuti concreti della seconda bozza Bianco non evitano questo esito». Gli stessi veltroniani ormai ammettono di preferire, alla bozza Bianco, il sistema elettorale disegnato dal referendum, che introduce, sebbene in modo raffazzonato, un sistema basato su due partiti. Niente esclude, poi, come ricordato da Ceccanti, di rimettere mano alla legge il giorno dopo la consultazione.
Ai problemi di merito si aggiungono quelli di metodo: in commissione Affari costituzionali, dove la bozza di legge elettorale elaborata dal presidente Enzo Bianco dovrebbe essere discussa a partire da domani, si contano 14 senatori contrari e 13 favorevoli al testo. Anche se un senatore, magari di qualche “cespuglio” della sinistra, dovesse passare tra i favorevoli e ribaltare i rapporti di forza, l’ostruzionismo di Forza Italia, da solo, basterebbe a impaludare la proposta. Peraltro, regolamento alla mano, la bozza è inemendabile.
Per questo, entro pochi giorni - forse già oggi - Salvatore Vassallo e gli altri costituzionalisti del Pd dovrebbero far arrivare a Letta e Quagliariello una nuova proposta, più vicina alle esigenze di Forza Italia e degli stessi veltroniani. Quale e di che tipo, è tutto da vedere: i margini di manovra appaiono risicatissimi. Martedì i senatori del Pd incontreranno Veltroni per discutere proprio della riforma elettorale: si prevede tempesta. La bozza Bianco dovrebbe essere votata in commissione il giorno dopo, ma a questo punto è probabile che tutto slitti. Anche perché mercoledì, a palazzo Madama, si voterà la mozione di sfiducia contro Alfonso Pecoraro Scanio, che già promette abbastanza emozioni per tutti.
© Libero. Pubblicato il 21 gennaio 2008.
Nel momento più delicato della legislatura, una persona sola ha il cerino in mano: Walter Veltroni. Glielo hanno messo Romano Prodi e Silvio Berlusconi, e non hanno alcuna intenzione di levarglielo. In questa settimana si capirà se il leader del Pd si brucia le mani o è in grado di gestire la situazione. Il presidente del consiglio ieri, da Bologna, gli ha dato carta bianca: «Il mio compito», ha detto Prodi, «è definire la linea di governo, non di partito. Il resto è una decisione degli organi operativi del partito». Tradotto, vuol dire che Prodi rinuncia, almeno formalmente, a difendere i “nanetti” del centrosinistra che puntellano il suo governo, e lascia Veltroni libero di inseguire le sue voglie di bipartitismo. Sia candidando il Pd da solo, senza alleati, come Walter ha detto di voler fare; sia tirando dritto su una riforma elettorale che dia al partito che vince le elezioni il controllo del parlamento. Al di là delle dichiarazioni ufficiali, infatti, la cosiddetta “bozza Bianco”, nella sua attuale formulazione, è data per morta dallo stesso segretario del partito democratico, che molto presto dovrebbe far recapitare a Berlusconi una nuova proposta, meno “proporzionale” del testo di cui si è discusso negli ultimi giorni.
Quello che Prodi pensa, per ora lo fa dire dai suoi fedelissimi, come Franco Monaco, autore ieri di un attacco durissimo a Veltroni: «Per anni abbiamo pensato e coltivato l’Ulivo come baricentro e timone di una più vasta alleanza di centrosinistra dentro un sistema bipolare. Ieri abbiamo appreso che quello di Veltroni è tutt’altra cosa. Chi e dove si è decisa tale radicale metamorfosi?». Insomma, il sindaco di Roma, anche dentro il suo partito, è un uomo solo, che gli altri mandano avanti con la speranza, nemmeno troppo celata, che si faccia del male. La battuta del senatore forzista Giorgio Stracquadanio fotografa bene la situazione: «Il Pd è un partito a vocazione maggioritaria, ma ha il problema non di non avere un segretario maggioritario».
Sull’altro fronte, quello delle trattative con Silvio Berlusconi, Veltroni paga il prezzo di dover fare il mazziere: lui ha il compito di distribuire le carte. Il leader di Forza Italia si limita a guardarle, sempre più pigramente: se gli vanno bene, continua a giocare, ma dopo aver ricordato al suo interlocutore che l’ipotesi di non raggiungere alcun accordo non lo spaventa affatto. Se mai dovesse porsi l’alternativa tra andare al voto e cambiare la legge elettorale, magari affidando un governo per le riforme a un tecnico (e tanto per cambiare gira il nome di Mario Monti), il Cavaliere punterebbe dritto sul ritorno alle urne.
Preso dai gravi problemi di salute della madre, Berlusconi ha affidato la partita con Veltroni alle mani abili di Gianni Letta e Gaetano Quagliariello. La linea è chiara: Forza Italia non è seduta al tavolo delle trattative con il Pd, non è corresponsabile delle proposte elaborate da Veltroni ai suoi. Ma si limita a riceverle e le ritiene accettabili solo se esse corrispondono a due requisiti. Primo: il nuovo sistema dovrà impedire che una forza politica minore possa essere decisiva per la sorti del governo. Secondo: il metodo elettorale del Senato non dovrà essere troppo dissimile da quello della Camera. Spiega Quagliariello: «Il nostro comportamento è stato assolutamente lineare. Abbiamo detto sì a una proposta iniziale che ci hanno fatto e abbiamo giudicato le altre ipotesi in base ai principi su cui si basava la prima proposta. È quanto continueremo a fare se saremo chiamati a valutare altre ipotesi».
La notizia di queste ore è che la “bozza Bianco”, anche nella sua seconda versione, modificata per venire incontro alle esigenze di Rifondazione comunista e Udc, può ritenersi morta e sepolta. È giudicata troppo “tedesca”, cioè troppo proporzionale, e non in grado di dare vita a maggioranze stabili. Non solo da Berlusconi. Un uomo vicinissimo a Veltroni, il costituzionalista Stefano Ceccanti, ieri l’ha bocciata senza rimedio: «Andare da soli alle elezioni significa davvero liberarsi da alleanze coatte, disomogenee, solo se il sistema elettorale, unito alle norme regolamentari e costituzionali, designa chiaramente un vincitore, funziona cioè in termini selettivi. Se invece il sistema si limita a fotografare i voti in seggi, visto che è altamente improbabile che un partito da solo ottenga la maggioranza assoluta dei voti, si finisce per realizzare alleanze coatte post-elettorali. I contenuti concreti della seconda bozza Bianco non evitano questo esito». Gli stessi veltroniani ormai ammettono di preferire, alla bozza Bianco, il sistema elettorale disegnato dal referendum, che introduce, sebbene in modo raffazzonato, un sistema basato su due partiti. Niente esclude, poi, come ricordato da Ceccanti, di rimettere mano alla legge il giorno dopo la consultazione.
Ai problemi di merito si aggiungono quelli di metodo: in commissione Affari costituzionali, dove la bozza di legge elettorale elaborata dal presidente Enzo Bianco dovrebbe essere discussa a partire da domani, si contano 14 senatori contrari e 13 favorevoli al testo. Anche se un senatore, magari di qualche “cespuglio” della sinistra, dovesse passare tra i favorevoli e ribaltare i rapporti di forza, l’ostruzionismo di Forza Italia, da solo, basterebbe a impaludare la proposta. Peraltro, regolamento alla mano, la bozza è inemendabile.
Per questo, entro pochi giorni - forse già oggi - Salvatore Vassallo e gli altri costituzionalisti del Pd dovrebbero far arrivare a Letta e Quagliariello una nuova proposta, più vicina alle esigenze di Forza Italia e degli stessi veltroniani. Quale e di che tipo, è tutto da vedere: i margini di manovra appaiono risicatissimi. Martedì i senatori del Pd incontreranno Veltroni per discutere proprio della riforma elettorale: si prevede tempesta. La bozza Bianco dovrebbe essere votata in commissione il giorno dopo, ma a questo punto è probabile che tutto slitti. Anche perché mercoledì, a palazzo Madama, si voterà la mozione di sfiducia contro Alfonso Pecoraro Scanio, che già promette abbastanza emozioni per tutti.
© Libero. Pubblicato il 21 gennaio 2008.