I laici, la vita e l'aborto: ecco come la pensava Bobbio

Nulla di nuovo nelle righe che seguono. La cosa è nota a molti. Io stesso l'ho citata più volte. Però, in un momento in cui sembra che non si possa essere laici senza essere abortisti, e che si possa essere antiabortisti solo se si va a messa, si dicono le preghiere e si prende la comunione, forse può essere utile rileggere per intero l'intervista che Norberto Bobbio rilasciò nel maggio del 1981 a Giulio Nascimbeni, del Corriere della Sera. Perché non tutti i laici sono come Eugenio Scalfari. Anche se Scalfari, ovviamente, si permette di parlare a nome di tutti i laici: «Per quanto riguarda la legge sull'aborto», scrive, «i laici ritengono che essa tuteli la maternità consapevole e la libertà di scelta delle donne». Non risultasse irresistibilmente goffo, con questa sua presunzione e la volontà ostentata di ignorare laici assai più autorevoli di lui, come Bobbio e Pier Paolo Pasolini, ci sarebbe da incavolarsi. Ecco dunque, così come fu pubblicata all'epoca, l'intervista che il fondatore di Repubblica pare non avere mai letto. Segnalo l'ultima frase, pesantissima: «Mi stupisco che i laici lascino ai credenti il privilegio e l'onore di affermare che non si deve uccidere».
Sono con Norberto Bobbio nel suo studio di Torino, fra scaffali gremiti e tavoli coperti da giornali e riviste. «Non parlo volentieri di questo problema dell'aborto» mi dice. Gli chiedo perché. «È un problema molto difficile, è il classico problema nel quale ci si trova di fronte a un conflitto di diritti e di doveri».

Quali diritti e quali doveri sono in conflitto?
«Innanzitutto il diritto fondamentale del concepito, quel diritto di nascita sul quale, secondo me, non si può transigere. È lo stesso diritto in nome del quale sono contrario alla pena di morte. Si può parlare di depenalizzazione dell'aborto, ma non si può essere moralmente indifferenti di fronte all'aborto».

Lei parlava di diritti, non di un solo diritto...
«C'è anche il diritto della donna a non essere sacrificata nella cura dei figli che non vuole. E c'è un terzo diritto: quello della società. Il diritto della società in generale e anche delle società particolari a non essere superpopolate, e quindi a esercitare il controllo delle nascite».

Non le sembra che, così posto, il conflitto fra questi diritti si presenti pressoché insanabile?
«È vero, sono diritti incompatibili. E quando ci si trova di fronte a diritti incompatibili, la scelta è sempre dolorosa».

Ma bisogna decidere.
«Ho parlato di tre diritti: il primo, quello del concepito, è fondamentale; gli altri, quello della donna e quello della società, sono derivati. Inoltre, e questo per me è il punto centrale, il diritto della donna e quello della società, che vengono di solito addotti per giustificare l'aborto, possono essere soddisfatti senza ricorrere all'aborto, cioè evitando il concepimento. Una volta avvenuto il concepimento, il diritto del concepito può essere soddisfatto soltanto lasciandolo nascere».

Quali critiche muove alla legge 194?
«Al primo articolo è detto che lo Stato "garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile". Secondo me, questo diritto ha ragione d'essere soltanto se si afferma e si accetta il dovere di un rapporto sessuale cosciente e responsabile, cioè tra persone consapevoli delle conseguenze del loro atto e pronte ad assumersi gli obblighi che ne derivano. Rinviare la soluzione a concepimento avvenuto, cioè quando le conseguenze che si potevano evitare non sono state evitate, questo mi pare non andare al fondo del problema. Tanto è vero che, nello stesso primo articolo della 194, è scritto subito dopo che l'interruzione della gravidanza non è mezzo per il controllo delle nascite».

E se, abrogando la legge 194, si tornasse ai «cucchiai d'oro», alle «mammane», ai drammi e alle ingiustizie dell'aborto clandestino? L'aborto è una triste realtà, non si può negarla.
«Il fatto che l'aborto sia diffuso, è un argomento debolissimo dal punto di vista giuridico e morale. E mi stupisce che venga addotto con tanta frequenza. Gli uomini sono come sono: ma la morale e il diritto esistono per questo. Il furto d'auto, ad esempio, è diffuso, quasi impunito: ma questo legittima il furto? Si può al massimo sostenere che siccome l'aborto è diffuso e incontrollabile, lo Stato lo tollera e cerca di regolarlo per limitarne la dannosità. Da questo punto di vista, se la legge 194 fosse bene applicata, potrebbe essere accolta come una legge che risolve un problema umanamente e socialmente rilevante».

Esistono azioni moralmente illecite ma che non sono considerate illegittime?
«Certamente. Cito il rapporto sessuale nelle sue varie forme, il tradimento tra coniugi, la stessa prostituzione. Mi consenta di ricordare il Saggio sulla libertà di Stuart Mill. Sono parole scritte centotrent'anni fa, ma attualissime. Il diritto, secondo Stuart Mill, si deve preoccupare delle azioni che recano danno alla società : "il bene dell'individuo, sia esso fisico o morale, non è una giustificazione sufficiente"».

Questo può valere anche nel caso dell'aborto?
«Dice ancora Stuart Mill: "Su se stesso, sulla sua mente e sul suo corpo, l'individuo è sovrano". Adesso le femministe dicono: "Il corpo è mio e lo gestisco io". Sembrerebbe una perfetta applicazione di questo principio. Io, invece, dico che è aberrante farvi rientrare l'aborto. L'individuo è uno, singolo. Nel caso dell'aborto c'è un "altro" nel corpo della donna. Il suicida dispone della sua singola vita. Con l'aborto si dispone di una vita altrui».

Tutta la sua lunga attività, professor Bobbio, i suoi libri, il suo insegnamento sono la testimonianza di uno spirito fermamente laico. Immagina che ci sarà sorpresa nel mondo laico per queste sue dichiarazioni?
«Vorrei chiedere quale sorpresa ci può essere nel fatto che un laico consideri come valido in senso assoluto, come un imperativo categorico, il "non uccidere". E mi stupisco a mia volta che i laici lascino ai credenti il privilegio e l'onore di affermare che non si deve uccidere».

© Corriere della Sera. Pubblicato l'8 maggio 1981.

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