Il caso Mark Steyn
di Fausto Carioti
In Italia il suo nome è conosciuto solo tra gli addetti ai lavori. Ma nel mondo anglosassone Mark Steyn, nato in Canada 49 anni fa, è uno degli opinionisti più famosi. Il suo ultimo libro, “America Alone”, uscito alla fine del 2006, è stato a lungo tra i bestsellers d’Oltreoceano. Vive tra gli Stati Uniti, il Quebec e Londra. Scrive - con una prosa da invidia - per una lista interminabile di quotidiani e periodici conservatori, inclusi il New York Sun e la National Review, testate assai autorevoli. Appare spesso negli show televisivi e radiofonici, dove è capace di dire verità ruvidissime facendo divertire chi ascolta. Il New York Times (che sta sulla sponda politica opposta alla sua) lo ha definito «la penna più velenosa della destra», e per lui ovviamente è un signor complimento. Lo si trova tra i “top five” ogni volta che c’è da attribuire un premio al “Conservatore dell’anno” o alla memoria di Oriana Fallaci. Insomma, è un vero e proprio opinion-leader. Da qualche settimana Steyn - il quale detesta atteggiarsi a vittima - è diventato, suo malgrado, il nuovo simbolo della battaglia per la libertà di espressione in occidente. Assieme all’editore di Maclean’s, il principale settimanale canadese, è finito davanti a due diversi tribunali per la tutela dei diritti dell’uomo. Lo hanno chiamato a processo il Congresso islamico canadese (un’associazione di lobbisti) e cinque studenti di legge musulmani. Hanno accusato Steyn di sentirsi offesi dalle cose che ha scritto sull’islam.
Notare: non lo hanno portato a giudizio davanti a un tribunale vero e proprio. Con ogni probabilità ne uscirebbero sconfitti, e lo sanno. Ma lo hanno convocato davanti a quelle istituzioni, che in Occidente si producono a getto continuo, create a difesa del politicamente corretto. Non possono mettere il bavaglio a Steyn accusandolo di aver scritto il falso? Pazienza, tanto le democrazie liberali fabbricano da sole altre corde con cui farsi impiccare. E così hanno trovato due corti, il tribunale per i diritti umani della British Columbia e la commissione canadese per i diritti umani, ben felici di servire allo scopo.
Il casus belli è stato la pubblicazione su Maclean’s, nell’ottobre del 2006, di un capitolo del libro “America Alone”. La tesi di Steyn, ridotta all’osso, è che prima di quanto si possa pensare gli Stati Uniti resteranno l’unico paese libero del mondo. L’Europa è destinata a diventare un avamposto islamico, l’Eurabia prevista dalle cassandre Bat Ye’or e Fallaci. Perché questo avvenga non serviranno né un’invasione armata né ulteriori arrivi in massa di immigrati (i quali, comunque, accelereranno il processo). Basterà che gli europei “autoctoni” e gli immigrati dai Paesi islamici continuino a fare figli al ritmo attuale.
Facile, da sinistra, gridare al razzismo davanti a simili tesi. Ma il razzismo non c’entra. Come scrive Steyn, «il punto non è la razza: è la cultura. Se il cento per cento della tua popolazione crede nelle democrazia liberale e pluralista, non importa se il 70 per cento della popolazione è “bianca”, o se lo è solo il 5 per cento. Ma se una parte della tua popolazione crede nella democrazia liberale e pluralista, e l’altra parte non ci crede, allora è molto importante se la prima parte comprende il 90% della popolazione, o solo il 60, o il 50 o il 45 per cento».
Portare simili argomenti davanti all’opinione pubblica canadese è bastato agli attivisti musulmani per sventolare l’accusa di “islamofobia” e provare a mettere il silenziatore a Maclean’s e a Steyn, e alle istituzioni canadesi è stato sufficiente per dirsi disponibili a ragionarci sopra. Insomma, siamo davanti a un caso di «censura in nome dei “diritti umani”», come ha scritto il National Post, quotidiano di Toronto. Nel loro atto d’accusa, i musulmani attaccano anche la Fallaci. Viene chiesta la condanna del settimanale perché nelle sue pagine, in diversi articoli, non solo di Steyn, «una nota islamofoba (Oriana Fallaci), ampiamente riconosciuta da numerosi Paesi europei e istituzioni internazionali come promotrice di odio e razzismo nei confronti degli islamici europei, è dipinta come una figura eroica che sta cercando di salvare l’Europa da un’imminente presa di possesso dei musulmani, una i cui ragionamenti debbono essere presi in considerazione dai canadesi».
Come spesso accade, la voglia di censura va a braccetto con uno scarso senso del ridicolo. Molte delle cose che ha scritto Steyn le pronunciano gli stessi esponenti del mondo islamico. È stato un imam norvegese, ad esempio, a dire che «i musulmani si espandono come zanzare. Ogni donna occidentale, in media, fa 1,4 figli. Negli stessi Paesi, ogni donna islamica sta facendo 3,5 figli». Eppure questa frase è stata usata per cercare di dimostrare la “islamofobia” di Steyn. Lo stesso concetto, tra l’altro, era stato espresso dal leader libico Muhammar Gheddafi («Abbiamo cinquanta milioni di musulmani in Europa e la trasformeremo in un continente musulmano in pochi decenni»). Né appare granché coerente che gli islamici pretendano di togliere la libertà di parola a chi li accusa di voler limitare le nostre libertà. Gli accusatori, insomma, stanno dando piena ragione a Steyn. Ma tant’è.
Per rinunciare alla loro azione legale, gli islamici avevano chiesto che Maclean’s pubblicasse un articolo di cinque pagine, scritto da un autore di loro scelta, senza alcun controllo e con ampio spazio nella copertina. L’editore li ha mandati dove è facile immaginare. «Preferisco andare fallito che lasciare ad altri fare quello che vogliono sulla mia rivista», ha risposto. Se il settimanale sarà ritenuto colpevole, dovrà mettere mano al portafogli e magari subire altre sanzioni. Quel che sarà peggio, i nemici della libertà di parola avranno ottenuto una grossa vittoria.
Racconta Steyn: «In tanti mi hanno chiesto qual è la mia difesa. La mia difesa è che non devo avere alcuna difesa. I “querelanti” non sostengono che l’articolo è falso, o calunnioso, o sedizioso, tutte cose per le quali ci sarebbe un appropriato rimedio legale. La loro lamentela è sostanzialmente emozionale: ritengono che l’articolo li abbia “offesi”. E siccome l’ingiuria è negli occhi dell’offeso, non c’è proprio niente che io possa farci».
© Libero. Pubblicato il 12 gennaio 2008.
In Italia il suo nome è conosciuto solo tra gli addetti ai lavori. Ma nel mondo anglosassone Mark Steyn, nato in Canada 49 anni fa, è uno degli opinionisti più famosi. Il suo ultimo libro, “America Alone”, uscito alla fine del 2006, è stato a lungo tra i bestsellers d’Oltreoceano. Vive tra gli Stati Uniti, il Quebec e Londra. Scrive - con una prosa da invidia - per una lista interminabile di quotidiani e periodici conservatori, inclusi il New York Sun e la National Review, testate assai autorevoli. Appare spesso negli show televisivi e radiofonici, dove è capace di dire verità ruvidissime facendo divertire chi ascolta. Il New York Times (che sta sulla sponda politica opposta alla sua) lo ha definito «la penna più velenosa della destra», e per lui ovviamente è un signor complimento. Lo si trova tra i “top five” ogni volta che c’è da attribuire un premio al “Conservatore dell’anno” o alla memoria di Oriana Fallaci. Insomma, è un vero e proprio opinion-leader. Da qualche settimana Steyn - il quale detesta atteggiarsi a vittima - è diventato, suo malgrado, il nuovo simbolo della battaglia per la libertà di espressione in occidente. Assieme all’editore di Maclean’s, il principale settimanale canadese, è finito davanti a due diversi tribunali per la tutela dei diritti dell’uomo. Lo hanno chiamato a processo il Congresso islamico canadese (un’associazione di lobbisti) e cinque studenti di legge musulmani. Hanno accusato Steyn di sentirsi offesi dalle cose che ha scritto sull’islam.
Notare: non lo hanno portato a giudizio davanti a un tribunale vero e proprio. Con ogni probabilità ne uscirebbero sconfitti, e lo sanno. Ma lo hanno convocato davanti a quelle istituzioni, che in Occidente si producono a getto continuo, create a difesa del politicamente corretto. Non possono mettere il bavaglio a Steyn accusandolo di aver scritto il falso? Pazienza, tanto le democrazie liberali fabbricano da sole altre corde con cui farsi impiccare. E così hanno trovato due corti, il tribunale per i diritti umani della British Columbia e la commissione canadese per i diritti umani, ben felici di servire allo scopo.
Il casus belli è stato la pubblicazione su Maclean’s, nell’ottobre del 2006, di un capitolo del libro “America Alone”. La tesi di Steyn, ridotta all’osso, è che prima di quanto si possa pensare gli Stati Uniti resteranno l’unico paese libero del mondo. L’Europa è destinata a diventare un avamposto islamico, l’Eurabia prevista dalle cassandre Bat Ye’or e Fallaci. Perché questo avvenga non serviranno né un’invasione armata né ulteriori arrivi in massa di immigrati (i quali, comunque, accelereranno il processo). Basterà che gli europei “autoctoni” e gli immigrati dai Paesi islamici continuino a fare figli al ritmo attuale.
Facile, da sinistra, gridare al razzismo davanti a simili tesi. Ma il razzismo non c’entra. Come scrive Steyn, «il punto non è la razza: è la cultura. Se il cento per cento della tua popolazione crede nelle democrazia liberale e pluralista, non importa se il 70 per cento della popolazione è “bianca”, o se lo è solo il 5 per cento. Ma se una parte della tua popolazione crede nella democrazia liberale e pluralista, e l’altra parte non ci crede, allora è molto importante se la prima parte comprende il 90% della popolazione, o solo il 60, o il 50 o il 45 per cento».
Portare simili argomenti davanti all’opinione pubblica canadese è bastato agli attivisti musulmani per sventolare l’accusa di “islamofobia” e provare a mettere il silenziatore a Maclean’s e a Steyn, e alle istituzioni canadesi è stato sufficiente per dirsi disponibili a ragionarci sopra. Insomma, siamo davanti a un caso di «censura in nome dei “diritti umani”», come ha scritto il National Post, quotidiano di Toronto. Nel loro atto d’accusa, i musulmani attaccano anche la Fallaci. Viene chiesta la condanna del settimanale perché nelle sue pagine, in diversi articoli, non solo di Steyn, «una nota islamofoba (Oriana Fallaci), ampiamente riconosciuta da numerosi Paesi europei e istituzioni internazionali come promotrice di odio e razzismo nei confronti degli islamici europei, è dipinta come una figura eroica che sta cercando di salvare l’Europa da un’imminente presa di possesso dei musulmani, una i cui ragionamenti debbono essere presi in considerazione dai canadesi».
Come spesso accade, la voglia di censura va a braccetto con uno scarso senso del ridicolo. Molte delle cose che ha scritto Steyn le pronunciano gli stessi esponenti del mondo islamico. È stato un imam norvegese, ad esempio, a dire che «i musulmani si espandono come zanzare. Ogni donna occidentale, in media, fa 1,4 figli. Negli stessi Paesi, ogni donna islamica sta facendo 3,5 figli». Eppure questa frase è stata usata per cercare di dimostrare la “islamofobia” di Steyn. Lo stesso concetto, tra l’altro, era stato espresso dal leader libico Muhammar Gheddafi («Abbiamo cinquanta milioni di musulmani in Europa e la trasformeremo in un continente musulmano in pochi decenni»). Né appare granché coerente che gli islamici pretendano di togliere la libertà di parola a chi li accusa di voler limitare le nostre libertà. Gli accusatori, insomma, stanno dando piena ragione a Steyn. Ma tant’è.
Per rinunciare alla loro azione legale, gli islamici avevano chiesto che Maclean’s pubblicasse un articolo di cinque pagine, scritto da un autore di loro scelta, senza alcun controllo e con ampio spazio nella copertina. L’editore li ha mandati dove è facile immaginare. «Preferisco andare fallito che lasciare ad altri fare quello che vogliono sulla mia rivista», ha risposto. Se il settimanale sarà ritenuto colpevole, dovrà mettere mano al portafogli e magari subire altre sanzioni. Quel che sarà peggio, i nemici della libertà di parola avranno ottenuto una grossa vittoria.
Racconta Steyn: «In tanti mi hanno chiesto qual è la mia difesa. La mia difesa è che non devo avere alcuna difesa. I “querelanti” non sostengono che l’articolo è falso, o calunnioso, o sedizioso, tutte cose per le quali ci sarebbe un appropriato rimedio legale. La loro lamentela è sostanzialmente emozionale: ritengono che l’articolo li abbia “offesi”. E siccome l’ingiuria è negli occhi dell’offeso, non c’è proprio niente che io possa farci».
© Libero. Pubblicato il 12 gennaio 2008.