Prodi e la fiducia al Senato: una mano di conti
Giovedì 24 gennaio, alle ore 15, il presidente del Consiglio si presenterà nell'aula del Senato. Terrà il suo concione surreale, tipo quello fatto oggi alla Camera, dirà che «tanto è stato fatto, ma molto resta ancora da fare», o qualcosa del genere, e quindi chiederà la fiducia ai senatori. Quante chance ha di sfangarla pure stavolta? Vediamo i numeri.
I senatori sono 322 (315 eletti, 7 senatori a vita). Di questi, due non voteranno: il presidente Franco Marini, che per prassi non vota, e il senatore a vita Sergio Pininfarina, il quale è scontato che sarà assente per motivi di salute.
Restano 320 senatori. Di questi, 156 fanno parte dello zoccolo duro del centrodestra (73 di Forza Italia, 37 di Alleanza nazionale, 20 dell'Udc, 12 della Lega Nord, 10 della Dc per le Autonomie, 3 della Destra, 1 - Sergio De Gregorio - degli Italiani nel mondo).
A questi 156, secondo quanto è stato annunciato dagli stessi nelle ultime ore, dovrebbero aggiungersi Clemente Mastella più i suoi due senatori e il senatore ex rifondarolo Franco Turigliatto. Il totale fa 160. E questo, se i ranghi saranno completi, è il numero minimo dei voti che dovrebbe ottenere il "no" alla mozione di fiducia.
La votazione, in questo caso (che possiamo prendere come scenario base), e assegnando a Prodi tutti gli altri voti, finirebbe 160 a 160. Un pareggio, però, solo apparente. In base al regolamento del Senato, infatti, una mozione per essere approvata deve ottenere la maggioranza. Se non la ottiene, cioè se viene bocciata o la votazione finisce in pareggio, essa è respinta. E trattandosi di mozione di "fiducia", e non di mozione di "sfiducia", sarebbe la "fiducia" ad essere respinta, e con essa il governo Prodi. Al premier non resterebbe che andare subito al Quirinale per dimettersi davanti al presidente della Repubblica.
Rispetto a questo scenario base, in favore di Prodi possono volgere a) la campagna acquisti che sta conducendo in queste ore tra i senatori border-line del centrodestra e b) le assenze, più o meno credibili, dei senatori del centrodestra. Per dire: un paio di senatori di Forza Italia sono in cattive condizioni di salute, ma si conta di prelevarli di peso e condurli al voto.
Contro Prodi, escluse improbabili emergenze dovute allo stato di salute dei singoli, può pesare l'uscita di alcuni indecisi dalla sua maggioranza (nella quale possono essere considerati anche i senatori a vita), che si manifesterebbe o con un voto contrario alla fiducia o tramite assenza. Gli ultimi rumors dicono che il "sì" di Domenico Fisichella (che nel conteggio fatto sopra è dato tra i favorevoli alla fiducia) è tutt'altro che scontato, ed è in bilico anche quello di Luigi Pallaro. Francesco Cossiga, alla fine, dovrebbe votare la fiducia, così come i sempre inquieti Lamberto Dini, Willer Bordon e Roberto Manzione.
Il dato più importante è che in base all'attuale scenario base, sebbene stilato con una certa benevolenza nei confronti del governo, la votazione finisce in pareggio, e Prodi è costretto ad andarsene a casa.
I senatori sono 322 (315 eletti, 7 senatori a vita). Di questi, due non voteranno: il presidente Franco Marini, che per prassi non vota, e il senatore a vita Sergio Pininfarina, il quale è scontato che sarà assente per motivi di salute.
Restano 320 senatori. Di questi, 156 fanno parte dello zoccolo duro del centrodestra (73 di Forza Italia, 37 di Alleanza nazionale, 20 dell'Udc, 12 della Lega Nord, 10 della Dc per le Autonomie, 3 della Destra, 1 - Sergio De Gregorio - degli Italiani nel mondo).
A questi 156, secondo quanto è stato annunciato dagli stessi nelle ultime ore, dovrebbero aggiungersi Clemente Mastella più i suoi due senatori e il senatore ex rifondarolo Franco Turigliatto. Il totale fa 160. E questo, se i ranghi saranno completi, è il numero minimo dei voti che dovrebbe ottenere il "no" alla mozione di fiducia.
La votazione, in questo caso (che possiamo prendere come scenario base), e assegnando a Prodi tutti gli altri voti, finirebbe 160 a 160. Un pareggio, però, solo apparente. In base al regolamento del Senato, infatti, una mozione per essere approvata deve ottenere la maggioranza. Se non la ottiene, cioè se viene bocciata o la votazione finisce in pareggio, essa è respinta. E trattandosi di mozione di "fiducia", e non di mozione di "sfiducia", sarebbe la "fiducia" ad essere respinta, e con essa il governo Prodi. Al premier non resterebbe che andare subito al Quirinale per dimettersi davanti al presidente della Repubblica.
Rispetto a questo scenario base, in favore di Prodi possono volgere a) la campagna acquisti che sta conducendo in queste ore tra i senatori border-line del centrodestra e b) le assenze, più o meno credibili, dei senatori del centrodestra. Per dire: un paio di senatori di Forza Italia sono in cattive condizioni di salute, ma si conta di prelevarli di peso e condurli al voto.
Contro Prodi, escluse improbabili emergenze dovute allo stato di salute dei singoli, può pesare l'uscita di alcuni indecisi dalla sua maggioranza (nella quale possono essere considerati anche i senatori a vita), che si manifesterebbe o con un voto contrario alla fiducia o tramite assenza. Gli ultimi rumors dicono che il "sì" di Domenico Fisichella (che nel conteggio fatto sopra è dato tra i favorevoli alla fiducia) è tutt'altro che scontato, ed è in bilico anche quello di Luigi Pallaro. Francesco Cossiga, alla fine, dovrebbe votare la fiducia, così come i sempre inquieti Lamberto Dini, Willer Bordon e Roberto Manzione.
Il dato più importante è che in base all'attuale scenario base, sebbene stilato con una certa benevolenza nei confronti del governo, la votazione finisce in pareggio, e Prodi è costretto ad andarsene a casa.