Il direttore di Al Jazeera spiega perché Israele deve morire
Ahmed Sheikh, palestinese nato a Nablus, è il direttore dell'emittente televisiva qatariota Al Jazeera (per inciso: la casa reale del Qatar, wahabita e legata a doppio filo con la corrotta dinastia saudita, finanzia il 75% dell'emittente preferita da Bin Laden). Essere a capo di una televisione seguita da 50 milioni di arabi rende automaticamente Sheikh uno degli opinion leader più importanti del mondo islamico. Qui si può leggere la recentissima intervista che gli ha fatto Pierre Heumann, giornalista del settimanale svizzero Die Weltwoche. Merita di essere letta sino in fondo, perché aiuta a fare piazza pulita di molte illusioni che anche in Europa si nutrono sulle avanguardie intellettuali arabe.
Cito un solo passaggio dei tanti che meriterebbero di essere riportati. Quello in cui il direttore di Al Jazeera sembra finalmente smettere di fare il pesce nel barile e dice tutto quello che non va nei paesi arabi. «Non capisco perché non riusciamo a crescere in modo così veloce e dinamico come il resto del mondo. (...) In molti Stati arabi, il ceto medio sta scomparendo. I ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Guardiamo le scuole in Giordania, Egitto e Marocco: ci sono sino a 70 alunni ammassati all'interno di una sola classe (...) Anche gli ospedali pubblici si trovano in condizioni disperate». Tutto vero, bravo. L'intervistatore, a questo punto, gli pone la domanda più ovvia: di chi è la colpa? La risposta giusta sarebbe: degli oligarchi che da decenni preferiscono spendere i proventi del petrolio in automobili sportive con la carrozzeria d'oro e prostitute occidentali piuttosto che in scuole, servizi pubblici e ospedali per la popolazione, e che usano la religione islamica per stroncare sul nascere ogni accenno di libera circolazione delle idee, mentre alle donne è impedito partecipare al dibattito e a ogni attività politica e culturale (qui per maggiori informazioni e qualche statistica).
Ma il direttore di Al Jazeera non dice niente di tutto questo. Alla domanda su chi debba assumersi la colpa del grande sfascio economico e sociale del mondo arabo, risponde: «Il conflitto israelo-palestinese è una delle ragioni principali del perdurare di queste crisi e di questi problemi. Il giorno in cui Israele è stata fondata si sono create le basi per i nostri problemi. L'Occidente deve capirlo. Tutto sarebbe molto più tranquillo se ai Palestinesi fossero riconosciuti i loro diritti». L'intervistatore vuole vederci chiaro. E insiste: «Intende dire che se Israele non esistesse, improvvisamente ci sarebbe democrazia in Egitto, le scuole in Marocco migliorerebbero e le cliniche statali in Giordania funzionerebbero meglio?». Risposta di Ahmed Sheikh: «Penso proprio di sì». E il motivo, il nesso logico qual è? «E' perché noi perdiamo sempre con Israele. Brucia alle genti mediorientali che un Paese piccolo come Israele, con appena 7 milioni di abitanti, possa sconfiggere la nazione araba con i suoi 350 milioni. Questo fa male al nostro ego collettivo. La questione palestinese è nei cromosomi di ogni arabo. Il problema dell'Occidente è che non lo capisce».
Revisionismo storico a parte (quella di Israele è la storia di una lunga serie di guerre di difesa dalle aggressioni di chi non ne riconosce il diritto all'esistenza), occorre notare come, mentre le elites europee, direttori dei grandi organi d'informazione in prima fila, adorino riempirsi la bocca con i mantra del melting pot, della coesistenza con gli immigrati islamici e del relativismo culturale, i loro colleghi arabi si guardino bene dal fare alcuna concessione al"nemico", e senza pudori (anzi, con la certezza di interpretare un sentimento diffuso nella stragrande maggioranza della popolazione) si augurino pubblicamente la distruzione di Israele, giustificandola con la necessità di lenire il complesso d'inferiorità collettivo degli islamici.
Su questo tema: Israel Did it! When in doubt, shout about Israel, di Victor Davis Hanson.
Cito un solo passaggio dei tanti che meriterebbero di essere riportati. Quello in cui il direttore di Al Jazeera sembra finalmente smettere di fare il pesce nel barile e dice tutto quello che non va nei paesi arabi. «Non capisco perché non riusciamo a crescere in modo così veloce e dinamico come il resto del mondo. (...) In molti Stati arabi, il ceto medio sta scomparendo. I ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Guardiamo le scuole in Giordania, Egitto e Marocco: ci sono sino a 70 alunni ammassati all'interno di una sola classe (...) Anche gli ospedali pubblici si trovano in condizioni disperate». Tutto vero, bravo. L'intervistatore, a questo punto, gli pone la domanda più ovvia: di chi è la colpa? La risposta giusta sarebbe: degli oligarchi che da decenni preferiscono spendere i proventi del petrolio in automobili sportive con la carrozzeria d'oro e prostitute occidentali piuttosto che in scuole, servizi pubblici e ospedali per la popolazione, e che usano la religione islamica per stroncare sul nascere ogni accenno di libera circolazione delle idee, mentre alle donne è impedito partecipare al dibattito e a ogni attività politica e culturale (qui per maggiori informazioni e qualche statistica).
Ma il direttore di Al Jazeera non dice niente di tutto questo. Alla domanda su chi debba assumersi la colpa del grande sfascio economico e sociale del mondo arabo, risponde: «Il conflitto israelo-palestinese è una delle ragioni principali del perdurare di queste crisi e di questi problemi. Il giorno in cui Israele è stata fondata si sono create le basi per i nostri problemi. L'Occidente deve capirlo. Tutto sarebbe molto più tranquillo se ai Palestinesi fossero riconosciuti i loro diritti». L'intervistatore vuole vederci chiaro. E insiste: «Intende dire che se Israele non esistesse, improvvisamente ci sarebbe democrazia in Egitto, le scuole in Marocco migliorerebbero e le cliniche statali in Giordania funzionerebbero meglio?». Risposta di Ahmed Sheikh: «Penso proprio di sì». E il motivo, il nesso logico qual è? «E' perché noi perdiamo sempre con Israele. Brucia alle genti mediorientali che un Paese piccolo come Israele, con appena 7 milioni di abitanti, possa sconfiggere la nazione araba con i suoi 350 milioni. Questo fa male al nostro ego collettivo. La questione palestinese è nei cromosomi di ogni arabo. Il problema dell'Occidente è che non lo capisce».
Revisionismo storico a parte (quella di Israele è la storia di una lunga serie di guerre di difesa dalle aggressioni di chi non ne riconosce il diritto all'esistenza), occorre notare come, mentre le elites europee, direttori dei grandi organi d'informazione in prima fila, adorino riempirsi la bocca con i mantra del melting pot, della coesistenza con gli immigrati islamici e del relativismo culturale, i loro colleghi arabi si guardino bene dal fare alcuna concessione al"nemico", e senza pudori (anzi, con la certezza di interpretare un sentimento diffuso nella stragrande maggioranza della popolazione) si augurino pubblicamente la distruzione di Israele, giustificandola con la necessità di lenire il complesso d'inferiorità collettivo degli islamici.
Su questo tema: Israel Did it! When in doubt, shout about Israel, di Victor Davis Hanson.