Se Berlusconi smette di coprire i suoi
di Fausto Carioti
Niente dà l’idea dell’emergenza meglio di Silvio Berlusconi che smette di fare il garantista e annuncia la linea dura nei confronti dei suoi: chi dovesse essere accusato di aver grufolato nella mangiatoia dell’imprenditore Diego Anemone, fuori. Raus, via dal governo e dal PdL. Lui non li coprirà più, Claudio Scajola docet. Questi propositi il premier li ha annunciati durante la cena che ha avuto mercoledì sera con un gruppo di imprenditori amici: non proprio delle anime candide insomma, ma gente che sa come gira il mondo e che magari avrebbe intonato con lui la litania del trappolone ordito dalle toghe rosse. E invece.
Il segnale per i suoi è chiaro: Berlusconi non intende caricarsi sulle spalle il peso delle loro colpe. Già si sente esposto su tanti fronti: il duello eterno con quel rompiscatole di Gianfranco Fini, l’attuazione del federalismo fiscale che scricchiola sotto i colpi della crisi finanziaria e getta incognite sul rapporto con la Lega, la manovra da 25 miliardi (forse più) che entro l’anno dovrà essere varata, i provvedimenti sulla giustizia da approvare in corsa. L’ultima cosa di cui ha bisogno, adesso, è un ministro o un presidente di commissione che gli chiede di tirarlo fuori dai guai perché si è fatto beccare col sorcio in bocca.
Racconta un senatore forzista che gli ha parlato da poco: «Berlusconi è amareggiato. Anzi, diciamo pure che è estremamente incazzato, ed è chiaro che se dice queste cose è perché è a conoscenza di altri fatti. È preoccupato dalle reazioni della gente: per tanti elettori, è meglio intascare una tangente che farsi regalare una casa». E se invece di un sorcio si tratta di un topolino, non è una scusante. Anzi. «Berlusconi la vede così: “Ho fatto in modo che questi facessero i parlamentari o avessero un posto nel governo, tanto da guadagnare ventimila euro al mese. Ma che bisogno avevano di farsi fare gratis lavoretti alle finestre o alle mansarde, che avrebbero pagato sì e no 10mila euro?”». Ragionamento impeccabile.
Pure la decisione di prendere tempo per sostituire Scajola alla guida del ministero dello Sviluppo Economico è dovuta alle preoccupazioni del premier. Perché una cosa è dover rimpiazzare un ministro solo; un’altra doverne nominare due o tre, nel caso in cui ulteriori ministri - come si vocifera da giorni - dovessero cadere sotto la mannaia di qualche procura. Nel secondo caso, infatti, si dovrebbe mettere mano a un vero e proprio rimpasto di governo, se non addirittura alla nascita di un nuovo esecutivo e magari a un allargamento della maggioranza.
Nell’ipotesi migliore, ci sarebbe comunque da accontentare i crescenti appetiti del Carroccio. Dove le parole di Umberto Bossi, più che tranquillizzare, inquietano: «Finché ci siamo io, la Lega e Tremonti, il governo non lo buttano giù». Ma figuriamoci se Berlusconi può digerire l’idea di restare al governo sotto la tutela di Tremonti, Bossi o chiunque altro. Lo stesso Fini, quando - parlando da capo-corrente - annuncia che i suoi non faranno imboscate al governo, suona minaccioso: «Certo che non intende far cadere l’esecutivo», commenta un sottosegretario ex An passato con Berlusconi, «il suo obiettivo è cuocerci tutti a fuoco lento...». Nessuno, comunque, crede che il faccia a faccia tra Berlusconi e Fini, ammesso che mai si faccia, possa ricomporre la frattura tra i due.
Per questo tutti stanno cercando una via d’uscita, che al momento non si vede. L’incertezza è tale che assume una qualche consistenza persino il fumosissimo «governo di responsabilità nazionale» evocato nei giorni scorsi da Pier Ferdinando Casini. L’ipotesi, bocciata in fretta e furia negli ambienti berlusconiani, in queste ore è oggetto di attenta rivalutazione. Il deputato azzurro Osvaldo Napoli, che dapprima aveva etichettato il progetto casiniano come espressione di «una deriva nostalgica per una politica fatta di alchimie che nascono nel chiuso di laboratori e lontano dai problemi dei cittadini», ieri ha usato toni assai più possibilisti: «Se le aperture di Casini e dell’Udc alla Lega per un confronto senza pregiudiziali sul federalismo e su altre questioni fossero autentiche, il vantaggio per il Paese sarebbe davvero importante». Casini, del resto, ha fornito ampie assicurazioni che il suo progetto non è contro Berlusconi, ma punta a tenerlo in gioco anche se l’esecutivo attuale dovesse crollare. A rendere le trattative con l’Udc interessanti agli occhi del premier c’è pure il fatto che non piacciono a Fini, il quale si è appena detto contrario alle «marmellate politiche».
Di sicuro, nel Pd più di uno è tentato. Matteo Colaninno non sarà un politico di lungo corso, ma è persona molto prudente e se invoca un «esecutivo con un’amplissima maggioranza» e non si fa problemi nell’affidarne la guida allo stesso Berlusconi, vuol dire che ha fiutato l’aria che tira non solo in Confindustria, ma anche nel suo partito. Dove l’unica cosa chiara è che, pur di evitare il ricorso anticipato alle urne, venderebbero l’anima al diavolo. La crisi finanziaria, da questo punto di vista, sembra arrivata al momento giusto: col pretesto dell’emergenza si può fare tutto. O quasi.
© Libero. Pubblicato il 14 maggio 2010.
Niente dà l’idea dell’emergenza meglio di Silvio Berlusconi che smette di fare il garantista e annuncia la linea dura nei confronti dei suoi: chi dovesse essere accusato di aver grufolato nella mangiatoia dell’imprenditore Diego Anemone, fuori. Raus, via dal governo e dal PdL. Lui non li coprirà più, Claudio Scajola docet. Questi propositi il premier li ha annunciati durante la cena che ha avuto mercoledì sera con un gruppo di imprenditori amici: non proprio delle anime candide insomma, ma gente che sa come gira il mondo e che magari avrebbe intonato con lui la litania del trappolone ordito dalle toghe rosse. E invece.
Il segnale per i suoi è chiaro: Berlusconi non intende caricarsi sulle spalle il peso delle loro colpe. Già si sente esposto su tanti fronti: il duello eterno con quel rompiscatole di Gianfranco Fini, l’attuazione del federalismo fiscale che scricchiola sotto i colpi della crisi finanziaria e getta incognite sul rapporto con la Lega, la manovra da 25 miliardi (forse più) che entro l’anno dovrà essere varata, i provvedimenti sulla giustizia da approvare in corsa. L’ultima cosa di cui ha bisogno, adesso, è un ministro o un presidente di commissione che gli chiede di tirarlo fuori dai guai perché si è fatto beccare col sorcio in bocca.
Racconta un senatore forzista che gli ha parlato da poco: «Berlusconi è amareggiato. Anzi, diciamo pure che è estremamente incazzato, ed è chiaro che se dice queste cose è perché è a conoscenza di altri fatti. È preoccupato dalle reazioni della gente: per tanti elettori, è meglio intascare una tangente che farsi regalare una casa». E se invece di un sorcio si tratta di un topolino, non è una scusante. Anzi. «Berlusconi la vede così: “Ho fatto in modo che questi facessero i parlamentari o avessero un posto nel governo, tanto da guadagnare ventimila euro al mese. Ma che bisogno avevano di farsi fare gratis lavoretti alle finestre o alle mansarde, che avrebbero pagato sì e no 10mila euro?”». Ragionamento impeccabile.
Pure la decisione di prendere tempo per sostituire Scajola alla guida del ministero dello Sviluppo Economico è dovuta alle preoccupazioni del premier. Perché una cosa è dover rimpiazzare un ministro solo; un’altra doverne nominare due o tre, nel caso in cui ulteriori ministri - come si vocifera da giorni - dovessero cadere sotto la mannaia di qualche procura. Nel secondo caso, infatti, si dovrebbe mettere mano a un vero e proprio rimpasto di governo, se non addirittura alla nascita di un nuovo esecutivo e magari a un allargamento della maggioranza.
Nell’ipotesi migliore, ci sarebbe comunque da accontentare i crescenti appetiti del Carroccio. Dove le parole di Umberto Bossi, più che tranquillizzare, inquietano: «Finché ci siamo io, la Lega e Tremonti, il governo non lo buttano giù». Ma figuriamoci se Berlusconi può digerire l’idea di restare al governo sotto la tutela di Tremonti, Bossi o chiunque altro. Lo stesso Fini, quando - parlando da capo-corrente - annuncia che i suoi non faranno imboscate al governo, suona minaccioso: «Certo che non intende far cadere l’esecutivo», commenta un sottosegretario ex An passato con Berlusconi, «il suo obiettivo è cuocerci tutti a fuoco lento...». Nessuno, comunque, crede che il faccia a faccia tra Berlusconi e Fini, ammesso che mai si faccia, possa ricomporre la frattura tra i due.
Per questo tutti stanno cercando una via d’uscita, che al momento non si vede. L’incertezza è tale che assume una qualche consistenza persino il fumosissimo «governo di responsabilità nazionale» evocato nei giorni scorsi da Pier Ferdinando Casini. L’ipotesi, bocciata in fretta e furia negli ambienti berlusconiani, in queste ore è oggetto di attenta rivalutazione. Il deputato azzurro Osvaldo Napoli, che dapprima aveva etichettato il progetto casiniano come espressione di «una deriva nostalgica per una politica fatta di alchimie che nascono nel chiuso di laboratori e lontano dai problemi dei cittadini», ieri ha usato toni assai più possibilisti: «Se le aperture di Casini e dell’Udc alla Lega per un confronto senza pregiudiziali sul federalismo e su altre questioni fossero autentiche, il vantaggio per il Paese sarebbe davvero importante». Casini, del resto, ha fornito ampie assicurazioni che il suo progetto non è contro Berlusconi, ma punta a tenerlo in gioco anche se l’esecutivo attuale dovesse crollare. A rendere le trattative con l’Udc interessanti agli occhi del premier c’è pure il fatto che non piacciono a Fini, il quale si è appena detto contrario alle «marmellate politiche».
Di sicuro, nel Pd più di uno è tentato. Matteo Colaninno non sarà un politico di lungo corso, ma è persona molto prudente e se invoca un «esecutivo con un’amplissima maggioranza» e non si fa problemi nell’affidarne la guida allo stesso Berlusconi, vuol dire che ha fiutato l’aria che tira non solo in Confindustria, ma anche nel suo partito. Dove l’unica cosa chiara è che, pur di evitare il ricorso anticipato alle urne, venderebbero l’anima al diavolo. La crisi finanziaria, da questo punto di vista, sembra arrivata al momento giusto: col pretesto dell’emergenza si può fare tutto. O quasi.
© Libero. Pubblicato il 14 maggio 2010.