Aspettando la valanga

di Fausto Carioti

Le dimissioni di Claudio Scajola hanno segnato il battesimo ufficiale dell’asse politico che lega i finiani, in materia di giustizia, all’opposizione e alla magistratura. E hanno dato il via a una guerra di posizione all’interno del PdL il cui esito più probabile è la spaccatura definitiva del partito e la fine traumatica della legislatura. Se gli uomini del premier e quelli del presidente della Camera sono ancora alle schermaglie iniziali, è solo perché su una cosa sono tutti d’accordo: il treno che ha travolto il ministro dello Sviluppo Economico sta per investire altri esponenti del PdL. Nessuno, ieri, si è stupito a leggere sulla Velina rossa, il foglio d’informazione parlamentare del dalemiano Pasquale Laurito, che «nuovi nomi del governo nei prossimi giorni o nelle prossime settimane potrebbero trovarsi coinvolti in nuovi scandali». Meglio, quindi, prima di far partire l’artiglieria, capire bene i contorni dell’inchiesta di Perugia. Pubblicare questi nomi adesso non ha senso, anche perché nessuno di costoro risulta indagato (al pari del povero Scajola). Basta sapere che le voci che girano tra Roma e il capoluogo umbro vedono coinvolti ex forzisti ed ex aennini, oggi tutti vicini a Silvio Berlusconi. Se queste voci dovessero essere confermate, difficilmente i finiani si metterebbero a piangere.

Guarda caso, proprio sulla giustizia ieri si è consumato un primo scontro. Anche se diversi berlusconiani sono perplessi dalla condotta di Scajola, infatti, tutti ritengono che quanto accaduto sia un’aberrazione: un ministro non indagato, che ancora deve essere ascoltato dai magistrati come persona informata sui fatti, si è dovuto dimettere per questioni giudiziarie, in seguito a una campagna di indiscrezioni giornalistiche resa possibile dalla fuga di notizie partita (o «orchestrata», secondo la versione più gettonata) dalla procura di Perugia. Insomma, gli uomini del premier hanno appena incassato un duro colpo, ma già si preparano a subirne altri e vedono nella vicenda la conferma della necessità di una riforma della giustizia che renda impossibile il ripetersi di simili «barbarie giudiziarie».

Pure la pattuglia del presidente della Camera è convinta che quanto accaduto dia loro ragione. Ma per motivi opposti a quelli dei rivali interni. Già ieri mattina, Italo Bocchino e gli altri hanno chiesto di approvare in una settimana il disegno di legge anti-corruzione varato a marzo dal governo, proprio perché «la vicenda di Scajola ripropone la questione della trasparenza di chi amministra la cosa pubblica». Il direttivo del partito, però, ha subito bocciato la loro proposta. Come dire che il problema vero del caso Scajola, secondo la linea ufficiale del PdL, non è il comportamento della politica, ma quello della magistratura. «È stato un errore», ha sentenziato la minoranza interna che fa capo a Fini. E in questo si è trovata in perfetta intesa con l’opposizione, soprattutto con l’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro. Iniziamo a farci l’abitudine, succederà sempre più spesso.

© Libero. Pubblicato il 5 maggio 2010.

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