L'incubo del carciofo

di Fausto Carioti

Non è un caso se Gianfranco Fini e Umberto Bossi, manco si fossero messi d’accordo, ieri hanno abbandonato Silvio Berlusconi, smentendo la sua tesi della «offensiva giudiziaria» contro il PdL e il governo. «Non c’è nessuna congiura o accanimento dei giudici contro l’esecutivo», ha detto il presidente della Camera nella sua ennesima apparizione televisiva. «Mi sembra che i magistrati facciano solo il loro lavoro», gli ha fatto eco il leader della Lega. Niente di strano che i due, per una volta, parlino la stessa lingua. È che ambedue sono intenzionati a raccogliere i dividendi dello tsunami giudiziario che, secondo radio Montecitorio, sta per abbattersi sugli uomini del Cavaliere. I segni, per chi vuole vederli, ci sono già tutti: alle dimissioni di Claudio Scajola ieri ha fatto seguito la notizia dell’iscrizione nel registro degli indagati di Denis Verdini, uno dei tre coordinatori del PdL, accusato di corruzione. E già si fanno scommesse su chi sarà la prossima vittima.

Ad avvalorare le paranoie del premier c’è un dato di fatto: Scajola e Verdini sono stati in questi anni i suoi uomini forti, gli organizzatori delle missioni impossibili. Tanto che, ogni volta che Verdini era dato per partente dal ruolo di coordinatore, il nome che si faceva al suo posto era quello dell’ex democristiano di Imperia. Difficile immaginare chiunque altro, al di fuori di questi due, nel ruolo di grande uomo macchina berlusconiano. E ora, nel giro di ventiquattr’ore, succede che Scajola è costretto a uscire di scena, forse per sempre, e sul capo di Verdini piomba una tegola di discrete dimensioni. Così Berlusconi va in giro dicendo di essere vittima della «strategia del carciofo»: via una foglia dopo l’altra, finché la parte centrale non resta scoperta, pronta per essere addentata. Non è un segreto il timore del Cavaliere che dalle procure sia in arrivo qualche brutta sorpresa per Gianni Letta, l’uomo a lui più vicino.

Né Fini né Bossi, però, hanno di questi problemi. Il primo, dato per partente dal PdL prima delle prossime elezioni, ha scelto proprio il tema della giustizia e della legalità per accreditarsi come esponente “di destra” (anche perché, nel resto del suo “programma”, di destra c’è poco o niente). Facile prevedere che sarà su questi temi che, in parlamento, si spaccherà il PdL. Anche perché gli uomini della maggioranza e del governo che secondo le voci di queste ore sono destinati a finire coinvolti nelle inchieste giudiziarie, tanto per essere chiari, provengono sia da Forza Italia che da An, ma oggi sono tutti schierati con Berlusconi. A Fini, insomma, stavolta non costa davvero nulla stare con i magistrati e dire cose assai simili a quelle di Antonio Di Pietro.

Quanto a Bossi, ha fiutato aria di elezioni anticipate. Lui preferirebbe che questa legislatura arrivasse a scadenza naturale dopo aver trasformato in legge il federalismo. Ma, se l’alternativa è mantenere in vita un parlamento impantanato dalla “secessione finiana” e incapace di votare i provvedimenti che ha a cuore la Lega, il Senatur non si farà problemi a dare lui stesso il colpo di grazia alla legislatura, per andare al voto nella primavera del 2011. Intanto si prepara a raccogliere gli elettori che dovessero allontanarsi dal PdL perché sconcertati dagli acquisti immobiliari a prezzo di saldo da parte dei ministri berlusconiani e da tutto quello che si leggerà nei prossimi mesi sulle cronache giudiziarie. Prendere le distanze dal Berlusconi che attacca i magistrati è il primo segnale di interesse che Bossi invia a tutti costoro.

© Libero. Pubblicato il 6 maggio 2010.

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