Tre buone notizie per Berlusconi
di Fausto Carioti
Silvio Berlusconi aveva trasformato le elezioni regionali in un referendum su se stesso. E alla fine, come regolarmente gli accade in questi casi, il referendum lo ha vinto lui. Conquistando sei regioni delle tredici in palio, e soprattutto strappandone quattro al centrosinistra. Oggi PdL e Lega controllano undici regioni italiane, incluse le quattro economicamente più forti: Lombardia, Lazio, Veneto e Piemonte. Meglio di così, al premier non poteva andare. Se qualcuno - anche nel centrodestra - aveva pensato che queste potessero essere le prime elezioni del dopo-Berlusconi, dovrà rimandare le sue aspettative di qualche lustro.
Notoriamente più realisti del re, i berluscones ieri sera avevano almeno tre buoni motivi per dirsi soddisfatti. Primo, la vittoria di Renata Polverini nel Lazio, conquistata in extremis e sul filo di lana. Vittoria che i forzisti e lo stesso premier non attribuiscono certo alla candidata né ai finiani, ma all’ennesimo «miracolo» del premier, che si è caricato sulle spalle la campagna elettorale della Polverini dopo la prova di disorganizzazione fornita durante la presentazione delle liste. Chi, nell’entourage di Gianfranco Fini, contava di creare un asse aennino tra il comune di Roma, retto da Gianni Alemanno, e la nuova Regione di centrodestra, è subito invitato a ricredersi: «Ancora una volta la differenza l’ha fatta Berlusconi, loro erano stati capaci solo di combinare guai», commenta un noto berlusconiano romano.
Seconda ragione di soddisfazione, la sostanziale tenuta del PdL al Nord dinanzi allo straripare della Lega, riconosciuta dallo stesso Umberto Bossi. Perché è vero che Luca Zaia ha stravinto in Veneto con il 60%, risultato assai superiore a quello (50,6%) ottenuto cinque anni fa dal forzista Giancarlo Galan, e che alla fine Roberto Cota ha preso il Piemonte, operazione non riuscita nel 2005 al berlusconiano Enzo Ghigo. Però in Piemonte il PdL è risultato il primo partito, mentre in Lombardia il temuto sorpasso della Lega non c’è stato: il Popolo della Libertà le ha inferto un distacco di cinque punti. Anche se in questa regione, rispetto al 2005, il Carroccio ha quasi raddoppiato i consensi, superando il 26%, lo ha fatto ai danni del centrosinistra: nella regione più ricca d’Italia, operaia per eccellenza, oggi il Pd è il terzo partito. Insomma, come notavano ieri notte dal quartier generale berlusconiano, Bossi è cresciuto di molto, ma facendo male alla sinistra, piuttosto che agli alleati. E questo limita la preoccupazione per le conseguenze politiche del suo exploit. Anche se tutti, Berlusconi per primo, sanno benissimo che il Carroccio si prepara a presentare il conto.
Ultima ragione di soddisfazione tra i forzisti, la marginalizzazione dell’Udc. A conti fatti il partito di Pier Ferdinando Casini, che come noto ha scelto la “politica dei due forni”, appoggiando ora i candidati del centrodestra e ora quelli del centrosinistra, ha ottenuto quasi ovunque risultati deludenti. In Emilia-Romagna il candidato governatore dell’Udc è arrivato ultimo, doppiato anche dallo sconosciuto candidato dei grillini, e in Puglia l’Udc non è stata in grado di portare la Poli Bortone oltre l’8%. Pure nel Lazio, dove l’Udc è stata decisiva per la vittoria della Polverini, ha ottenuto meno del 5%, nonostante a molti elettori fosse impedito votare per il PdL. «Risultati di cui il Vaticano e i vescovi non potranno non tenere conto», commentava ieri sera di uno dei berlusconiani impegnati a tenere il filo dei rapporti con l’altra parte del Tevere, «così come non potranno ignorare che in Piemonte Casini ha rischiato di far vincere l’abortista Bresso». Se la caccia alle spoglie del berlusconismo è rimandata a data da destinarsi, quella alle spoglie dell’Udc rischia di aprirsi già oggi. E potrebbero essere proprio i berlusconiani ad avviarla.
© Libero. Pubblicato il 30 marzo 2010.
Silvio Berlusconi aveva trasformato le elezioni regionali in un referendum su se stesso. E alla fine, come regolarmente gli accade in questi casi, il referendum lo ha vinto lui. Conquistando sei regioni delle tredici in palio, e soprattutto strappandone quattro al centrosinistra. Oggi PdL e Lega controllano undici regioni italiane, incluse le quattro economicamente più forti: Lombardia, Lazio, Veneto e Piemonte. Meglio di così, al premier non poteva andare. Se qualcuno - anche nel centrodestra - aveva pensato che queste potessero essere le prime elezioni del dopo-Berlusconi, dovrà rimandare le sue aspettative di qualche lustro.
Notoriamente più realisti del re, i berluscones ieri sera avevano almeno tre buoni motivi per dirsi soddisfatti. Primo, la vittoria di Renata Polverini nel Lazio, conquistata in extremis e sul filo di lana. Vittoria che i forzisti e lo stesso premier non attribuiscono certo alla candidata né ai finiani, ma all’ennesimo «miracolo» del premier, che si è caricato sulle spalle la campagna elettorale della Polverini dopo la prova di disorganizzazione fornita durante la presentazione delle liste. Chi, nell’entourage di Gianfranco Fini, contava di creare un asse aennino tra il comune di Roma, retto da Gianni Alemanno, e la nuova Regione di centrodestra, è subito invitato a ricredersi: «Ancora una volta la differenza l’ha fatta Berlusconi, loro erano stati capaci solo di combinare guai», commenta un noto berlusconiano romano.
Seconda ragione di soddisfazione, la sostanziale tenuta del PdL al Nord dinanzi allo straripare della Lega, riconosciuta dallo stesso Umberto Bossi. Perché è vero che Luca Zaia ha stravinto in Veneto con il 60%, risultato assai superiore a quello (50,6%) ottenuto cinque anni fa dal forzista Giancarlo Galan, e che alla fine Roberto Cota ha preso il Piemonte, operazione non riuscita nel 2005 al berlusconiano Enzo Ghigo. Però in Piemonte il PdL è risultato il primo partito, mentre in Lombardia il temuto sorpasso della Lega non c’è stato: il Popolo della Libertà le ha inferto un distacco di cinque punti. Anche se in questa regione, rispetto al 2005, il Carroccio ha quasi raddoppiato i consensi, superando il 26%, lo ha fatto ai danni del centrosinistra: nella regione più ricca d’Italia, operaia per eccellenza, oggi il Pd è il terzo partito. Insomma, come notavano ieri notte dal quartier generale berlusconiano, Bossi è cresciuto di molto, ma facendo male alla sinistra, piuttosto che agli alleati. E questo limita la preoccupazione per le conseguenze politiche del suo exploit. Anche se tutti, Berlusconi per primo, sanno benissimo che il Carroccio si prepara a presentare il conto.
Ultima ragione di soddisfazione tra i forzisti, la marginalizzazione dell’Udc. A conti fatti il partito di Pier Ferdinando Casini, che come noto ha scelto la “politica dei due forni”, appoggiando ora i candidati del centrodestra e ora quelli del centrosinistra, ha ottenuto quasi ovunque risultati deludenti. In Emilia-Romagna il candidato governatore dell’Udc è arrivato ultimo, doppiato anche dallo sconosciuto candidato dei grillini, e in Puglia l’Udc non è stata in grado di portare la Poli Bortone oltre l’8%. Pure nel Lazio, dove l’Udc è stata decisiva per la vittoria della Polverini, ha ottenuto meno del 5%, nonostante a molti elettori fosse impedito votare per il PdL. «Risultati di cui il Vaticano e i vescovi non potranno non tenere conto», commentava ieri sera di uno dei berlusconiani impegnati a tenere il filo dei rapporti con l’altra parte del Tevere, «così come non potranno ignorare che in Piemonte Casini ha rischiato di far vincere l’abortista Bresso». Se la caccia alle spoglie del berlusconismo è rimandata a data da destinarsi, quella alle spoglie dell’Udc rischia di aprirsi già oggi. E potrebbero essere proprio i berlusconiani ad avviarla.
© Libero. Pubblicato il 30 marzo 2010.