Repubblica certifica l'inutilità di Repubblica

di Fausto Carioti

Niente da fare, non se li filano proprio. Più quelli di Repubblica e del Fatto inzuppano nel livore chilometri quadrati di carta stampata, più gli italiani se ne fregano. Più Michele Santoro e Marco Travaglio processano Guido Bertolaso e la Protezione civile, più quelli li difendono. Più il popolo viola e l’opposizione scendono in piazza a dire che così è un’indecenza, che dobbiamo vergognarci dinanzi al resto d’Europa, che solo da noi signora mia succedono cose simili, più Silvio Berlusconi e il suo governo possono stare tranquilli. È da quando è iniziata l’inchiesta di Firenze che i nostalgici dei bei tempi di Tangentopoli si stanno sbattendo in tutti i modi per convincerci che stavolta è come il 1992. Anzi, a ben guardare è persino peggio. E invocano una ribellione di massa delle coscienze, nella speranza che travolga Berlusconi. Risultati? Noia e sbadigli. Come certifica la più insospettabile delle conferme.

A proclamare la propria inutilità, infatti, provvede direttamente Repubblica. Dove ieri è apparso un sondaggio commentato dal politologo Ilvo Diamanti, che della truppa degli indignati di Repubblica è di sicuro quello meno livoroso. Però, appunto, sempre a quella tribù appartiene. E per quanto Diamanti si sforzi di puntellare le posizioni del suo giornale, i dati parlano chiaro. Esaurite le premesse di rito, e cioè che oltre 7 italiani su 10 sono convinti che la corruzione sia ancora molto diffusa eccetera eccetera, al momento di tirare le somme il risultato (per Repubblica) è deprimente.

Primo: i magistrati non sono più visti dagli italiani come l’ultimo baluardo della società sana contro politici corrotti e imprenditori corruttori. A pensarla così, infatti, oggi è solo il 45,7% degli italiani. Una percentuale analoga, il 41,9, critica infatti le toghe a causa della loro «eccessiva politicizzazione». Ammette Diamanti sconsolato: «Quindici anni di polemiche frontali, lanciate dal premier e dal centrodestra, hanno lasciato il segno. Per questo oggi Tangentopoli non ha lo stesso significato, lo stesso impatto politico dei primi anni Novanta».

Su Guido Bertolaso, ovvero il simbolo di ciò che di buono ha fatto sino ad oggi il governo, e che proprio per questo è stato attaccato in tutti modi dall’opposizione e dai giornali (Repubblica per prima), i risultati sono ancora più devastanti per i sobillatori. Bertolaso e la protezione civile, nota Diamanti, «godono comunque di consensi elevatissimi. E trasversali. A destra come a sinistra. L’Abruzzo, ad oggi, conta molto più de La Maddalena». Non male, per essere scritto sul giornale che ogni giorno crocifigge Bertolaso e il governo proprio per come hanno gestito la vicenda abruzzese.

E al momento di votare, almeno lì, tutto questo casino, tutto questo pompare la nuova questione morale per scaricarla sulle spalle di Berlusconi, a qualcosa sarà servito? Macché, ennesimo flop. «L’opposizione», scrive Diamanti, «non ha beneficiato di questo clima. Il Pd fatica a risalire la china. L’Idv, peraltro, non sembra avvantaggiarsi di questa ondata di inchieste. E Berlusconi e il PdL, per quanto indeboliti rispetto a qualche mese fa, dopo l’aggressione di Milano, non mostrano segni di cedimento. Mentre la Lega conferma e consolida la crescita elettorale degli ultimi anni». Una Caporetto, insomma.

Il problema, adesso, è spiegare la dura realtà agli altri editorialisti di Repubblica. Tipo Giorgio Ruffolo, che fu ministro dell’Ambiente con Giovanni Goria, Ciriaco De Mita e Giulio Andreotti e adesso scrive contro la corruzione. Nel suo articolo di ieri si è chiesto se siamo davanti a una nuova Tangentopoli. «Secondo me», si risponde da solo, «molto peggio». Per Ruffolo la colpa - ma forse qualcuno c’era già arrivato - è di Berlusconi, perché parla male del prelievo fiscale, che è un «elemento centrale della democrazia» (lo è anche delle dittature, ma fa niente).

Oppure Oscar Luigi Scalfaro, che essendo stato ministro dell’Interno di Bettino Craxi dal 1983 al 1987 può parlare con la consapevolezza dell’esperto. Ieri Scalfaro ha tradito Repubblica per il suo fratello minore, la Stampa, ma a largo Fochetti resta comunque di casa. «Dal 1992 ad oggi c’è stato un abbassamento della soglia etica», insiste l’ex presidente della Repubblica intervistato dal quotidiano torinese, dando pure lui la colpa a Berlusconi per tutti i motivi che si possono intuire.

Ecco, ieri è arrivata un’autorevole conferma, dal loro giornale di riferimento, che questi signori parlano a se stessi, che non spostano un voto, e soprattutto che l’Italia vera non è né quella che vorrebbero né quella in cui sono convinti di vivere.

© Libero. Pubblicato il 2 marzo 2010.

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