L'attacco politico a Ratzinger e le bufale di Repubblica

di Fausto Carioti

Ci sono solo due cose chiare nella storia degli abusi sessuali compiuti da un sacerdote del Wisconsin tra gli anni Cinquanta e Settanta, oggetto della recente inchiesta del New York Times. La prima è che quegli abusi nei confronti dei piccoli sordomuti ci furono, e che quindi una parte della Chiesa (negli Stati Uniti di sicuro, altrove è da capire) è colpevole. La seconda certezza è che per la sinistra italiana l’attacco americano a Joseph Ratzinger è arrivato nel momento migliore: quello in cui occorre delegittimare il Vaticano per motivi elettorali. Da qui la lunga serie di illazioni e vere e proprie bufale, allo scopo di screditare il papa e tutti quelli che, dentro alle mura leonine e nella Conferenza episcopale, condividono la sua battaglia in difesa dei «valori non negoziabili» della vita.

Piaccia o meno, lo scontro tra «pro-life» e «pro-choice», cioè tra chi difende la vita e chi il diritto della madre a scegliere di abortire, è il tema più caldo di questa campagna elettorale. Se non altro perché chiama in causa Emma Bonino e Mercedes Bresso, le candidate del centrosinistra in Lazio e Piemonte, che per coincidenza sono le regioni date in bilico da tutti i sondaggi. Anche ammesso che gli elettori sensibili ai temi bioetici non siano molti, in queste due regioni possono essere decisivi, proprio perché basterà poco per fare la differenza.

Se i vescovi italiani, come da tradizione, sono divisi tra chi mette al primo posto la difesa della vita (tema gradito al centrodestra) e chi le affianca la questione sociale (sulla quale il centrosinistra si trova più a suo agio), Ratzinger è stato chiarissimo su quali debbano essere le priorità: no all’aborto in tutte le sue forme, no a ogni tipo di eutanasia, difesa della famiglia formata da uomo e donna. Una linea fatta propria anche da Avvenire, il quotidiano della Cei, e sulla quale il giornale della Santa Sede, l’Osservatore romano, è invece apparso più tiepido. Proprio Avvenire ieri ha pubblicato le pagelle ai candidati alle regionali, ai quali era stato sottoposto il manifesto del Forum delle associazioni in difesa della famiglia. Risultato: «Il tema della famiglia è assunto quale priorità - almeno nelle intenzioni - dai candidati dell’Udc e dalla gran parte di quelli del PdL e della Lega. Sembrerebbe invece interessare solo una minoranza dei politici di una grande forza popolare come il Partito democratico e poco o nulla gli esponenti dell’Italia dei valori». Insomma, i politici non sono uguali davanti alla Chiesa. Stavolta meno che mai.

A sinistra lo hanno capito benissimo. E Ratzinger è diventato un nemico da screditare. L’accusa è un classico: «Non poteva non sapere», doveva essere al corrente degli episodi di pedofilia, e se non ne ha parlato è perché ha voluto insabbiare. Il corollario politico è evidente: papa Benedetto XVI e le sue gerarchie non hanno alcuna autorità morale per dare indicazioni di voto. Succede così che l’Unità di Concita De Gregorio, fino a qualche tempo fa cauta verso Ratzinger, si mette a gareggiare in anticlericalismo col Manifesto, inizia a fare le battutine sul «Papa e Papi» e nota con soddisfazione che «a cinque giorni dal voto le gerarchie vaticane sono scese in campo invitando a non sostenere i candidati filoabortisti. A tre giorni dal voto i giornali cattolici sono costretti a difendere il Papa dalle accuse pubblicate in prima pagina sul New York Times». Mentre nel PdL c’è la ressa per fare quadrato attorno al pontefice, quelli del Pd disposti a spendere una parola per Ratzinger sono i pochissimi cattolici rimasti nel partito: Enrico Letta e un paio di altre persone. In compenso Luigi De Magistris, dell’Idv, chiede a Ratzinger di andare in tribunale a dire tutto quello che sa sui casi di pedofilia in Germania.

Il fronte progressista è talmente infervorato che finisce per pubblicare in prima pagina le più solenni bischerate. Tipo quelle apparse ieri nell’editoriale di Repubblica, firmato da Giancarlo Zizola. Che inizia lodando il grande accusatore del Papa, citato in questi giorni dal New York Times, «l’arcivescovo di Milwaukee monsignor Weakland», definito da Repubblica «una delle figure più luminose del cattolicesimo degli Stati Uniti», il cui comportamento fu «irreprensibile di fronte ai doveri della coscienza verso la verità e verso la Chiesa sugli abusi sessuali del clero». Un pastore, ricorda commosso Zizola, «morto con parole di perdono per coloro che lo avevano ingiustamente coinvolto in accuse infamanti».

Ci sarebbe da commuoversi davvero. Se non fosse, come nota nel suo blog il vaticanista dell’Espresso Sandro Magister, che: 1) questa «figura luminosa» del cattolicesimo americano, questo paladino della lotta agli abusi sessuali del clero, «non è più arcivescovo di Milwaukee dal 2002, quando fu “dimissionato” dopo che un ex studente di teologia l’aveva accusato di violenza carnale, rompendo il segreto che lo stesso Weakland gli aveva imposto in cambio di 450 mila dollari detratti dalle casse dell’arcidiocesi»; 2) Weakland non è «morto con parole di perdono» nei confronti di nessuno, per il semplice fatto che è ancora vivo; 3) «Tutto quello che Zizola scrive di lui», nota ancora Magister, «non corrisponde alla sua biografia, ma a quella del cardinale Joseph Bernardin, arcivescovo di Chicago, lui sì “irreprensibile” e morto nel 1996 dopo aver perdonato colui che lo aveva falsamente accusato di atti carnali».

A Repubblica sarebbe bastato controllare l’enciclopedia online Wikipedia per evitare di cadere così in basso. Se i portabandiera del pensiero laico non sanno (o non vogliono) fare nemmeno questo, vuol dire che stanno davvero con la bava alla bocca.

© Libero. Pubblicato il 27 marzo 2010.

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