Dopo la piazza e il voto, il PdL andrà alla conta
di Fausto Carioti
E adesso? Dopo la prova di forza di ieri e - soprattutto - dopo il voto che si terrà tra una settimana, cosa accadrà al PdL? Molto meno di quanto scriva (e speri) la gran parte dei giornali. Intanto, comunque vada il voto, non ci sarà alcuna scissione. Nessun addio da parte dei finiani. E questo per il più banale dei motivi: non conviene a nessuno, ai finiani per primi. Perché lasciare un partito dove nel giro di tre o quattro anni si deciderà la successione a Silvio Berlusconi? La presenza in massa dei finiani alla manifestazione berlusconiana di ieri è la conferma che strappi in vista non ce ne sono.
Ciò nonostante, il PdL cambierà moltissimo. Se ne è parlato nelle ultime settimane tra le diverse componenti del partito, e si è già abbozzata un’intesa di massima. Certo, molto dipenderà dalle elezioni regionali. Ma grosse sorprese non dovrebbero arrivare. Nel PdL si dà per scontata la vittoria in Lombardia e Veneto; si dà per molto probabile quella in Campania e Calabria; si dà per possibile, anche se ardua, la conquista di Lazio e Piemonte. Dal resto d’Italia, se dovesse arrivare qualcosa, sarà tutto grasso che cola. Tirando le somme, il risultato minimo accettabile è ritenuto la vittoria in quattro regioni su tredici. Se le vittorie saranno cinque sarà un bel risultato, se saranno sei un successone. Dove le cose andranno molto male, cadrà la testa del coordinatore regionale. Nel PdL c’è anche chi farebbe fuori volentieri Denis Verdini, il più potente dei tre coordinatori. Ma il buon risultato della manifestazione di ieri, da lui organizzata in tempi da record, lo ha rafforzato. Il resto, su di lui e su altri, lo dirà il risultato elettorale.
Ma la rivoluzione vera sarà un’altra. Perché su una cosa, ormai, sono tutti d’accordo: la spartizione del partito secondo la logica del 70-30 (sette posti su dieci agli ex forzisti, tre agli ex aennini), non ha più senso. Il nuovo confine è quello tra berlusconiani e finiani. Tutto sommato è una buona notizia: vuol dire che l’amalgama Forza Italia-An, almeno in parte, è riuscito. A questa “fase 2” si potrebbe arrivare anche tramite una transizione soft. Berlusconi e Fini si siedono a un tavolo e si mettono d’accordo: questi sono i tuoi, questi i miei, questi sono i rapporti di forza tra le due “anime” del partito. È un’ipotesi, però, alla quale credono in pochi. A parte le incompatibilità permanenti tra i due, si è visto che simili intese calate dall’alto durano pochi mesi, e che presto tornano a riproporsi gli stessi problemi. E comunque ci vorrebbe un ottimo risultato alle regionali per dare lo slancio necessario ad adottare una simile soluzione, ma è difficile che questo risultato arrivi.
E allora la cosa più probabile è che, subito prima o subito dopo l’estate, si vada alla conta. Con un congresso? Difficile. Fare una battaglia congressuale vuol dire affidare le sorti del partito ai signori delle tessere, e l’idea non piace a Berlusconi. Più plausibile la convocazione del consiglio nazionale, del quale fanno parte parlamentari, ministri e viceministri, coordinatori regionali e provinciali, presidenti delle Regioni e delle Province e altri. In alternativa, potrebbe esserci la conta dei soli parlamentari. È proprio in vista di questa sfida che, nei giorni scorsi, Berlusconi ha dato mandato ad alcuni dei suoi per avviare un’operazione di “recupero” dei parlamentari finiani.
Alla fine di questo conteggio, il PdL avrà una sua maggioranza, ovviamente di stretta osservanza berlusconiana, e una sua minoranza, più o meno folta. Posto che tutti o quasi gli ex forzisti si schiereranno con Berlusconi, resta da capire cosa faranno gli ex di An. Alcuni di loro si dà per scontato che stiano con Berlusconi. Maurizio Gasparri, ad esempio, qualche tempo fa è stato chiaro: «Fini», ha detto, «ha diritto di avere idee nuove, ma io preferisco restare nei confini di quella destra che rappresenta le mie idee». Stessa scelta che potrebbe fare Ignazio La Russa. Italo Bocchino è scontato che si schieri con Fini. Altero Matteoli, Gianni Alemanno e altri saranno chiamati a scegliere. Al termine di questa operazione, ogni carica sarà distribuita secondo i nuovi rapporti di forza.
Se questa operazione di stabilizzazione del PdL riuscirà, il governo potrà affrontare con più tranquillità gli ultimi tre anni della legislatura. Vista la mancanza di appuntamenti elettorali, Berlusconi potrà concentrarsi sulle riforme (giustizia, tasse, presidenzialismo...), per tentare poi, nella legislatura successiva, la scalata al Quirinale. Se invece il logoramento del partito dovesse proseguire, l’esecutivo non arriverebbe al 2013. Per Berlusconi, politicamente parlando, sarebbe la fine. Ma non solo per lui.
© Libero. Pubblicato il 21 marzo 2010.
E adesso? Dopo la prova di forza di ieri e - soprattutto - dopo il voto che si terrà tra una settimana, cosa accadrà al PdL? Molto meno di quanto scriva (e speri) la gran parte dei giornali. Intanto, comunque vada il voto, non ci sarà alcuna scissione. Nessun addio da parte dei finiani. E questo per il più banale dei motivi: non conviene a nessuno, ai finiani per primi. Perché lasciare un partito dove nel giro di tre o quattro anni si deciderà la successione a Silvio Berlusconi? La presenza in massa dei finiani alla manifestazione berlusconiana di ieri è la conferma che strappi in vista non ce ne sono.
Ciò nonostante, il PdL cambierà moltissimo. Se ne è parlato nelle ultime settimane tra le diverse componenti del partito, e si è già abbozzata un’intesa di massima. Certo, molto dipenderà dalle elezioni regionali. Ma grosse sorprese non dovrebbero arrivare. Nel PdL si dà per scontata la vittoria in Lombardia e Veneto; si dà per molto probabile quella in Campania e Calabria; si dà per possibile, anche se ardua, la conquista di Lazio e Piemonte. Dal resto d’Italia, se dovesse arrivare qualcosa, sarà tutto grasso che cola. Tirando le somme, il risultato minimo accettabile è ritenuto la vittoria in quattro regioni su tredici. Se le vittorie saranno cinque sarà un bel risultato, se saranno sei un successone. Dove le cose andranno molto male, cadrà la testa del coordinatore regionale. Nel PdL c’è anche chi farebbe fuori volentieri Denis Verdini, il più potente dei tre coordinatori. Ma il buon risultato della manifestazione di ieri, da lui organizzata in tempi da record, lo ha rafforzato. Il resto, su di lui e su altri, lo dirà il risultato elettorale.
Ma la rivoluzione vera sarà un’altra. Perché su una cosa, ormai, sono tutti d’accordo: la spartizione del partito secondo la logica del 70-30 (sette posti su dieci agli ex forzisti, tre agli ex aennini), non ha più senso. Il nuovo confine è quello tra berlusconiani e finiani. Tutto sommato è una buona notizia: vuol dire che l’amalgama Forza Italia-An, almeno in parte, è riuscito. A questa “fase 2” si potrebbe arrivare anche tramite una transizione soft. Berlusconi e Fini si siedono a un tavolo e si mettono d’accordo: questi sono i tuoi, questi i miei, questi sono i rapporti di forza tra le due “anime” del partito. È un’ipotesi, però, alla quale credono in pochi. A parte le incompatibilità permanenti tra i due, si è visto che simili intese calate dall’alto durano pochi mesi, e che presto tornano a riproporsi gli stessi problemi. E comunque ci vorrebbe un ottimo risultato alle regionali per dare lo slancio necessario ad adottare una simile soluzione, ma è difficile che questo risultato arrivi.
E allora la cosa più probabile è che, subito prima o subito dopo l’estate, si vada alla conta. Con un congresso? Difficile. Fare una battaglia congressuale vuol dire affidare le sorti del partito ai signori delle tessere, e l’idea non piace a Berlusconi. Più plausibile la convocazione del consiglio nazionale, del quale fanno parte parlamentari, ministri e viceministri, coordinatori regionali e provinciali, presidenti delle Regioni e delle Province e altri. In alternativa, potrebbe esserci la conta dei soli parlamentari. È proprio in vista di questa sfida che, nei giorni scorsi, Berlusconi ha dato mandato ad alcuni dei suoi per avviare un’operazione di “recupero” dei parlamentari finiani.
Alla fine di questo conteggio, il PdL avrà una sua maggioranza, ovviamente di stretta osservanza berlusconiana, e una sua minoranza, più o meno folta. Posto che tutti o quasi gli ex forzisti si schiereranno con Berlusconi, resta da capire cosa faranno gli ex di An. Alcuni di loro si dà per scontato che stiano con Berlusconi. Maurizio Gasparri, ad esempio, qualche tempo fa è stato chiaro: «Fini», ha detto, «ha diritto di avere idee nuove, ma io preferisco restare nei confini di quella destra che rappresenta le mie idee». Stessa scelta che potrebbe fare Ignazio La Russa. Italo Bocchino è scontato che si schieri con Fini. Altero Matteoli, Gianni Alemanno e altri saranno chiamati a scegliere. Al termine di questa operazione, ogni carica sarà distribuita secondo i nuovi rapporti di forza.
Se questa operazione di stabilizzazione del PdL riuscirà, il governo potrà affrontare con più tranquillità gli ultimi tre anni della legislatura. Vista la mancanza di appuntamenti elettorali, Berlusconi potrà concentrarsi sulle riforme (giustizia, tasse, presidenzialismo...), per tentare poi, nella legislatura successiva, la scalata al Quirinale. Se invece il logoramento del partito dovesse proseguire, l’esecutivo non arriverebbe al 2013. Per Berlusconi, politicamente parlando, sarebbe la fine. Ma non solo per lui.
© Libero. Pubblicato il 21 marzo 2010.