Dopo il terremoto il governo scelga l'election day

di Fausto Carioti

L’idea è buona, qui la si sostiene da un pezzo e pazienza se poi ci si sono buttati anche Dario Franceschini e l’Unità. Piuttosto, sarebbe doveroso che la sostenesse pure qualcuno dei tanti del PdL che firmarono per il referendum elettorale di Mario Segni e Giovanni Guzzetta e che adesso, come si dice a Roma, «fanno i vaghi». Insomma: se prima del terremoto spendere 400 milioni di euro (nostri) per non abbinare il referendum elettorale alle elezioni del 6 e 7 giugno poteva sembrare un favore alla Lega difficilmente giustificabile in tempo di crisi, perseverare nello spreco adesso, con mezzo Abruzzo da ricostruire, è un esercizio di puro sadismo nei confronti del contribuente.

I costi da affrontare per far votare il referendum elettorale il 14 giugno non sono motivati da alcuna ragione tecnica: nulla vieta, infatti, di mettere insieme le schede per le europee, le amministrative (laddove sono previste) e il referendum. L’unica ragione è politica, e consiste nella voglia della Lega di non far raggiungere il quorum alla consultazione, affossandola. I tre quesiti, infatti, chiedono agli elettori di tagliare alcune parti della legge elettorale in vigore per le elezioni politiche, in modo da cambiarla. Alla fine di questa operazione chirurgica, il premio di maggioranza andrebbe non alla coalizione che ottiene più voti, come avviene adesso, ma alla singola lista. È un modo per costringere il sistema politico italiano a diventare quasi bipartitico. In altre parole la Lega, per far parte della maggioranza parlamentare di centrodestra, si troverebbe costretta a confluire nella lista del PdL. Da qui, la volontà del ministro Roberto Maroni e degli altri leghisti di far votare il referendum in un weekend ad alto rischio di astensione elettorale.

Per il PdL si tratta di una discreta rogna. Molti esponenti di Forza Italia e An due anni fa firmarono per lo svolgimento del referendum (tra loro Angelino Alfano, Gianni Alemanno, Renato Brunetta, Daniele Capezzone, Gianfranco Fini, Stefania Prestigiacomo e Gaetano Quagliariello). Ma adesso che Umberto Bossi e i suoi ne fanno una questione di vita e di morte, Silvio Berlusconi accontenterebbe volentieri la Lega, pur di non avere scocciature. A guastare il sonno del PdL ci ha pensato Fini, che durante il congresso fondativo del partito ha chiesto al premier «quale atteggiamento prendere sul referendum elettorale di giugno». Sino ad oggi non ha avuto risposta, ma adesso i 3 miliardi di euro che, secondo le prime stime, serviranno per finanziare la ricostruzione post-terremoto, sono un ottimo motivo per mettere l’esigenza di risparmio dinanzi a ogni tatticismo.

Gli stessi uomini del Cavaliere, nelle ultime settimane, hanno provato a rendere il referendum digeribile per gli stomaci leghisti. Giorgio Stracquadanio, spin-doctor di palazzo Grazioli, dal suo sito corsaro “Il Predellino” ha lanciato agli alleati una proposta fantasiosa ma sensata: se venisse introdotta la modifica chiesta dai referendari, PdL e Lega Nord si presenterebbero separati alle elezioni politiche, ma il partito di Berlusconi, invece di tenere il premio di maggioranza tutto per sé, accetterebbe di condividerlo con la Lega «candidando nelle proprie liste, in accordo con il partito di Bossi, esponenti leghisti in posizione tale da essere eletti solo in caso di vittoria». Un gesto di apertura per far capire al Carroccio che il referendum, comunque vada, non può guastare il matrimonio. Per ora, dunque, si tratta dietro le quinte. Ma una risposta pubblica agli elettori dovrà essere data molto presto, e non solo perché l’ha chiesta Fini.

Di sicuro Luigi Einaudi - al quale il PdL ogni tanto si richiama, anche se c’è il sospetto che da quelle parti l’abbiano letto sì e no in tre - non avrebbe avuto dubbi: in una situazione simile il «buon padre di famiglia» quei 400 milioni non li avrebbe gettati via. Ma è anche vero che Einaudi, realista com’era, certe sue raccomandazioni a non sprecare soldi pubblici le aveva ribattezzate «prediche inutili».

© Libero. Pubblicato il 9 aprile 2009.

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