Famiglie e scuole private sempre più maltrattate dal fisco

di Fausto Carioti

Se in Italia c’è una categoria a rischio di estinzione, che merita di essere difesa, sono le famiglie che mandano i figli alle scuole private. Prima pagano ogni mese la retta, con un aiuto minimo o nullo da parte dello Stato (al quale, piaccia o meno, fanno un favore, consentendo alla pubblica istruzione di risparmiare su scuole e insegnanti). Poi provvedono a finanziare con le loro tasse la formazione del figlio del vicino di casa, che frequenta le scuole pubbliche. Insomma, in nome della «solidarietà sociale» costoro pagano due e prendono uno. Intanto la speranza di vedere introdotto a livello nazionale un “buono-scuola” da usare per iscrivere i loro figli a qualunque istituto, pubblico o privato, ritengano migliore, è stata accantonata. Quanto alle borse di studio, di solito le imprese italiane si guardano bene dal finanziarle, preferendo investire milioni di euro, anziché in aiuti agli studenti, in costosissime campagne di comunicazione nelle quali, magari, vogliono convincerci che stanno dalla parte delle nuove generazioni (appunto). Ecco, non bastasse tutto questo, dal cilindro dell’Agenzia delle Entrate è appena uscito un provvedimento destinato a rendere ancora più complicata la vita di queste famiglie e a dare l’ennesima mazzata alle (poche) scuole private scampate alla concorrenza, tutt’altro che leale, del servizio pubblico. Chi iscrive i figli agli istituti privati, infatti, da oggi fa parte della categoria di contribuenti che acquistano servizi «di lusso», e su di loro gli ispettori del fisco dovranno accendere i riflettori.

È tutto scritto nella circolare pubblicata due giorni fa dalla Direzione Accertamento dell’Agenzia delle Entrate, che aggiorna il vecchio “redditometro”. Vi si legge che gli uffici del fisco dovranno controllare chi acquista servizi «di lusso» come quelli offerti da «porti turistici, circoli esclusivi, scuole private, wellness center, tour operator». In altre parole, mandare i figli a una scuola privata è come avere uno yacht: basta per essere qualificati come super-ricchi, e se secondo la dichiarazione dei redditi non lo si è, il fisco ritiene che tu lo stia fregando.

A essere sbagliato, e anche classista (ma non aveva vinto le elezioni il centrodestra?) è proprio il presupposto che solo i ricchi possano permettersi simili cose. Tutte le scuole private, inclusi gli atenei più costosi ed esclusivi, contano tra i loro studenti tanti figli di famiglie del ceto piccolo e medio. Genitori che stringono la cinghia, attingono ai risparmi di più generazioni e magari si indebitano per dare ai loro ragazzi la possibilità di ricevere l’istruzione migliore e salire qualche gradino nella scala sociale. Queste famiglie stanno facendo qualcosa di importante, utile per loro stesse e per la collettività. Avrebbero bisogno di essere incoraggiate, anche da un punto di vista fiscale, e di poter contare su borse di studio degne di questo nome. Invece cambiano i governi, ma loro continuano a ricevere bastonate in testa. Mentre è semplicemente ridicola l’iscrizione tra i «servizi di lusso» dei centri benessere: come se massaggi anti-cellulite e maschere facciali fossero indicatori di chissà quali possibilità economiche.

Né ha senso dire che, se hanno la coscienza a posto, i contribuenti sottoposti a questi controlli usciranno indenni dalle grinfie dell’Agenzia delle Entrate. Magari fosse così semplice. Il nostro fisco, purtroppo, funziona secondo il motto del cardinale Richelieu: «Datemi sei righe scritte dall’uomo più onesto e ci troverò abbastanza per farlo impiccare». Le leggi fiscali in Italia sono talmente numerose e confuse che nessun contribuente, nemmeno il più onesto, può dormire tranquillo sapendo che gli agenti del fisco stanno esaminando al microscopio quello che ha scritto sulla dichiarazione dei redditi.

© Libero. Pubblicato l'11 aprile 2009.

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