Nessuno spazio politico fuori da Berlusconi

di Fausto Carioti

Dopo il presidente imprenditore, il presidente operaio, il presidente costruttore, il presidente ferroviere, il presidente donnaiolo, il presidente buon padre di famiglia e un’altra dozzina di varianti sul tema del Berlusconi arcitaliano, il presidente partigiano che il 25 aprile scende in piazza per celebrare la Liberazione promette di chiudere la carrellata, se non altro per esaurimento delle possibili incarnazioni. Il Berlusconi in metaforica camicia rossa sancirebbe nel giorno migliore e nel modo più evidente quello che è già sotto gli occhi di tutti: l’opposizione non c’è più. Nel senso che ogni scontro, ogni possibile dialettica ormai avviene sotto Berlusconi, che tutto riassume dentro di sé e il suo governo. Il welfare state e il liberismo, il partito che vuole mettere più tasse sui ricchi e quello che vuole ridurre le imposte a tutti, il laicismo e l’inchino (non solo formale) a Joseph Ratzinger, l’amicizia con la Russia di Vladimir Putin e quella con gli Stati Uniti di George W. Bush e di Barack Obama (che tanto fa lo stesso). E presto nello stesso personaggio potranno convivere anche la nostalgia per l’uomo forte del ventennio e i festeggiamenti per la cacciata del fascismo. Per Silvio, con Silvio e in Silvio: fuori di lui, non c’è spazio politico. Come stanno scoprendo a loro spese Dario Franceschini e il sempre più mesto partito democratico, che di qui a pochi giorni rischiano di perdere anche l’ultima esclusiva che hanno in portafoglio, quella sull’antifascismo.

Già da mesi si va facendo strada l’impressione che l’unica opposizione sia quella che nasce all’interno del PdL, o comunque dentro la maggioranza di governo. Il tema conduttore di questa legislatura, anche nei giornali di sinistra, è «Fini contro Berlusconi». Sul testamento biologico, sui rapporti tra Stato e Chiesa, su quelli tra governo e parlamento, sul referendum per cambiare la legge elettorale, sulla gestione del dopo-terremoto, sembra che l’unico in grado di tenere testa a Berlusconi sia il presidente della Camera. Il quale però, pur nella sua autonomia, appartiene sempre a quel PdL che ha il suo leader indiscusso nel presidente del Consiglio.

Un copione che sembra conoscere una sola alternativa: quella che vede nei panni del leader dell’opposizione Umberto Bossi. Non a caso, l’unico che ad oggi sia riuscito a mettere Berlusconi davanti al rischio di una crisi di governo, quando ha minacciato il premier di farlo cadere se la data del referendum fosse stata fissata il 7 giugno, giorno in cui si voteranno le elezioni europee e - in molte città d’Italia - le amministrative. Ma anche in questo caso si tratta di un gioco tutto interno alla maggioranza, che alla fine, durante le cene a palazzo Grazioli, una soluzione la trova. Male che vada scaricandone i costi sui contribuenti, come sta avvenendo nella scelta della data del referendum.

Proprio questa vicenda testimonia il disarmo della sinistra. Da giorni Franceschini e una fetta del suo partito chiedono al governo di far votare il referendum il 7 giugno, unica data che assicurerebbe il raggiungimento del quorum. Un’iniziativa buona per provare a mettere Berlusconi contro la Lega, che vuole far fallire la consultazione, e per imputare al governo lo spreco di qualche centinaio di milioni, ma che a un’analisi più approfondita si rivela surreale. Nessuno infatti, manco a sinistra, mette in dubbio che, se si votasse oggi, il PdL sarebbe il primo partito. E visto che il distacco nei confronti del Pd ormai è di una ventina di punti, è concreta l’eventualità che il partito di Berlusconi vinca comunque le prossime elezioni, anche se si terranno tra qualche anno. Bene: il referendum per cui si batte Franceschini, se approvato dagli elettori, farebbe assegnare il premio di maggioranza non alla coalizione che ottiene più voti, come avviene adesso, ma alla singola lista più votata. In altre parole, il solo PdL avrebbe la maggioranza dei seggi e sarebbe libero di governare senza la Lega. La quale, se si rifiutasse di confluire nel PdL, finirebbe all’opposizione, togliendo ulteriori seggi al Pd. È davvero questo che vuole Franceschini? Si è ridotto a fare una battaglia che, se vinta, darebbe a Berlusconi il controllo assoluto del Parlamento?

Dinanzi allo strapotere della maggioranza, che monopolizza ogni spazio politico e costringe a lavorare per essa persino il Pd, devono arrendersi anche i sondaggi commissionati da Repubblica. Gli ultimi, diffusi ieri, dicono che Berlusconi aumenta i consensi del 4% rispetto a marzo e arriva a un gradimento del 56%. Guadagnano punti anche il governo e il PdL, mentre il ministro più apprezzato dagli elettori è quel Roberto Maroni, titolare del Viminale, che ha sfidato Berlusconi impuntandosi sulla data del referendum. Come dire che il governo e i suoi esponenti incassano dividendi anche quando litigano. Pessime notizie, per chi pretende di fare l’opposizione senza far parte della maggioranza.

© Libero. Pubblicato il 21 aprile 2009.

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