La verità di Brunetta e l'ipocrisia della sinistra
di Fausto Carioti
A corto di voti e di intelligenze, alla sinistra resta l’indignazione ipocrita verso chi dice verità banali, ma politicamente scorrette. Ieri è toccato a Renato Brunetta. Il quale, tanto per cambiare, non ha fatto nulla per evitarlo. Tanto da trovarsi, a un certo punto, ai ferri corti pure con la sua collega di governo Mara Carfagna. A un convegno sulle pari opportunità, davanti a una platea quasi tutta femminile, Brunetta ha denunciato dal palco una delle principali storture del pubblico impiego, che vede molte donne nella duplice veste di defraudatrici e vittime. «Non voglio più che le donne scappino dai posti di lavoro per andare a fare la spesa e poi tornare a casa alle 13.30 con le buste in mano», ha detto il ministro per la Pubblica amministrazione mentre si levava qualche fischio. Una sfida alle donne? Per Brunetta è l’esatto contrario: «La lotta all’assenteismo è una lotta di liberazione per le donne. Far finta di essere malate per accudire i mariti, per accudire la famiglia, vuol dire buttare via la propria dignità professionale e la propria deontologia».
Davanti a queste frasi si possono fare due cose. La prima è quella che ha fatto ieri la sinistra. Che un tempo voleva l’uguaglianza tra i sessi, ma adesso si accontenta di difendere uno status quo che, nel mondo del lavoro, è fatto apposta per mantenere le donne in posizione subordinata. Così è partito il coro degli scandalizzati, con Rosy Bindi dire che Brunetta usa un linguaggio «vecchio e maschilista», la senatrice del Pd Vittoria Franco definirlo «un uomo profondamente misogino» e l’immancabile responsabile per le Pari opportunità della Cgil denunciare «un vero e proprio attacco sessista».
Anche la Carfagna, ministro per le Pari opportunità del governo Berlusconi, per un momento è sembrata allinearsi, quando ha chiesto di non cadere in «facili provocazioni» alle donne presenti al convegno al quale aveva appena parlato Brunetta. Per poi, diciamo, chiarirsi meglio e assicurare che con il responsabile della Pubblica amministrazione non c’è «nessuna polemica», poiché entrambi sono d’accordo su tutto. Inclusi il principio per cui «chi va a fare la spesa durante l’orario di lavoro commette una truffa e va censurato» e la necessità che presto il governo vari interventi per «conciliare meglio i tempi di lavoro e di cura familiare».
L’altra reazione possibile, dinanzi alle parole di Brunetta, è dare un’occhiata realista al mondo dell’occupazione. Dal quale emergono alcuni dati molto chiari. Primo tra tutti la difficoltà delle donne a fare carriera. Nella piramide del lavoro, anche in quella dell’amministrazione statale, il peso femminile diminuisce man mano che si sale di grado. Nonostante questo, l’impiego pubblico resta meta ambita per tante donne. Soprattutto perché permette a molte di fare almeno altri due lavori: quello di casalinga e quello di madre. E questo proprio grazie all’assenteismo tollerato dai capi-ufficio (quasi tutti uomini, ovviamente), alle visite fiscali inesistenti, alla pensione anticipata rispetto ai colleghi maschi. Il fatto che le iniziative di Brunetta abbiano già ridotto del 36% (dati ufficiali di febbraio) le assenze in un comparto molto femminilizzato come quello della pubblica istruzione la dice lunga sull’andazzo.
Chi ha modo di controllare di persona, magari perché vive davanti a un ufficio pubblico, un’idea chiara già se l’è fatta tempo. Come il signore che ieri ha scritto questa frase commentando le dichiarazioni di Brunetta sul sito dell’Unità: «Abito in un piccolo comune di 3.000 abitanti e quasi tutti i giorni incontro al supermercato nelle ore di lavoro diverse impiegate comunali che ritirano la spesa». Vivesse a Roma, chissà quante ne avrebbe avute da raccontare.
Certo, anche gli uomini sono assenteisti, spesso più delle donne. Ma le donne che hanno famiglia nella gran parte dei casi sono costrette all’assenza per badare ai figli, ai mariti, ai genitori anziani e alle faccende di casa. Gli uomini no, perché non accettano di rovinarsi la carriera per simili motivi, e preferiscono che a farlo siano le donne. Ci vuole un eccesso di maschilismo, sindrome molto diffusa anche a sinistra, per non ammettere tale ovvietà.
Se la situazione è questa, un’opposizione seria potrebbe contrattare con il ministro. Brunetta ha annunciato che il governo destinerà a «welfare, asili nido, salari e carriera» delle donne tutti i risparmi che si otterranno innalzando l’età pensionabile delle dipendenti del pubblico impiego. Bella idea, ma magari si può fare di più e di meglio, visto che, nonostante l’elevata pressione fiscale e l’assenza di un quoziente familiare che renda le imposte un po’ più umane, i servizi di assistenza alle famiglie con figli sono inesistenti in gran parte d’Italia, e le prime ad avvantaggiarsene sarebbero proprio le donne.
Ma da certe parti passare dalla protesta alla proposta, quando si parla di famiglia, vuol dire muoversi su un terreno scivolosissimo, perché per gran parte della sinistra dare la precedenza alle famiglie con figli è visto come un affronto alle lavoratrici single o alle coppie che figli non ne hanno. Così chi guarda finisce per avere l’impressione che la partita vera tra governo e opposizione si giochi tutta in casa del PdL, tra Brunetta e Carfagna. Con gli esponenti della sinistra incapaci di andare oltre la solita scontatissima indignazione. E poi si domandano come mai gli elettori si stiano scordando di loro.
© Libero. Pubblicato il 3 aprile 2009.
A corto di voti e di intelligenze, alla sinistra resta l’indignazione ipocrita verso chi dice verità banali, ma politicamente scorrette. Ieri è toccato a Renato Brunetta. Il quale, tanto per cambiare, non ha fatto nulla per evitarlo. Tanto da trovarsi, a un certo punto, ai ferri corti pure con la sua collega di governo Mara Carfagna. A un convegno sulle pari opportunità, davanti a una platea quasi tutta femminile, Brunetta ha denunciato dal palco una delle principali storture del pubblico impiego, che vede molte donne nella duplice veste di defraudatrici e vittime. «Non voglio più che le donne scappino dai posti di lavoro per andare a fare la spesa e poi tornare a casa alle 13.30 con le buste in mano», ha detto il ministro per la Pubblica amministrazione mentre si levava qualche fischio. Una sfida alle donne? Per Brunetta è l’esatto contrario: «La lotta all’assenteismo è una lotta di liberazione per le donne. Far finta di essere malate per accudire i mariti, per accudire la famiglia, vuol dire buttare via la propria dignità professionale e la propria deontologia».
Davanti a queste frasi si possono fare due cose. La prima è quella che ha fatto ieri la sinistra. Che un tempo voleva l’uguaglianza tra i sessi, ma adesso si accontenta di difendere uno status quo che, nel mondo del lavoro, è fatto apposta per mantenere le donne in posizione subordinata. Così è partito il coro degli scandalizzati, con Rosy Bindi dire che Brunetta usa un linguaggio «vecchio e maschilista», la senatrice del Pd Vittoria Franco definirlo «un uomo profondamente misogino» e l’immancabile responsabile per le Pari opportunità della Cgil denunciare «un vero e proprio attacco sessista».
Anche la Carfagna, ministro per le Pari opportunità del governo Berlusconi, per un momento è sembrata allinearsi, quando ha chiesto di non cadere in «facili provocazioni» alle donne presenti al convegno al quale aveva appena parlato Brunetta. Per poi, diciamo, chiarirsi meglio e assicurare che con il responsabile della Pubblica amministrazione non c’è «nessuna polemica», poiché entrambi sono d’accordo su tutto. Inclusi il principio per cui «chi va a fare la spesa durante l’orario di lavoro commette una truffa e va censurato» e la necessità che presto il governo vari interventi per «conciliare meglio i tempi di lavoro e di cura familiare».
L’altra reazione possibile, dinanzi alle parole di Brunetta, è dare un’occhiata realista al mondo dell’occupazione. Dal quale emergono alcuni dati molto chiari. Primo tra tutti la difficoltà delle donne a fare carriera. Nella piramide del lavoro, anche in quella dell’amministrazione statale, il peso femminile diminuisce man mano che si sale di grado. Nonostante questo, l’impiego pubblico resta meta ambita per tante donne. Soprattutto perché permette a molte di fare almeno altri due lavori: quello di casalinga e quello di madre. E questo proprio grazie all’assenteismo tollerato dai capi-ufficio (quasi tutti uomini, ovviamente), alle visite fiscali inesistenti, alla pensione anticipata rispetto ai colleghi maschi. Il fatto che le iniziative di Brunetta abbiano già ridotto del 36% (dati ufficiali di febbraio) le assenze in un comparto molto femminilizzato come quello della pubblica istruzione la dice lunga sull’andazzo.
Chi ha modo di controllare di persona, magari perché vive davanti a un ufficio pubblico, un’idea chiara già se l’è fatta tempo. Come il signore che ieri ha scritto questa frase commentando le dichiarazioni di Brunetta sul sito dell’Unità: «Abito in un piccolo comune di 3.000 abitanti e quasi tutti i giorni incontro al supermercato nelle ore di lavoro diverse impiegate comunali che ritirano la spesa». Vivesse a Roma, chissà quante ne avrebbe avute da raccontare.
Certo, anche gli uomini sono assenteisti, spesso più delle donne. Ma le donne che hanno famiglia nella gran parte dei casi sono costrette all’assenza per badare ai figli, ai mariti, ai genitori anziani e alle faccende di casa. Gli uomini no, perché non accettano di rovinarsi la carriera per simili motivi, e preferiscono che a farlo siano le donne. Ci vuole un eccesso di maschilismo, sindrome molto diffusa anche a sinistra, per non ammettere tale ovvietà.
Se la situazione è questa, un’opposizione seria potrebbe contrattare con il ministro. Brunetta ha annunciato che il governo destinerà a «welfare, asili nido, salari e carriera» delle donne tutti i risparmi che si otterranno innalzando l’età pensionabile delle dipendenti del pubblico impiego. Bella idea, ma magari si può fare di più e di meglio, visto che, nonostante l’elevata pressione fiscale e l’assenza di un quoziente familiare che renda le imposte un po’ più umane, i servizi di assistenza alle famiglie con figli sono inesistenti in gran parte d’Italia, e le prime ad avvantaggiarsene sarebbero proprio le donne.
Ma da certe parti passare dalla protesta alla proposta, quando si parla di famiglia, vuol dire muoversi su un terreno scivolosissimo, perché per gran parte della sinistra dare la precedenza alle famiglie con figli è visto come un affronto alle lavoratrici single o alle coppie che figli non ne hanno. Così chi guarda finisce per avere l’impressione che la partita vera tra governo e opposizione si giochi tutta in casa del PdL, tra Brunetta e Carfagna. Con gli esponenti della sinistra incapaci di andare oltre la solita scontatissima indignazione. E poi si domandano come mai gli elettori si stiano scordando di loro.
© Libero. Pubblicato il 3 aprile 2009.