Famiglie e scuole private, mezza vittoria sul fisco
di Fausto Carioti
Incavolarsi serve. Lanciato l'11 aprile su queste pagine, l'allarme per l'ultima cattiveria del fisco italiano nei confronti delle scuole private ci ha messo un po' per essere recepito dai diretti interessati. Alla fine, però, l'arrabbiatura è emersa. E ieri questa reazione ha prodotto un primo risultato: il direttore dell'Agenzia delle Entrate, Attilio Befera, ha assicurato che la scuola paritaria, di per sé, non è «un lusso», e che l'iscrizione dei figli a questi istituti non è «sempre e comunque indice di una particolare agiatezza economica». Alleluia.
Un passo indietro. Il 9 aprile la Direzione accertamento dell'Agenzia delle Entrate aveva pubblicato una circolare per aggiornare il vecchio “redditometro”. Vi si leggeva che gli uffici del fisco dovranno controllare chi acquista servizi «di lusso» come quelli offerti da «porti turistici, circoli esclusivi, scuole private, wellness center, tour operator». Insomma, il fisco metteva nero su bianco che mandare i figli a una scuola privata è come comprare uno yacht: roba da ricchi. O da evasori fiscali. Un provvedimento che secondo questo quotidiano si basava su un presupposto «sbagliato e classista». Perché basta entrare in una qualunque scuola privata, atenei inclusi, per rendersi conto che tanti studenti sono figli di famiglie dove, per mettere da parte i soldi necessari ai loro studi, si è stretta la cinghia per anni. Famiglie che meriterebbero incentivi fiscali, non ulteriori vessazioni. L'iniziativa dell'Agenzia delle Entrate è tanto più inspiegabile in quanto adottata da un governo che si era fatto votare dagli elettori promettendo ricette fiscali opposte a quelle di Vincenzo Visco.
E infatti. «Roba da soviet. Mettere sullo stesso piano noi con chi possiede gli yacht è scorretto e discriminante», ha avvertito Maria Grazia Colombo, presidente dell'Associazione dei genitori delle scuole cattoliche, convinta (a ragione) che la circolare crei «un pregiudizio nei confronti di genitori che magari fanno grossi sacrifici e che vengono rubricati come possibili evasori». Stesso discorso da parte del presidente dell'Associazione delle scuole non statali, Luigi Sepiacci: «Mi pare una campagna mirata contro di noi». A dare loro manforte, i parlamentari dell'Udc, che perfidamente hanno ricordato a Silvio Berlusconi di aver studiato dai padri salesiani, e gli hanno chiesto di intervenire. Ancora più duro, dal Vaticano, il cardinale Zenon Grocholewsky, prefetto della congregazione per l'educazione cattolica intervistato dalla Stampa: «È un'inaudita violazione dei principi costituzionali e di tutte le convenzioni internazionali».
Sono scesi in campo anche alcuni parlamentari del Pdl. Un po' per convinzione, un po' perché spaventati dal rischio dell'autogol. Maurizio Lupi, vicepresidente della Camera, ha detto che «considerare le scuole paritarie un servizio di lusso, come si evince dalla circolare dell'Agenzia delle Entrate, è contraddittorio e demagogico». Il suo collega di partito Giorgio Jannone ha presentato addirittura un'interrogazione al ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, per chiedergli di «rivedere il contenuto della circolare».
Così, nel pomeriggio di ieri, è dovuto intervenire il direttore dell'Agenzia delle Entrate per calmare le acque. E dare un'interpretazione ufficiale della circolare che ha il sapore di una mezza retromarcia. Il contestatissimo documento, garantisce Befera, «non ha assolutamente l'intento di qualificare le spese per l'istruzione come un genere di lusso», né di stabilire che esse siano «sempre e comunque indice di una particolare agiatezza economica. Le spese in questione vengono infatti prese in considerazione solo qualora siano di ammontare particolarmente rilevante. Né più né meno di quello che accade per i natanti. Così come non è l'acquisto di un gommone che denota una particolare capacità economica, mentre può ben esserlo l'acquisto di un potente e costoso motoscafo, lo stesso accade per le spese per l'istruzione».
È un primo risultato. Sebbene continuare a paragonare l'istruzione dei figli all'acquisto di una barca sia un errore madornale, giacché per i figli le famiglie sono disposte a svenarsi anche oltre le loro possibilità, e quindi rischiano di essere classificate tra i potenziali evasori anche quando hanno versato al fisco più esoso del mondo pure l'ultimo euro dovuto. Ma la “correzione” di Befera, quantomeno, dovrebbe impedire di mettere nel mirino l'intera categoria dei genitori degli alunni delle scuole paritarie. Anche se, come al solito, tutto dipenderà dall'attività dei funzionari del fisco e dall'intelligenza con cui applicheranno la circolare. Insomma, ai contribuenti non resta che pregare. Come sempre quando si ha a che fare con il fisco italiano.
© Libero. Pubblicato il 29 aprile 2009.
Incavolarsi serve. Lanciato l'11 aprile su queste pagine, l'allarme per l'ultima cattiveria del fisco italiano nei confronti delle scuole private ci ha messo un po' per essere recepito dai diretti interessati. Alla fine, però, l'arrabbiatura è emersa. E ieri questa reazione ha prodotto un primo risultato: il direttore dell'Agenzia delle Entrate, Attilio Befera, ha assicurato che la scuola paritaria, di per sé, non è «un lusso», e che l'iscrizione dei figli a questi istituti non è «sempre e comunque indice di una particolare agiatezza economica». Alleluia.
Un passo indietro. Il 9 aprile la Direzione accertamento dell'Agenzia delle Entrate aveva pubblicato una circolare per aggiornare il vecchio “redditometro”. Vi si leggeva che gli uffici del fisco dovranno controllare chi acquista servizi «di lusso» come quelli offerti da «porti turistici, circoli esclusivi, scuole private, wellness center, tour operator». Insomma, il fisco metteva nero su bianco che mandare i figli a una scuola privata è come comprare uno yacht: roba da ricchi. O da evasori fiscali. Un provvedimento che secondo questo quotidiano si basava su un presupposto «sbagliato e classista». Perché basta entrare in una qualunque scuola privata, atenei inclusi, per rendersi conto che tanti studenti sono figli di famiglie dove, per mettere da parte i soldi necessari ai loro studi, si è stretta la cinghia per anni. Famiglie che meriterebbero incentivi fiscali, non ulteriori vessazioni. L'iniziativa dell'Agenzia delle Entrate è tanto più inspiegabile in quanto adottata da un governo che si era fatto votare dagli elettori promettendo ricette fiscali opposte a quelle di Vincenzo Visco.
E infatti. «Roba da soviet. Mettere sullo stesso piano noi con chi possiede gli yacht è scorretto e discriminante», ha avvertito Maria Grazia Colombo, presidente dell'Associazione dei genitori delle scuole cattoliche, convinta (a ragione) che la circolare crei «un pregiudizio nei confronti di genitori che magari fanno grossi sacrifici e che vengono rubricati come possibili evasori». Stesso discorso da parte del presidente dell'Associazione delle scuole non statali, Luigi Sepiacci: «Mi pare una campagna mirata contro di noi». A dare loro manforte, i parlamentari dell'Udc, che perfidamente hanno ricordato a Silvio Berlusconi di aver studiato dai padri salesiani, e gli hanno chiesto di intervenire. Ancora più duro, dal Vaticano, il cardinale Zenon Grocholewsky, prefetto della congregazione per l'educazione cattolica intervistato dalla Stampa: «È un'inaudita violazione dei principi costituzionali e di tutte le convenzioni internazionali».
Sono scesi in campo anche alcuni parlamentari del Pdl. Un po' per convinzione, un po' perché spaventati dal rischio dell'autogol. Maurizio Lupi, vicepresidente della Camera, ha detto che «considerare le scuole paritarie un servizio di lusso, come si evince dalla circolare dell'Agenzia delle Entrate, è contraddittorio e demagogico». Il suo collega di partito Giorgio Jannone ha presentato addirittura un'interrogazione al ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, per chiedergli di «rivedere il contenuto della circolare».
Così, nel pomeriggio di ieri, è dovuto intervenire il direttore dell'Agenzia delle Entrate per calmare le acque. E dare un'interpretazione ufficiale della circolare che ha il sapore di una mezza retromarcia. Il contestatissimo documento, garantisce Befera, «non ha assolutamente l'intento di qualificare le spese per l'istruzione come un genere di lusso», né di stabilire che esse siano «sempre e comunque indice di una particolare agiatezza economica. Le spese in questione vengono infatti prese in considerazione solo qualora siano di ammontare particolarmente rilevante. Né più né meno di quello che accade per i natanti. Così come non è l'acquisto di un gommone che denota una particolare capacità economica, mentre può ben esserlo l'acquisto di un potente e costoso motoscafo, lo stesso accade per le spese per l'istruzione».
È un primo risultato. Sebbene continuare a paragonare l'istruzione dei figli all'acquisto di una barca sia un errore madornale, giacché per i figli le famiglie sono disposte a svenarsi anche oltre le loro possibilità, e quindi rischiano di essere classificate tra i potenziali evasori anche quando hanno versato al fisco più esoso del mondo pure l'ultimo euro dovuto. Ma la “correzione” di Befera, quantomeno, dovrebbe impedire di mettere nel mirino l'intera categoria dei genitori degli alunni delle scuole paritarie. Anche se, come al solito, tutto dipenderà dall'attività dei funzionari del fisco e dall'intelligenza con cui applicheranno la circolare. Insomma, ai contribuenti non resta che pregare. Come sempre quando si ha a che fare con il fisco italiano.
© Libero. Pubblicato il 29 aprile 2009.