Ma ora bisogna tagliare le tasse e allentare i vincoli europei
di Fausto Carioti
Silvio Berlusconi ha fatto benissimo, ieri, a dire che proprio questo è il momento in cui bisogna «avere il coraggio di ridurre le tasse e sostenere l’economia reale». La speranza è che ora dia un seguito concreto alle sue parole. Di sicuro, «coraggio» gliene servirà molto. Da un punto di vista contabile, innanzitutto: il Fondo monetario internazionale ha appena annunciato l’arrivo di una «recessione globale» e il governo, come si legge nel testo del decreto approvato mercoledì, si è detto pronto a usare soldi pubblici «anche in deroga alle norme di contabilità di Stato» per «sottoscrivere o garantire aumenti di capitale deliberati da banche italiane che presentano una situazione di inadeguatezza patrimoniale accertata dalla Banca d’Italia». In altre parole, se si vuole rispettare il piano di azzeramento del deficit pubblico, i soldi per tagliare le tasse non ci sono, anche perché le entrate fiscali, nei prossimi mesi, si ridurranno a causa della frenata dell’economia. Ma per dire cose simili occorre anche una buona dose di coraggio politico: certi annunci creano aspettative che non possono essere deluse, perché di tutto hanno bisogno gli elettori in questo momento tranne che di prendere fregature da un governo nel quale, a detta di tutti i sondaggi, ripongono una grande fiducia.
Il presidente del Consiglio, insomma, è chiamato alla coerenza. Ieri è stato chiaro: «Tutti», ha annunciato, «ci stiamo domandando come fare» a uscire dalla crisi economica e uno dei modi è «avere il coraggio di ridurre la pressione fiscale». Non si tratta, dunque, del solito impegno alla «graduale e progressiva diminuzione della pressione fiscale sotto il 40% del prodotto interno lordo», che il programma di governo prevede di attuare entro la fine della legislatura e che nessun ministro, almeno a parole, ha mai messo in dubbio. Berlusconi ha fatto di più: si è impegnato a varare quella che in gergo tecnico si chiama manovra anti-congiunturale, cioè a dare ossigeno a famiglie e imprese, minacciate dalla crisi finanziaria ed economica, con un nuovo taglio delle imposte. Una mossa che può avere successo solo se attuata in tempi rapidi, prima che la recessione lasci sul campo una lunga scia di cadaveri. E sarà molto interessante capire in che modo il premier pensa di fare questi nuovi interventi: la Finanziaria 2009 è già pronta e blindata, il taglio alle tasse (abolizione dell’Ici sulla prima casa e detassazione degli straordinari) era stato già deciso con la manovra triennale varata prima dell’estate e il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, non appare incline a interventi in corsa. Ma attendere il 2010 significherebbe arrivare troppo tardi.
Se quello che Berlusconi ha detto è importante, ancora più importante è quello che il premier ha taciuto, ma che a questo punto deve considerarsi sottinteso. E cioè che Berlusconi considera già morti, o quantomeno ibernati, gli accordi europei di stabilità. In base ai quali il governo italiano si è impegnato a portare i conti pubblici in sostanziale pareggio nel 2011, anno in cui, come previsto dalla Nota di aggiornamento del Documento di programmazione economico-finanziaria varata dal Tesoro poche settimane fa, l’indebitamento netto dovrebbe essere ridotto allo 0,3% del prodotto interno lordo, insomma quasi azzerato.
Non vi è modo, infatti, di fare nuovi tagli alle tasse senza compromettere il percorso di risanamento dei conti pubblici presentato dall’Italia all’Europa. Tanto più che il governo ha basato tutti i suoi calcoli su una crescita economica che dovrebbe essere pari allo 0,5% nel 2009, per farsi più robusta negli anni seguenti ed arrivare all’1,5% nel 2013. Ma, anche se queste stime sono frutto di una recente revisione al ribasso di previsioni più ottimistiche, per colpa della crisi rischiano lo stesso di rivelarsi errate per eccesso: già per il 2009 il Fondo monetario prevede per il nostro Paese un calo del Pil pari allo 0,2%. Insomma, il pareggio dei conti nel 2011 appare una chimera anche senza quella riduzione delle entrate che un nuovo taglio delle tasse necessariamente porterebbe con sé. Figuriamoci se nel frattempo il governo intervenisse sull’Irpef o su altre imposte.
Certo, la regola dice che il patto di stabilità può essere “allentato” solo tramite un accordo tra i governi europei. Ma, dando uno sguardo in giro, non è che gli altri se la passino meglio di noi. Il Fondo monetario ha tagliato di brutto le stime di crescita per tutti i Paesi del vecchio continente, e prevede recessione, nel 2009, anche per Spagna, Gran Bretagna e Irlanda. Insomma, l’impressione è che presto un forte allentamento dei vincoli di stabilità sarà chiesto un po’ da tutti i governi europei. L’Italia, almeno stavolta, può contare su una Finanziaria che Tremonti ha voluto solida e al riparo da ogni possibile assalto alla diligenza da parte del Parlamento. Proprio la cautela e il dirigismo del ministro, dunque, hanno reso credibile la lucida follia con cui Berlusconi si è appena impegnato a tagliare le tasse.
© Libero. Pubblicato il 4 ottobre 2008.
Silvio Berlusconi ha fatto benissimo, ieri, a dire che proprio questo è il momento in cui bisogna «avere il coraggio di ridurre le tasse e sostenere l’economia reale». La speranza è che ora dia un seguito concreto alle sue parole. Di sicuro, «coraggio» gliene servirà molto. Da un punto di vista contabile, innanzitutto: il Fondo monetario internazionale ha appena annunciato l’arrivo di una «recessione globale» e il governo, come si legge nel testo del decreto approvato mercoledì, si è detto pronto a usare soldi pubblici «anche in deroga alle norme di contabilità di Stato» per «sottoscrivere o garantire aumenti di capitale deliberati da banche italiane che presentano una situazione di inadeguatezza patrimoniale accertata dalla Banca d’Italia». In altre parole, se si vuole rispettare il piano di azzeramento del deficit pubblico, i soldi per tagliare le tasse non ci sono, anche perché le entrate fiscali, nei prossimi mesi, si ridurranno a causa della frenata dell’economia. Ma per dire cose simili occorre anche una buona dose di coraggio politico: certi annunci creano aspettative che non possono essere deluse, perché di tutto hanno bisogno gli elettori in questo momento tranne che di prendere fregature da un governo nel quale, a detta di tutti i sondaggi, ripongono una grande fiducia.
Il presidente del Consiglio, insomma, è chiamato alla coerenza. Ieri è stato chiaro: «Tutti», ha annunciato, «ci stiamo domandando come fare» a uscire dalla crisi economica e uno dei modi è «avere il coraggio di ridurre la pressione fiscale». Non si tratta, dunque, del solito impegno alla «graduale e progressiva diminuzione della pressione fiscale sotto il 40% del prodotto interno lordo», che il programma di governo prevede di attuare entro la fine della legislatura e che nessun ministro, almeno a parole, ha mai messo in dubbio. Berlusconi ha fatto di più: si è impegnato a varare quella che in gergo tecnico si chiama manovra anti-congiunturale, cioè a dare ossigeno a famiglie e imprese, minacciate dalla crisi finanziaria ed economica, con un nuovo taglio delle imposte. Una mossa che può avere successo solo se attuata in tempi rapidi, prima che la recessione lasci sul campo una lunga scia di cadaveri. E sarà molto interessante capire in che modo il premier pensa di fare questi nuovi interventi: la Finanziaria 2009 è già pronta e blindata, il taglio alle tasse (abolizione dell’Ici sulla prima casa e detassazione degli straordinari) era stato già deciso con la manovra triennale varata prima dell’estate e il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, non appare incline a interventi in corsa. Ma attendere il 2010 significherebbe arrivare troppo tardi.
Se quello che Berlusconi ha detto è importante, ancora più importante è quello che il premier ha taciuto, ma che a questo punto deve considerarsi sottinteso. E cioè che Berlusconi considera già morti, o quantomeno ibernati, gli accordi europei di stabilità. In base ai quali il governo italiano si è impegnato a portare i conti pubblici in sostanziale pareggio nel 2011, anno in cui, come previsto dalla Nota di aggiornamento del Documento di programmazione economico-finanziaria varata dal Tesoro poche settimane fa, l’indebitamento netto dovrebbe essere ridotto allo 0,3% del prodotto interno lordo, insomma quasi azzerato.
Non vi è modo, infatti, di fare nuovi tagli alle tasse senza compromettere il percorso di risanamento dei conti pubblici presentato dall’Italia all’Europa. Tanto più che il governo ha basato tutti i suoi calcoli su una crescita economica che dovrebbe essere pari allo 0,5% nel 2009, per farsi più robusta negli anni seguenti ed arrivare all’1,5% nel 2013. Ma, anche se queste stime sono frutto di una recente revisione al ribasso di previsioni più ottimistiche, per colpa della crisi rischiano lo stesso di rivelarsi errate per eccesso: già per il 2009 il Fondo monetario prevede per il nostro Paese un calo del Pil pari allo 0,2%. Insomma, il pareggio dei conti nel 2011 appare una chimera anche senza quella riduzione delle entrate che un nuovo taglio delle tasse necessariamente porterebbe con sé. Figuriamoci se nel frattempo il governo intervenisse sull’Irpef o su altre imposte.
Certo, la regola dice che il patto di stabilità può essere “allentato” solo tramite un accordo tra i governi europei. Ma, dando uno sguardo in giro, non è che gli altri se la passino meglio di noi. Il Fondo monetario ha tagliato di brutto le stime di crescita per tutti i Paesi del vecchio continente, e prevede recessione, nel 2009, anche per Spagna, Gran Bretagna e Irlanda. Insomma, l’impressione è che presto un forte allentamento dei vincoli di stabilità sarà chiesto un po’ da tutti i governi europei. L’Italia, almeno stavolta, può contare su una Finanziaria che Tremonti ha voluto solida e al riparo da ogni possibile assalto alla diligenza da parte del Parlamento. Proprio la cautela e il dirigismo del ministro, dunque, hanno reso credibile la lucida follia con cui Berlusconi si è appena impegnato a tagliare le tasse.
© Libero. Pubblicato il 4 ottobre 2008.