Silvio Rocks


di Fausto Carioti

Born to be wild. Nato per essere selvaggio. Uno come Silvio Berlusconi lo devi mettere in competizione con Mick Jagger e Bruce Springsteen, mica con Dario Franceschini, che ti addormenti solo a guardarlo. Una vita da vera rockstar, quella del Cavaliere. «Piena di guai», proprio come cantava Vasco, e come le procure di Milano e Palermo possono confermare. «Una vita che non è mai tardi, di quelle che non dormi mai», se è vera solo la metà delle cose che si leggono nel libro di Patrizia D’Addario, dal quale l’ego machista del premier rischia di uscire ulteriormente rafforzato. «Più di una volta», scrive la escort raccontando la sua notte con Berlusconi, «spero si addormenti. Ma quando sembra che dorma, lì dove avete capito che gli piace di più farlo, con la testa fra le mie cosce, si riprende, corre in bagno, si butta sotto la doccia fredda e riparte». Se il mondo della politica ancora fatica a comprenderlo, quello della cultura di massa, che invece ha gli strumenti per farlo, il fenomeno l’ha capito benissimo: l’edizione italiana di Rolling Stone, bibbia mensile della musica rock, ha appena eletto Berlusconi star dell’anno, essendosi distinto nel corso del 2009 «per evidenti meriti dovuti a uno stile di vita per il quale la definizione di rock & roll va persino stretta». Il suo rivale «abbronzato», Barack Obama, si è dovuto inchinare, classificandosi secondo. Terzo Joseph Ratzinger, «ma solo perché ha fatto questo mese un disco con la Geffen», l’etichetta dei Nirvana dei tempi d’oro, spiega la rivista. Così la prossima copertina mostrerà il Cavaliere ritratto da Shepard Fairey, lo stesso che ha fatto il manifesto-simbolo della campagna elettorale di Obama, insomma l’Andy Warhol dei tempi nostri. Pensavamo di aver eletto un premier, ci troviamo tra le mani una vera icona pop.

Il direttore di Rolling Stone, Carlo Antonelli, la spiega così: «Siamo ben fuori dal dispensare giudizi da destra o da sinistra. Siamo solo osservatori che constatano ciò che è avvenuto e avviene ogni giorno. I comportamenti quotidiani di Silvio, la sua furia vitale, il suo stile di vita inimitabile, gli hanno regalato, specie quest’anno, un’incredibile popolarità internazionale». Voglia di ironizzare sul premier? Di sicuro c’è anche quella, dato che tra le motivazioni del riconoscimento si legge che Neverland, la tenuta di Michael Jackson, «è una mansardina in confronto a Villa Certosa», e che il disegno di Fairey lo rappresenta nell’atto di strappare il tricolore. Ma c’è pure la consapevolezza che uno come lui non lo spieghi solo con le categorie della politica (e infatti i post-comunisti e i neo-bacchettoni di Repubblica ancora non capiscono come facciano gli italiani a votarlo, né lo capiranno mai). Insomma, Berlusconi difficilmente lo ammetterà, ma essere inserito tra le leggende del rock & roll lo inorgoglisce di brutto. A Pier Luigi Bersani e Gianfranco Fini, per dirne due a caso, non succederà mai.

Così come è facile immaginare il ghigno del Caimano davanti a certi passaggi di “Gradisca, presidente”, il libro della D’Addario che lui ovviamente negherà di avere mai letto. Sentite qui che roba: «Sono molto più giovane di lui, e diciamo anche abbastanza esperta. Ma a tratti temo di non farcela a reggere i suoi assalti. Prende qualcosa? Me lo hanno chiesto molte volte. Non lo so, non ne ho avuto prova». Alzi la mano, tra i maschietti, chi non vorrebbe arrivare ai 73 anni con una simile certificazione di qualità. Da vera rockstar, anche in questo caso. Almeno quanto il suo quasi coetaneo James Brown, che cantava «Stay on the scene like a sex machine». Un modo di stare sulla scena che al Cavaliere riesce benissimo. Con la differenza che, da bravo sciupafemmine latino, il nostro sa essere dolce persino il mattino dopo: «Mi bacia molto anche durante la colazione, prende i dolci, li spezza e mi imbocca. Restiamo insieme quasi un’ora», scrive la escort. Roba da fidanzatini, e stai sicuro che c’è qualche milione di italiane che ogni giorno aspetta inutilmente simili gesti di affetto dal proprio marito. Se questo deve essere il libro che fa a pezzi Berlusconi, il rischio è che ne esca ancora più glorificato.

Ora immaginate cosa può pensare uno così, che è riuscito a fare della sua vita un’opera d’arte postmoderna detestata da molti e ammirata da tanti, delle polemiche tra Giulio Tremonti e Renato Brunetta, o del simpatico ministro Gianfranco Rotondi, che a pochi mesi dalle elezioni si mette a parlare male della pausa pranzo, cioè una delle istituzioni sociali su cui si regge questo Paese. O quale opinione possa avere dei suoi avversari, che dinanzi a uno che ruba le copertine ai Rem e a Madonna fanno ancora di più la figura dei nanetti da giardino. Se ne frega, se va tutto bene. E se va male li tratta come fastidiosi impicci al suo disegno, che adesso per andare avanti ha bisogno di rimuovere il rischio di una condanna penale. The show must go on. E allora via rockeggiando verso il processo breve, il ritorno dell’immunità parlamentare, il lodo Alfano in versione costituzionale e ogni altra cosa che possa consentirgli di continuare a suonare indisturbato. Perché da quindici anni sul palcoscenico italiano c’è una sola star. Il pubblico ora lo applaude, ora s’incavola. Ma tutti gli altri stanno dieci passi indietro, e sono lì solo per fargli il coro. E il bello è che molti di loro non l’hanno nemmeno capito.

© Libero. Pubblicato il 24 novembre 2009.

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