Il caso Cosentino rompe la tregua tra Berlusconi e Fini

di Fausto Carioti

La tregua fragile appena raggiunta da Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini, suggellata dal testo di legge sul processo breve, scricchiola e minaccia di rompersi davanti alla candidatura di Nicola Cosentino. Il sottosegretario all’Economia, per il quale un gip di Napoli ha inviato a Montecitorio la richiesta d’arresto per concorso esterno in associazione camorristica, ha confermato di voler correre come presidente della Campania, nonostante il veto di Fini. Intenzione ribadita ieri sera dopo un colloquio di mezz’ora con il presidente del Consiglio. «Sono convinto che Cosentino non sarà candidato e Berlusconi condivide l’idea che sia inopportuno candidarlo», aveva detto mercoledì sera il presidente della Camera. Ventiquattro ore dopo, uscito da palazzo Grazioli, Cosentino ha fatto capire che le cose non stanno proprio così. «Mantengo la mia candidatura. Berlusconi ne ha preso atto», ha riferito il sottosegretario. Va da sé che, se il Cavaliere avesse voluto, avrebbe potuto fermarlo con un gesto. Ma non lo ha fatto, e per Fini e i suoi questo ha il sapore di una dichiarazione di guerra.

Eppure il disegno di legge presentato ieri in Senato dal Popolo della libertà per introdurre il processo breve - e cavare il premier fuori dai guai giudiziari - sembrava aver suggellato un equilibrio, per quanto precario, tra Berlusconi e Fini. Intanto perché il testo, a conti fatti, è meno imbarazzante di quanto ci si potesse aspettare. Molto meno brutto, sicuramente, di quanto voglia far credere la capogruppo del Pd Anna Finocchiaro, che ieri ha fatto la scena madre davanti ai giornalisti, sbattendo il testo del provvedimento su una porta e sostenendo che «processi come Eternit, Thyssen, Cirio e Parmalat andranno al macero». Vivaiddio, non è così. Intanto la norma si applica solo nei casi in cui la pena prevista «è inferiore nel massimo ai dieci anni di reclusione», e già questo fa salvi i processi per i crac Cirio e Parmalat. La legge non intacca poi i processi ai recidivi né quelli per un lungo elenco di reati che possono prevedere una pena inferiore ai dieci anni, come la circonvenzione di incapaci, la pornografia minorile e il traffico di rifiuti. Niente accadrà nemmeno al caso Thyssen e a tutti gli altri processi simili, poiché le violazioni delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro sono escluse dall’applicazione della norma.

Se poi, durante l’esame del testo in Parlamento, dovessero emergere ambiguità, la maggioranza può sempre migliorarlo, facendo chiarezza sulle zone grige. Cosa che infatti non esclude Gaetano Quagliariello, secondo firmatario del disegno di legge. Il vice-capogruppo del PdL assicura a Libero che quella presentata ieri «non è una legge speciale, ma una legge parlamentare come tutte le altre, e come tale avrà il suo iter». Anche se, avverte, non saranno ammessi stravolgimenti: «È una legge sulla quale si è riflettuto, e se si riflette molto nella fase iniziale gli spazi di riflessione successiva si riducono».

Soprattutto, oltre a non essere così brutta, la legge presentata ieri è ritenuta necessaria da chi, pur non reputando Berlusconi un santo, crede che sia stato oggetto di un particolare accanimento da parte delle procure. Specie da quando ha deciso di entrare in politica. E tra chi la pensa così c’è lo stesso Fini, che pure avrebbe più di un motivo per provare a dare la spallata finale al Cavaliere.

Proprio perché la situazione è così delicata, la legge rappresenta un piccolo miracolo di equilibrismo. Come ha detto il finiano Italo Bocchino, vicecapogruppo del PdL alla Camera, quello presentato ieri «è il testo rispetto al quale c’è stata una convergenza tra Berlusconi e Fini nel colloquio dell’altro giorno». E l’ex leader di An aveva garantito che, se il testo non fosse cambiato, l’accordo avrebbe retto. Certo, dentro quelle otto pagine il presidente della Camera e i suoi hanno trovato una sorpresa che non hanno gradito: in ossequio alla Lega, tra i reati che non potranno approfittare del processo breve ci sono quelli per immigrazione clandestina. Norma che i finiani definiscono «ridicola» e che non escludono di cancellare in Parlamento. Ma che ritengono, tutto sommato, «una sbavatura che non produrrà conseguenze politiche sull’intero disegno disegno di legge». Insomma, non sarà quello il problema.

Il problema rischia invece di essere Cosentino. Che in questa fase tra lui e Berlusconi ci sia un gioco delle parti è cosa chiara a tutti, Fini per primo. Il premier non ha dato a Cosentino alcuna investitura ufficiale, ma lo stesso si può dire, al momento, di tutti i candidati del centrodestra alle regionali. Può staccargli la spina quando vuole, ma intanto non lo fa e non è detto che lo faccia. Anche da questo si capisce che Berlusconi è stanco di farsi imporre le scelte dagli alleati, dalla magistratura e dal Quirinale. La necessità di ottenere una legge che lo metta al riparo dai processi, per ora, lo costringe a tenere a freno i suoi istinti. Ma la voglia di far saltare il tavolo e tornare al voto è sempre più forte.

© Libero. Pubblicato il 13 novembre 2009.

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