Le ragioni dei poliziotti, i torti della sinistra

di Fausto Carioti

Come nei vecchi film di Fantozzi, alla fine la polizia si è incazzata davvero. Solo che stavolta non c’è niente da ridere. Le richieste degli addetti alla sicurezza sono sacrosante e il governo dovrà tenerne conto, anche perché i risultati ottenuti nella lotta alla criminalità si debbono soprattutto al lavoro di poliziotti e carabinieri sottopagati. Chi invece avrebbe buoni motivi per tacere sono i vertici del Pd. Pier Luigi Bersani può permettersi di esprimere «solidarietà» ai poliziotti incavolati per la «situazione pessima» nella quale si trovano solo perché nessuno gli ricorda in pubblico quello che lui sa già benissimo: e cioè che questa «situazione pessima» porta innanzitutto la firma del governo Prodi, nel quale lui era ministro per lo Sviluppo economico. È a quell’esecutivo, infatti, che si deve il contratto in vigore, scaduto nel 2007 e lasciato marcire prima dallo stesso Prodi (malgrado le promesse), quindi dall’esecutivo Berlusconi. Contratto che prevedeva un aumento effettivo di appena 5 euro al mese. Quelli economici, peraltro, non sono gli unici schiaffi che la polizia ha ricevuto dal centrosinistra.

L’opposizione che ora cavalca giuliva la manifestazione dei poliziotti dello scorso 28 ottobre era al governo durante le altre tre grandi manifestazioni nazionali degli agenti. La prima avvenne nel 1999, portò in piazza diecimila agenti e fu indetta dai sindacati di polizia assieme ai Cocer di carabinieri e finanza, per protestare contro l’esecutivo di Massimo D’Alema, che aveva messo sul piatto un aumento per il rinnovo del contratto pari a 18mila lire. La seconda volta fu nel dicembre del 2006: stavolta il mal di pancia era dovuto ai 5 euro di aumento stanziati da Prodi. Per strada scesero in trentamila, e oltre alle rivendicazioni economiche gridavano slogan come «Via i terroristi dal Viminale» e «Terroristi deputati, poliziotti disgustati» (il perché lo vedremo tra poco). Prodi e i suoi ministri se ne fregarono e imposero lo stesso quello che ancora ieri un dirigente di polizia ha definito «il contratto più umiliante della nostra storia».

Il governo dell’Unione, però, in quell’occasione aveva fatto una promessa: la Finanziaria 2008 avrebbe garantito i soldi per un congruo rinnovo del contratto successivo, quello del biennio 2008-2009, tenendo conto anche della specificità del lavoro dei poliziotti. Che vuol dire riconoscere compensi adeguati per i servizi notturni, quelli esterni, i festivi lavorati e le operazioni di ordine pubblico. Per capirsi: se un agente lavora sotto copertura, è alle prese con un inseguimento o deve aspettare che gli ultrà della curva si calmino prima di farli uscire dallo stadio, non può staccare il lavoro come qualunque impiegato. È costretto a tirare avanti, magari per giorni interi. Solo che tutto questo lavoro “extra”, di fatto, negli ultimi anni non è stato mai pagato, perché sono mancati i soldi.

Appena la Finanziaria 2008 arrivò in Parlamento, gli agenti poterono rendersi conto conto di quanto valessero le promesse del governo Prodi: non un euro per il rinnovo del contratto, non un euro per la specificità del loro lavoro, non un euro per il riordino delle carriere, anch’esso atteso da anni. Così, nel dicembre del 2007, i poliziotti scesero di nuovo in piazza. Inascoltati come prima, più arrabbiati e più numerosi di prima: stavolta erano in centomila. Anche perché, a conti fatti, Prodi aveva tagliato il bilancio annuale delle forze di polizia per 1,6 miliardi. E i suoi non erano tempi di vacche magre, come quelli attuali, ma tempi di “tesoretti”, di miliardi di extra-gettito da spendere. Non per i poliziotti, però. Così si è giunti al punto che, quando i buoni-benzina scarseggiano - è successo a Roma - gli agenti delle volanti sono costretti ad anticipare di tasca loro i soldi per il pieno.

A rendere ancora più mortificante il trattamento ricevuto dal centrosinistra c’era la presenza al ministero dell’Interno, in qualità di assistente particolare del sottosegretario rifondarolo Francesco Bonato, dell’ex terrorista rosso Roberto Del Bello, finito in carcere nel 1981 e condannato per banda armata - con sentenza definitiva - a quattro anni e sette mesi. Assieme alla elezione alla Camera di Sergio D’Elia, ex dirigente di Prima Linea, che aveva scontato dodici anni di carcere perché condannato, in base alle leggi anti-terrorismo dell’epoca, per concorso nell’omicidio di un giovane poliziotto, avvenuto nel 1978. Tutte cose che non fanno piacere a chi rischia la vita per strada in cambio di 1.300 euro al mese. Tutte cose che i poliziotti non hanno dimenticato.

© Libero. Pubblicato il 6 novembre 2009.

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