Le ragioni della tregua armata tra Berlusconi e Fini

di Fausto Carioti

Certo, non è finita proprio come voleva Silvio Berlusconi, ma al Cavaliere poteva andare peggio. Anche se i due si detestano, l’accordo politico con Gianfranco Fini per evitare al premier di subire una condanna di primo grado nel giro di pochi mesi è stato trovato. L’intesa è già definita, almeno quanto basta per presentare in tempi rapidissimi il disegno di legge che il Parlamento dovrà poi approvare a tappe forzate. Non è un caso, comunque, che il cammino del provvedimento inizi al Senato, cioè nella Camera in cui Berlusconi ripone più fiducia, che poi è anche quella non presieduta da Fini. E non è un caso nemmeno che, prima di decidere con l’ex leader di An (e con Umberto Bossi) le candidature per le regionali, il leader del PdL voglia assicurarsi di portare a casa il provvedimento che lo toglie dalle grinfie dei magistrati. Insomma, il rapporto umano tra i due è rovinato e difficilmente potrà essere ricomposto, ma la reciproca convenienza costringe Silvio e Gianfranco ad andare ancora a braccetto. Anche perché il provvedimento sulla giustizia che hanno concordato ieri sarà chiamato a superare diversi scogli, primi tra tutti la guerra aperta dei magistrati e le perplessità del Quirinale. E allora il logoratissimo asse Berlusconi-Fini dovrà reggere ancora una volta. Forse l’ultima.

In estrema sintesi, la legge in cantiere prevede per il processo penale una durata massima di sei anni: due per ogni grado di giudizio. Passati due anni senza che sia arrivata la sentenza, il processo si estinguerà e l’imputato non potrà più essere processato per quel reato. Anche se non si tratta della riduzione secca dei tempi di prescrizione, alla quale Fini si è opposto, gli effetti pratici non dovrebbero poi così diversi, almeno nel caso del processo Mills. Per evitare un’amnistia mascherata, il campo d’applicazione della legge è stato ristretto il più possibile: a beneficiarne saranno solo gli incensurati sotto processo per reati non gravi (niente mafia, terrorismo e rapine insomma, e si spera che anche gli accusati di stupro non possano approfittarne). La norma varrà pure per i processi pendenti, purché siano nella fase di primo grado. Inutile dire che le vicende del premier ricadono tra quelle oggetto della legge. Per rendere il tutto più presentabile, è previsto lo stanziamento di nuovi fondi per la giustizia: a Berlusconi il compito di convincere Giulio Tremonti a mettere mano al portafogli.

A conferma del fatto che dietro c’è l’impegno ufficiale di tutto il partito, il disegno di legge sarà firmato dai capigruppo del PdL o addirittura da tutti i senatori azzurri. L’idea è quella di approvare il testo entro Natale a Palazzo Madama, per poi vararlo a Montecitorio entro i primi di febbraio. Se al Senato l’atmosfera è tranquilla, lo stesso non si può dire della Camera, dove si dà per scontato che Fini, regolamento alla mano, darà il via libera per sottoporre il testo a voto segreto. E qui si capirà quanto forti sono ancora i mal di pancia dei finiani nei confronti di una legge che, fosse stato per loro, non sarebbe mai stata presentata.

L’arma con cui Berlusconi conta di convincere alleati interni ed esterni al PdL sono le candidature alle regionali. Destinate a restare nel limbo sin quando il Cavaliere non avrà certezza del buon esito del provvedimento sulla giustizia. Due personaggi molto cari a Fini, Renata Polverini e Pasquale Viespoli, sono in corsa per candidarsi, rispettivamente nel Lazio e in Campania, dove le chances di vittoria appaiono alte. Uno dei due dovrebbe essere il candidato del PdL, ma occorrerà il via libera di Berlusconi. Che certo non sarà regalato. Anche la Lega non fa salti di gioia davanti alla legge voluta dal premier, ma le trattative per le candidature al Nord sono talmente promettenti che non vale la pena di mettersi di traverso. Il Carroccio ha chances di portare a casa l’accoppiata Veneto-Piemonte o, in alternativa, la candidatura per la Lombardia: ipotesi che potrebbe avverarsi se Massimo D’Alema, candidato ufficiale del governo italiano, non riuscisse a diventare commissario europeo. In questo caso l’incarico a Bruxelles potrebbe andare a Franco Frattini, che lascerebbe la poltrona di ministro degli Esteri. Per la quale uno dei candidati naturali è Roberto Formigoni, attuale governatore lombardo. Insomma, quando si ha a portata di mano un buon risultato alle regionali il modo di mettersi d’accordo si trova. Berlusconi lo ha fatto capire anche all’Udc. Anzi, a Pier Ferdinando Casini ha offerto più di un ministero in cambio del suo rientro nella maggioranza. Casini nicchia, preferisce la politica dei due forni, ma intanto fa sapere che è disposto a trattare sulla legge che accorcia la durata dei processi.

Dal Pd di Pier Luigi Bersani non ci si attende nulla, essendo sottoposto alla concorrenza elettorale dei giustizialisti dell’Idv. E nulla ci si attende anche dall’incontro che la consulta del PdL avrà oggi con i vertici dell’Anm. Sia il sindacato unico delle toghe sia il loro organo di autogoverno, il Csm, sono sulle barricate, e la legge in arrivo non rasserenerà gli animi. Resta il Quirinale. Gli uomini del Cavaliere ostentano sicurezza. Sono convinti che Giorgio Napolitano, davanti al testo concordato da Berlusconi e Fini, non potrà mettersi di traverso, e fanno capire che il dialogo con il Colle sul nuovo provvedimento è già iniziato. Il presidente della Repubblica, però, prima di sbilanciarsi vuole studiare bene la legge in tutti i suoi aspetti. Non sono escluse sorprese.

© Libero. Pubblicato l'11 novembre 2009.

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