Il caso Cucchi e l'inspiegabile sortita di La Russa

di Fausto Carioti

Adesso evitiamo che la richiesta di sapere tutta la verità sulla fine di Stefano Cucchi divenga una battaglia “di sinistra”. Con l'opposizione impegnata a confondere la ricerca dei colpevoli con la smania di gettare palate di fango su carabinieri e polizia penitenziaria. E con la maggioranza che, al di là delle frasi di circostanza, tifa in silenzio affinché l'inchiesta finisca in un nulla di fatto, per proteggere il “buon nome” delle istituzioni. Da una parte e dall'altra, gli esempi di simili comportamenti abbondano. E invece serve la verità, senza strumentalizzazioni politiche né complicità omertose. In tempi rapidi, se possibile. Lo chiede innanzitutto il corpo martoriato di quel ragazzo romano di 31 anni, sofferente di epilessia, arrestato la notte tra il 15 e il 16 ottobre per avere in tasca pochi grammi di “fumo” e finito sul tavolo dell'obitorio il 22 ottobre. Ma lo chiede anche il rispetto delle forze dell'ordine, che non meritano di essere screditate per l'imbecillità di pochi.

Il certificato medico che parla di «presunta morte naturale» trasuda sinistra ironia. La sequenza dei fatti e le testimonianze, intanto, gettano molti dubbi sulla “naturalità” del decesso. Appena i carabinieri arrestano Cucchi, come da prassi lo sottopongono a perquisizione domiciliare. Controllano, cioè, che a casa non tenga nascosta altra hashish. In questa occasione i familiari lo vedono per l'ultima volta: sta bene, sul volto non ha segni di percosse e non sembra essere stato picchiato. Quindi gli uomini dell'Arma lo portano in una cella di sicurezza della stazione Appio Claudio. Sono stanzette prive di oggetti con cui ci si possa fare del male, nelle quali è previsto che l'arrestato stia da solo. Il mattino dopo - siamo al 16 ottobre - Cucchi è processato per direttissima. Ha il volto gonfio come se fosse stato picchiato. Il medico dell'ambulatorio del tribunale riscontra sul suo corpo «lesioni ecchimotiche in regione palpebrale». Il ragazzo gli parla anche di lesioni alle gambe e sul resto del corpo, ma rifiuta di farle vedere. Non dice di aver ricevuto violenze.

Dopo il processo, Cucchi è condotto a Regina Coeli. Il medico del carcere trova sul suo corpo numerose tumefazioni, che Cucchi spiega con una caduta accidentale. Il medico lo invia subito all'ospedale più vicino, il Fatebenefratelli. Qui gli sono riscontrate due fratture, ma il giovane rifiuta di farsi ricoverare. Torna a Regina Coeli. Ma il giorno dopo, il 17 ottobre, a causa dell'aggravarsi delle sue condizioni, viene rimandato nello stesso ospedale. Stavolta Stefano chiede di essere ricoverato. In serata è trasferito all'ospedale Sandro Pertini, dove morirà la mattina del 22 ottobre.

Dunque, se le cose sono andate come sostengono i familiari e i medici, qualcosa è accaduta al ragazzo nella notte stessa del suo arresto, quando era sotto la consegna dei carabinieri. E anche se così non fosse, di sicuro è una pista che al momento non si può escludere in alcun modo. Per questo il ministro Ignazio La Russa, che ieri ha detto «di una cosa sono certo: del comportamento assolutamente corretto da parte dei carabinieri in questa occasione», farebbe bene a evitare simili professioni di fede e ad aspettare gli sviluppi delle indagini. Il rischio, per chi offre la propria copertura politica con tanto entusiasmo, è di vedersi smentito dai fatti. Oppure di dare l'impressione di volere evitare scandali. E invece questo è uno di quei casi in cui, come si legge nei Vangeli, «è necessario che gli scandali avvengano». L'alternativa, l'insabbiamento della verità, ammesso che sia ancora praticabile, sarebbe mille volte più scandalosa.

© Libero. Pubblicato il 31 ottobre 2009.

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