Sicurezza aerea, deregulation e prezzo del petrolio

di Fausto Carioti

La deregulation aerea è una cosa bellissima. Da quando, alla fine degli anni Settanta, l’amministrazione americana avviò la liberalizzazione dei cieli, qualche miliardo di cittadini del mondo libero ha potuto vedere posti dove altrimenti non sarebbe mai stato, spendendo una frazione minima del proprio stipendio. La deregolamentazione è stata un potente fattore di democrazia, perché ha tolto alle classi più ricche il monopolio dei grandi viaggi. Il mercato, insomma, il suo compito l’ha svolto. Eppure le 153 vittime dell’incidente dell’aereo Spanair sono la drammatica conferma che l’aviazione commerciale ha problemi serissimi ed irrisolti. Ma scaricare l’intera colpa sulla concorrenza tra vettori privati, come fanno i nostalgici dello statalismo e dei bei tempi in cui solo pochi privilegiati potevano permettersi di salire su un velivolo, significa rifiutarsi di capire il problema e usare i morti di Madrid per fini di bassa ideologia.

In attesa di leggere i dati contenuti nelle scatole nere del velivolo distrutto, e quindi - si spera - di capire come sia avvenuto l’incidente, c’è già una certezza: le cause del disastro sono più di una. L’incendio di uno dei motori dell’MD-82, infatti, non basta a spiegare quanto avvenuto, poiché gli apparecchi sono certificati per volare anche con un solo motore e i piloti sono addestrati ad affrontare una simile emergenza - che può essere innescata anche da fattori accidentali, come il “risucchio” di uno stormo di uccelli nella turbina. Dietro alla strage di mercoledì, dunque, con ogni probabilità c’è una catena di errori, sia tecnici sia umani. Un’altra certezza è che in materia di sicurezza la Spanair, che gravita nell’orbita del colosso Lufthansa, non ha affatto una brutta fama. Il suo nome, anzi, appare nelle zone alte del ranking dei vettori più affidabili. A luglio ed agosto, raccontano ad esempio all’Enac, apparecchi della Spanair atterrati nel nostro Paese sono stati visionati a sorpresa dagli ispettori italiani, i quali non hanno trovato nulla da ridire sulla qualità della manutenzione.

I controlli, infatti, sulla carta sono ottimi e abbondanti. Nel mondo civile, una compagnia può operare solo se ottiene la licenza dell’ente di controllo del suo Paese (in Italia questo compito lo svolge l’Enac), che ne valuta sia la capacità tecnica sia la stabilità economica. Oltre alle valutazioni periodiche sugli apparecchi e sui piloti, ispezioni impreviste possono capitare in qualunque momento. I protocolli con cui gli enti di controllo valutano la sicurezza degli aerei sono fissati a livello continentale, e l’Europa, assieme a Stati Uniti e Australia, vanta la minore percentuale di incidenti. Molti piloti sostengono che negli ultimi anni il numero degli ispettori e dei controlli, in Italia e altrove, non è cresciuto di pari passo con l’aumento del traffico aereo, ma dall’Enac smentiscono e assicurano di tenere d’occhio tutti, soprattutto le compagnie ritenute meno “virtuose” in termini di sicurezza. Resta il fatto che, nonostante tutto questo dispiegamento di regole, di uomini e di mezzi, si può salire in centocinquanta su un aereo diretto alle Canarie e uscirne fuori carbonizzati.

Tra le spiegazioni che circolano in queste ore tra gli addetti ai lavori, una in particolare merita attenzione. In sostanza, per quanto rigorose siano le norme europee e per quanto severa la loro applicazione, esse non sono ritenute sufficienti dalle compagnie più affidabili. Le quali, di norma, si preoccupano di andare oltre quanto previsto dalla legge. Ma questo è un lusso che possono permettersi senza problemi quando il petrolio, principale fonte di costo dei vettori aerei, viaggia sui 50 dollari al barile. L’impegno diventa più difficile da mantenere con il petrolio vicino alla soglia dei 100 dollari e si fa insostenibile quando il greggio, come in questi mesi, si stabilizza attorno ai 120 dollari. Alle quotazioni attuali, molte compagnie riescono a malapena a svolgere la manutenzione prevista dalla legge. Questo, unito ad altri fattori, potrebbe spiegare come siano a rischio anche i passeggeri di una compagnia “seria” quale la Spanair.

Se le cose stanno davvero così, l’unica soluzione consiste nell’alzare - e di parecchio - l’assicella degli standard minimi di sicurezza, rendendo obbligatorie, qualunque sia il prezzo del petrolio, quelle precauzioni che i migliori vettori adottano in modo spontaneo quando la quotazione del barile lo consente, e non possono permettersi in periodi come questo. In altre parole, bisogna riflettere se non sia il caso di spendere venti, quando sino ad oggi si è speso dieci, in manutenzione del materiale e ispezioni da parte degli enti di controllo. Va da sé che questi nuovi obblighi sarebbero la fine delle tariffe alla portata di (quasi) tutti, almeno fin quando la quotazione del greggio non dovesse scendere.

Del resto, con il costo del combustibile ai livelli attuali, è da sciocchi pretendere di poter continuare a volare come prima. In un modo o nell’altro, il prezzo da pagare agli sceicchi c’è sempre. Bisogna capire se è preferibile pagarlo volando un po’ meno, e a prezzi un po’ più cari, oppure sapendo che il rischio di uscire dal velivolo in posizione orizzontale è più alto di prima. Guardando i sacchi neri che avvolgono i corpi dei 153 passeggeri del volo Spanair, grossi dubbi su quale sia la risposta più sensata non ce ne sono.

© Libero. Pubblicato il 22 agosto 2008.

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