I tagli di Tremonti fanno tremare governo e maggioranza

di Fausto Carioti

Si lamenta un ministro: «Il problema di Tremonti è che non parla. Invece deve parlare. Con gli altri ministri, con la maggioranza, con le parti sociali, con regioni, province e comuni». Va assai peggio tra i deputati del Pdl: «C'è una fortissima irritazione nei confronti del ministro dell'Economia. Poco ci manca che qualcuno metta la fotografia di Tremonti sul bersaglio del tiro a segno», commenta uno di loro, per giunta di Forza Italia. Riassumendo: gran parte dei parlamentari della maggioranza ce l'ha con il governo, perché li vuole trasformare in “pigiatori di bottoni”, incaricati di schiacciare il pulsante verde quando si vota un provvedimento dell'esecutivo e quello rosso quando all'esame c'è un emendamento dell'opposizione. E il governo, di questi tempi, ha la faccia di Tremonti. Ma pure dentro l'esecutivo il colbertista di Sondrio è guardato di sbieco: troppo allergico a quella «collegialità» che i ministri Sandro Bondi e Renato Brunetta, durante il consiglio dei ministri di venerdì, hanno invocato apertamente, e che il premier ha promesso.

Giulio Tremonti uomo solo, insomma. In questo momento accanto a lui c'è Berlusconi, che da un lato si tiene stretto il suo pezzo da novanta - ancora ieri ha avallato la linea di Tremonti, ricordando agli altri ministri che «vanno diminuite le spese» - e dall'altro deve comunque tranquillizzare i suoi parlamentari e il resto del governo. E c'è il solito Umberto Bossi, con la pattuglia dei ministri leghisti. Appoggi convinti e robusti, per carità. Ma, oltre a costoro, poco o niente. Gli ultimi dissapori sono stati con Claudio Scajola e Gianni Letta. Scajola, ministro dello Sviluppo economico, martedì è sbottato davanti ai rappresentanti di Confindustria e sindacati: «Ma che ci siamo venuti a fare?», si è chiesto quando ha capito che Tremonti intendeva fare tutto da solo. E ovviamente Letta, l'uomo delle mediazioni impossibili, mal digerisce un ministro che di perdere tempo in mediazioni non sembra avere voglia.

La cosa probabilmente non preoccupa Tremonti. Ha iniziato a passare sopra gli altri come un Caterpillar mesi prima delle elezioni. Ne sa qualcosa Michela Vittoria Brambilla. Il 12 settembre dello scorso anno il Sole-24 Ore pubblicò “l'alfabeto economico” della presidentessa dei Circoli della Libertà. Un decalogo sulle cose che il governo di centrodestra (ancora di là da venire) avrebbe dovuto fare. Al quarto punto si leggeva: «Male ha fatto il vicepresidente di Forza Italia, Giulio Tremonti, ad abolire la Dual Income Tax». Ora, già il nostro non sopporta chi si mette a zappare nel suo orto. Figuriamoci se si tratta dell'ultima arrivata tra gli aspiranti ministro. Il risultato è stato che una settimana dopo Berlusconi accusava la Brambilla di avere «esondato». A maggio, il resto della razione: la rossa deve accontentarsi di fare il viceministro, dopo che Tremonti ha messo il veto su un incarico più pesante.

Eppure, anche quelli che finiscono ai ferri corti con lui ammettono che il ministro dell'Economia sta lavorando bene. Brunetta, responsabile della Pubblica Amministrazione, conversando con altri esponenti del governo ha definito «una genialata» l'idea tremontiana di varare una manovra triennale e di anticipare la Finanziaria. Nella manovra appena approvata, a conti fatti, proprio Brunetta è stato il più grande alleato di Tremonti, se è vero che quattro quinti dei tagli vengono dal settore pubblico, e Brunetta li ha condivisi tutti. Certo, le divergenze ci sono, soprattutto sulla diagnosi da «lacrime e sangue» che Tremonti fa della situazione economica, che secondo Brunetta e altri - incluso Berlusconi - pecca di eccessivo pessimismo. Sui massimi sistemi, poi, le opinioni sono quasi agli antipodi: «Condivido con Tremonti le necessità di governance della globalizzazione, ma io amo la globalizzazione, non voglio né dazi né dogane né protezionismi», spiega Brunetta a Libero. Questo, comunque, non gli impedisce di dare giudizi positivi sul collega.

Pure Maurizio Gasparri di recente ha polemizzato con Tremonti. Quando si è saputo che il ministro era già pronto a presentare, a sorpresa, la Finanziaria in consiglio dei ministri, Gasparri è insorto e ha chiesto «un confronto preventivo tra governo e gruppi parlamentari». Utile ad An, tra l'altro, per rifinanziare il comparto della sicurezza. Però poi Gasparri, da buon capogruppo del Pdl, ha difeso a spada tratta la manovra di Tremonti in Senato. «Ci siamo chiariti e lui ha avuto un gesto ostentato di apprezzamento nei miei confronti», racconta il colonnello di An. «Sappiamo tutti che gestisce una situazione difficile e rispettiamo il suo lavoro. Nessuno di noi vuole aumentare la pressione fiscale, e quindi sappiamo anche che dobbiamo tagliare le spese». A conferma che Giulio “Mani di forbice” non è poi così cattivo, alla fine è spuntato qualche soldo per le forze dell'ordine. «Tremonti, assieme a Maroni, Alfano e La Russa, ha fatto un provvedimento che mette i beni confiscati alla criminalità a disposizione delle esigenze della sicurezza e della giustizia. Sarà creato un fondo il cui valore teorico è stimato all'incirca un miliardo di euro. Ma, anche se valesse meno, potremmo farci moltissime cose utili». Ovvio che non finisce qui: «Certo», chiosa Gasparri, «a Tremonti chiediamo di avere un rapporto costante».

Il presidente della commissione Lavoro di Montecitorio, Stefano Saglia, che pur essendo di An spesso si trova sulle posizioni del ministro, la mette giù così: «Tremonti è insopportabile, ma quasi sempre ha ragione. Io preferisco il Tremonti che ho visto all'opera all'Aspen Institute, che cerca il consenso anche al di fuori dai confini della coalizione. Ma sono convinto che questo sia lo spirito con cui sta lavorando anche adesso. Sbaglia chi crede che stia cercando il conflitto sociale a tutti i costi».

Però il problema di regolamentare la convivenza tra il governo - Tremonti in primis - e l'esercito dei parlamentari che lo sostiene resta ed è grosso, e per Gaetano Quagliariello, vicecapogruppo del Pdl, va risolto presto. «Nelle passate legislature », spiega il senatore forzista, «c'erano il governo da una parte e la dialettica parlamentare dall'altra. Ora, invece, da una parte c'è il governo assieme alla sua maggioranza, dall'altra c'è l'opposizione, perché così hanno voluto gli elettori. È normale che in una simile situazione sia il governo a dettare i tempi dell'attività legislativa. Ma non si può pensare che l'esecutivo decida tutto e i parlamentari obbediscano, perché se si fa così non si dura». Una soluzione è possibile: «In ogni sistema del genere ci sono stanze di compensazione in cui il governo e la maggioranza si confrontano e, se serve, trattano. È un problema che dobbiamo porci. Noi che stiamo da questa parte ci rendiamo conto di quanto sia difficile mantenere la disciplina parlamentare. Ora devono rendersene conto anche i ministri, prima che accadano guai grossi».

© Libero. Pubblicato il 3 agosto 2008.

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