Prodi-Cavazza e Berlusconi-Saccà: trova le differenze

di Fausto Carioti

Romano Prodi chiede a voce alta che le intercettazioni delle sue telefonate siano pubblicate. Minimizzare, fare come se non ci fosse nulla da nascondere (tanto ormai è uscito tutto). Fecero così anche due anni fa, quando Angelo Rovati, braccio destro di Prodi, fu beccato mentre spediva da palazzo Chigi uno studio nel quale “suggeriva” a Telecom di scorporare la rete telefonica e farla passare sotto il controllo dello Stato. Quisquilie, pinzillacchere, dissero il premier e i suoi. Andò a finire che il povero Rovati si dovette dimettere, ovviamente dopo essersi assunto tutte le responsabilità. Adesso sono usciti i contenuti di certe telefonate del Professore e dei suoi collaboratori, registrate al tempo in cui il nostro era presidente del Consiglio. Leggendoli con un minimo di attenzione, si scopre che se le telefonate tra Silvio Berlusconi e Agostino Saccà erano materiale incandescente, quelle tra Prodi e i suoi referenti non sono da meno.

È il giugno del 2007. C’è un signore che si chiama Alessandro Ovi, che ha già lavorato con Prodi all’Iri e che all’epoca dei fatti è consigliere fiduciario del premier. Tramite lui, Prodi tesse accordi con Claudio Cavazza, presidente della Sigma-Tau, grande azienda farmaceutica. Prodi gli chiede di dare una mano a suo nipote Luca, affiancandolo in una vicenda industriale che fino a quel momento il rampollo non sembra aver gestito nel modo migliore. Intervistato da Panorama.it, ieri Cavazza ha confermato tutto: «È vero, Prodi mi disse: “C’è questa società di mio nipote che ha bi sogno di un nuovo socio industria le…”. Cosa vuole, conosco Romano Prodi da quarant’anni».

Così Cavazza manda due scienziati a vedere i brevetti della Cyanagen, l’azienda nella quale Luca Prodi ha una partecipazione del 20%. Allo stesso tempo, però, batte cassa. Chiede a Ovi di inserire la Fondazione Sigma-Tau tra quelle in cui si può investire senza pagare le tasse. Un riconoscimento abbastanza normale per le fondazioni che si occupano di ricerca a certi livelli, ma l’ente morale di Cavazza non fa parte della lista. Ovi mette la pratica in mano all’allora sottosegretario all’Economia, Massimo Tononi (ex partner di Goldman Sachs, banca d’affari per cui ha lavorato Prodi). Tononi prende a cuore la cosa, e si rammarica perché il presidente della Sigma-Tau si è mosso tardi. «Se venivano un mese fa si telefonava a Visco, si diceva “guardate mi raccomando metteteli dentro, sono persone brave”», dice il sottosegretario intercettato.

Attenzione, è un punto importante. Tononi se la vende come una cosa semplice: si telefona al viceministro dell’Economia e lui sistema tutto. C’è da sperare che Visco si sia incavolato molto, leggendo quella frase. Perché la stesura dell’elenco delle fondazioni ammesse alla defiscalizzazione non è un atto politico, ma un atto amministrativo. In altre parole, non spetta né a un ministro né al suo vice, ma alla struttura tecnica del ministero, che valuta con criteri oggettivi se l’ente ha i requisiti e, in caso affermativo, concede i benefici previsti dalla legge. Allora, delle due l’una: o Tononi, parlando al telefono con il suo amico Ovi, ha millantato una cosa che Visco non poteva fare. Oppure quando Prodi era al governo qualcosa non funzionava come doveva.

Notare che Ovi, temendo di perdere l’appoggio di Cavazza, gli spiega che la lista delle fondazioni gratificate dalla legge è stata appena pubblicata sulla Gazzetta ufficiale. Si può cambiare («bisogna parlare con Visco, Romano non ha problemi», assicura Ovi), ma farlo per una sola fondazione sarebbe imbarazzante. L’ostacolo, però, si può aggirare: anziché una sola fondazione, spiega Ovi, se ne aggiunge «un elenco di due, tre, quattro…».

Anche prendendo per buono quanto detto ieri da Cavazza, e cioè che Ovi «millantava» quando diceva agli altri del clan prodiano che da lui il Pd avrebbe avuto 280mila euro con cui finanziare un sondaggio, il quadro resta inquietante. Basta ricordare le telefonate intercorse tra Berlusconi e Saccà, e le conseguenze giudiziarie e mediatiche che hanno avuto. Lì Berlusconi, all’epoca privo di incarichi di governo, lasciava intendere al direttore di Rai Fiction che, se avesse fatto lavorare alcune attrici, lo avrebbe ricompensato nella sua futura attività di imprenditore. La procura di Napoli, per questo, ha chiesto il rinvio a giudizio di Berlusconi, accusandolo di corruzione. Qui, invece, c’è un presidente del consiglio in carica che chiede a un imprenditore amico di intervenire per aiutare suo nipote. Nel frattempo, i suoi più stretti collaboratori si mettono a disposizione dello stesso industriale per fargli avere, tramite scorciatoie politiche, cospicui vantaggi fiscali (meritati o meno non ha alcuna importanza).

Promesse di soldi e favori da una parte come dall’altra. Ma le procure sono intervenute solo nei confronti di Berlusconi. Dire, come fanno adesso dalla sponda prodiana, che alla fine Cavazza dal governo Prodi non ha ottenuto nulla (per avere la defiscalizzazione la sua fondazione ha dovuto presentare ricorso al Tar) e che l’aiuto a Luca Prodi non si è concretizzato, non sembra una gran giustificazione. Anche Saccà e le attrici “segnalate” da Berlusconi non hanno ricavato niente dalla vicenda che li ha visti coinvolti. Stai a vedere che la differenza, alla fine, la fanno i magistrati.

© Libero. Pubblicato il 30 agosto 2008.

Post popolari in questo blog

L'articolo del compagno Giorgio Napolitano contro Aleksandr Solzhenitsyn

La bottiglia ricavata dal mais, ovvero quello che avremmo potuto essere