Fitna, Allam e Hirsi Ali: l'Europa alla rovescia

di Fausto Carioti

Diceva Arnold Toynbee, grande storico inglese vissuto nel secolo scorso, che «le civiltà non muoiono per omicidio, ma per suicidio». Ci siamo, è tutto pronto. L’Europa ha scelto la sua linea ufficiale: difendere il carnefice e infierire sulla vittima. Più scemi di così si muore, e infatti è proprio quello che sta accadendo al vecchio continente.

Il Parlamento di Strasburgo ha appena confermato di essere il primo degli enti inutili. Abituati come sono a legiferare sulla curvatura delle banane e le dimensioni dei profilattici autorizzati a entrare nelle case dei contribuenti che li mantengono, gli eurodeputati non hanno ritenuto causa degna della loro attenzione la difesa della vita di Ayaan Hirsi Ali. Trentotto anni, di origini somale, Hirsi Ali è in cima alla lista dei nemici dell’islam radicale. Era giunta in Olanda nel 1992 per fuggire da un matrimonio combinato. Nel 2003 fu eletta in Parlamento e l’anno seguente, assieme a Theo van Gogh, realizzò “Submission”, film che raccoglieva le storie di quattro donne sottomesse agli uomini in nome del Corano. Nel novembre del 2004 l’islamico che squarciò la gola a van Gogh affisse col coltello, sul corpo del regista, una condanna a morte per Hirsi Ali. Da allora lei vive in fuga. Un socialista francese, Benoit Hamon, a dicembre aveva lanciato un appello affinché l’Unione europea finanziasse la sua protezione. Sarebbero servite 350 firme, ma hanno aderito solo 144 europarlamentari su 785. Hirsi Ali resterà a Washington, dove ancora c’è chi sa apprezzare la libertà e i suoi difensori.

Qualcosa di molto simile sta avvenendo in Italia dopo la conversione di Magdi Allam. Dalla notte di sabato Allam è un apostata, e come tale condannabile a morte da qualunque fanatico. Integralisti islamici di mezzo mondo hanno minacciato lui e Benedetto XVI, colpevole di averlo battezzato. Uno che rischia la vita per aver cambiato religione meriterebbe uno straccio di solidarietà. Invece arrivano soprattutto gli insulti. Tipo quelli che Afef Jnifen gli ha lanciato ieri dalle colonne della Stampa. La secolarizzatissima Afef è molto di più della moglie di Marco Tronchetti Provera: il suo ruolo e i suoi contatti ne fanno una sorta di ambasciatrice in Italia del cosiddetto islam moderato, e lei stessa si comporta come se lo fosse. Sul caso Allam ci si sarebbe aspettato da lei quantomeno un rispettoso silenzio. Invece è arrivata la condanna.

Esauriti i convenevoli («Sono profondamente convinta che debba essere ad ogni costo difesa la libertà di professare la propria religione»: e grazie), Afef passa all’attacco. Apprendiamo così che Allam «è diabolico», poiché denunciando il fondamentalismo «vuole soltanto alimentare i conflitti, infiammare lo scontro di civiltà». È più cattivo del peggior leghista: «Non c’è stato alcun esponente della destra, anche la più estrema, che abbia fatto un lavoro tanto negativo». Ora che si è convertito, poi, non deve più parlare di islam: «Ci risparmi altre lezioni di malafede tra le religioni». Non una parola nei confronti dei fanatici che hanno giurato di tagliare la gola all’apostata, nessuna presa di distanza dai macellai di Hamas, che dopo la conversione di Allam hanno accusato Benedetto XVI di «incitare all’odio e al razzismo»: nel mirino c’è solo il vicedirettore del Corriere. In compenso, l’argomentazione della signora Tronchetti abbonda in leggerezza: «Nessuno oserebbe dire che poiché Mussolini e Hitler erano cristiani il cristianesimo sia violento», scrive Afef. Tesi un po’ deboluccia: le violenze dei due dittatori non erano compiute in nome della Bibbia, mentre quelle dei terroristi islamici hanno tutte un saldo fondamento nelle loro sacre scritture, che invitano a «combattere» e «uccidere» «coloro che non credono in Allah».

Notare che l’attacco a testa bassa di Afef ha avuto, sulla prima pagina della Stampa, uno spazio assai maggiore di quello che il Corriere aveva dato alla lettera con cui Allam spiegava la sua conversione (questa era stata persino tagliata dai redattori di via Solferino). Indizi, anche questi, che la linea di certi ambienti è più vicina alla convivenza con il fanatismo che alle posizioni intransigenti e coraggiose di Allam ed Hirsi Ali.

L’ultimo banco di prova è Fitna, il film di quindici minuti che il leader politico olandese Geert Wilders ha appena messo online. Fitna è una parola che appare spesso nel Corano e può essere tradotta come «punizione», «lotta». Ci si attendeva chissà cosa. Prima ancora che si potesse vedere, il Tg1 ne aveva parlato come una pietra miliare del furore anti-islamico. Invece è uscito fuori un banale riassuntino di quanto di peggio l’islam ha fatto vedere dal settembre del 2001 ad oggi. Gli attentati di Manhattan, Madrid e Londra, gli imam che incitano alla guerra santa contro noialtri infedeli, le impiccagioni degli omosessuali in Iran (anch’esse “giustificate” dalle sacre scritture), l’odio gridato in piazza contro gli ebrei. Tutta roba risaputa, intervallata da citazioni del corano. Ma, anche in questo caso, le accuse non sono per quelli che sono stati filmati mentre promettono di tagliarci la testa, ma solo per il «pericoloso» Wilders, che si è permesso di ricordarci che esistono.

Si è mosso nientemeno che il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, per criticare «nei termini più forti» la diffusione di Fitna. Intanto nel mondo islamico giornali e televisioni continuano indisturbati a rappresentare gli ebrei come scimmie e maiali, e in molti Paesi si vieta ai cristiani di mostrare il crocifisso e pregare in pubblico. Ma ebrei e cristiani hanno smesso da qualche secolo di ammazzare infedeli, quindi Ban Ki-moon può fregarsene di loro e lasciare che l’Onu continui ad essere la succursale della Conferenza dei paesi islamici. Per non perdere l’abitudine, anche le istituzioni europee hanno calato le brache, condannando il film e chi lo ha messo in rete. Alla faccia della libertà d’espressione. Tutto come da prassi: la lastra indica che l’Europa è malata, ma l’unica reazione che la sua classe dirigente riesce a produrre è coprire d’insulti il radiologo.

© Libero. Pubblicato il 29 marzo 2008.

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