Quota sedici
di Fausto Carioti
La domanda che in queste ore gira nel centrodestra è quella che Maurizio Gasparri si pone a voce alta: «Ma la proposta sul nuovo assetto del sistema delle comunicazioni in Italia Di Pietro la fa a titolo personale? Veltroni, con il quale si è alleato, la condivide?». Insomma, il ruolo dell’ex pm è chiaro: da qui al 13 aprile dovrà spararne una al giorno per impedire che gli elettori che hanno in odio Berlusconi cedano alla tentazione dell’astensionismo o votino per la Sinistra Arcobaleno di Fausto Bertinotti. La proposta di espropriare le reti Mediaset, lasciando al Biscione un solo canale, è solo l’inizio dell’escalation alla quale assisteremo sino all’apertura delle urne. Walter Veltroni lascia fare: se si è alleato con Antonio Di Pietro non è per le virtù diplomatiche del leader dell’Italia dei Valori, ma perché costui gli porta in dote i voti degli antiberlusconiani viscerali. Un conto, però, è dare guinzaglio lungo al ringhioso molisano, un altro è condividerne tutte le sparate. Da qui, l’interrogativo di Gasparri. Che non è solo il suo.
Perché - detta come va detta - il canale che si era aperto tra berlusconiani e veltroniani quando provavano a scrivere insieme la nuova legge elettorale, e che aveva portato al modello tedesco-spagnolo disegnato da Salvatore Vassallo su misura per i partiti più grandi, non si è mai chiuso. È lì, pronto a spalancarsi di nuovo se le urne daranno un certo tipo di verdetto. C’è un numero, infatti, che in queste ore ricorre spesso nei ragionamenti di Berlusconi e dei suoi consiglieri: sedici. Posto che nessuno, da quelle parti, mette in dubbio la vittoria del Popolo delle libertà alleato con la Lega alla Camera, con il conseguimento del premio di maggioranza che affiderebbe al centrodestra di stretta osservanza berlusconiana il 55% dei seggi di Montecitorio, resta l’incognita del Senato. Dove il premio di maggioranza è assegnato su base regionale. Impossibile fare previsioni attendibili sino a quando la partita delle alleanze non si sarà conclusa. Al momento, chi per il Cavaliere sta facendo i conti gli assegna un margine tra i dodici e i ventidue senatori. Ed è qui che entra in ballo “quota sedici”.
«Se il Pdl e il Carroccio potranno contare almeno su un vantaggio di sedici senatori», racconta una fonte ben introdotta a palazzo Grazioli, «Berlusconi farà un governo tutto suo». Per affossare una simile maggioranza, infatti, occorrerebbe che otto senatori facessero transumanza verso i lidi dell’opposizione. E «otto è la soglia di sicurezza fissata da Berlusconi». Al di sotto di questa, il Cavaliere valuterà seriamente l’ipotesi di allargare i confini della maggioranza di governo. Ma non sarà Pier Ferdinando Casini il suo interlocutore: su questo Berlusconi, nelle sue conversazioni private, è stato molto chiaro. Preferirà rivolgersi direttamente a Veltroni. Offrirà di fare un passo indietro, rinunciando a palazzo Chigi, ma riservandosi comunque il diritto di indicare il nome del presidente del Consiglio (Gianni Letta sarebbe il candidato naturale). E proporrà un governone di unità nazionale, un patto tra grandi per riscrivere assieme le regole (iniziando dalla legge elettorale) e gestire la costruzione delle nuove infrastrutture, l’emergenza dell’immondizia in Campania, il dossier Alitalia, il taglio della spesa pubblica e altre rogne del genere.
Uno degli uomini che sibila all’orecchio del Cavaliere spiega il progetto con sano realismo: «È ovvio che in campagna elettorale non può trapelare l’ipotesi che non si possano vincere le elezioni in modo netto. Ma è chiaro che, se il margine di vittoria non sarà rassicurante, dovremo trattare, e non sarà certo con Casini che lo faremo». Anche perché la ruggine con i centristi è tanta: «Arrivati a questo punto, intendiamo fare di tutto per sbattere l’Udc fuori dal parlamento. Il “porcellum” è un meccanismo elettorale dotato di soglie di sbarramento efficacissime: quattro per cento alla Camera e otto per cento al Senato, su base regionale. Lavoreremo per impedire all’Udc di superare queste soglie».
Dunque, o si stravince o ci si siede al tavolo con Veltroni. Il quale - i berlusconiani ne sono convinti - avrebbe molti buoni motivi per riprendere il dialogo con gli avversari. Passerebbe alla storia come l’uomo che ha condotto il centrosinistra da una sconfitta certa a un quasi-pareggio, e potrebbe riscrivere le regole del gioco, assieme al popolo delle libertà, a uso e consumo dei grandi. Perché simili scenari possano essere presi in considerazione, però, è importante capire se Veltroni la pensa come Di Pietro oppure se può ancora essere considerato un interlocutore tutto sommato affidabile, alle prese con l’ennesimo gioco delle parti.
In casa Berlusconi la sortita di Tonino è stata presa assai male, e lo spiegano le parole del vicecoordinatore forzista Fabrizio Cicchitto: «Veltroni usa un buonismo di facciata e utilizza il suo braccio armato, rappresentato da Di Pietro, per colpire l’avversario politico». Ma accanto al Cavaliere c’è anche chi considera la proposta di Di Pietro qualcosa di quasi scontato, che non decreta la chiusura dei canali diplomatici. Come il forzista Gaetano Quagliariello, che assieme a Vassallo ha tenuto in piedi per settimane la trattativa per la riforma bipartisan della legge elettorale. «Credo», dice il senatore-politologo, «che nel centrosinistra ci sia la consapevolezza diffusa che la legge Gentiloni per la riforma del sistema televisivo sia stata una vergogna. D’altra parte, in campagna elettorale, a sinistra un po’ di antiberlusconismo è inevitabile. Prendo atto che fino a questo momento Veltroni, per non mordere, ha deciso di far abbaiare Di Pietro. Finché non si supera questo stadio, ci si può anche stare».
Insomma, la tensione è salita, ma al momento non si registra alcuno strappo definitivo con il leader del Partito democratico. Certo, il giorno in cui Veltroni dovesse davvero sedersi al tavolo delle trattative con Berlusconi, dovrebbe per prima cosa decidere cosa fare del suo ingombrante alleato. Ma sono problemi che in campagna elettorale nessuno si pone.
© Libero. Pubblicato il 19 febbraio 2008.
La domanda che in queste ore gira nel centrodestra è quella che Maurizio Gasparri si pone a voce alta: «Ma la proposta sul nuovo assetto del sistema delle comunicazioni in Italia Di Pietro la fa a titolo personale? Veltroni, con il quale si è alleato, la condivide?». Insomma, il ruolo dell’ex pm è chiaro: da qui al 13 aprile dovrà spararne una al giorno per impedire che gli elettori che hanno in odio Berlusconi cedano alla tentazione dell’astensionismo o votino per la Sinistra Arcobaleno di Fausto Bertinotti. La proposta di espropriare le reti Mediaset, lasciando al Biscione un solo canale, è solo l’inizio dell’escalation alla quale assisteremo sino all’apertura delle urne. Walter Veltroni lascia fare: se si è alleato con Antonio Di Pietro non è per le virtù diplomatiche del leader dell’Italia dei Valori, ma perché costui gli porta in dote i voti degli antiberlusconiani viscerali. Un conto, però, è dare guinzaglio lungo al ringhioso molisano, un altro è condividerne tutte le sparate. Da qui, l’interrogativo di Gasparri. Che non è solo il suo.
Perché - detta come va detta - il canale che si era aperto tra berlusconiani e veltroniani quando provavano a scrivere insieme la nuova legge elettorale, e che aveva portato al modello tedesco-spagnolo disegnato da Salvatore Vassallo su misura per i partiti più grandi, non si è mai chiuso. È lì, pronto a spalancarsi di nuovo se le urne daranno un certo tipo di verdetto. C’è un numero, infatti, che in queste ore ricorre spesso nei ragionamenti di Berlusconi e dei suoi consiglieri: sedici. Posto che nessuno, da quelle parti, mette in dubbio la vittoria del Popolo delle libertà alleato con la Lega alla Camera, con il conseguimento del premio di maggioranza che affiderebbe al centrodestra di stretta osservanza berlusconiana il 55% dei seggi di Montecitorio, resta l’incognita del Senato. Dove il premio di maggioranza è assegnato su base regionale. Impossibile fare previsioni attendibili sino a quando la partita delle alleanze non si sarà conclusa. Al momento, chi per il Cavaliere sta facendo i conti gli assegna un margine tra i dodici e i ventidue senatori. Ed è qui che entra in ballo “quota sedici”.
«Se il Pdl e il Carroccio potranno contare almeno su un vantaggio di sedici senatori», racconta una fonte ben introdotta a palazzo Grazioli, «Berlusconi farà un governo tutto suo». Per affossare una simile maggioranza, infatti, occorrerebbe che otto senatori facessero transumanza verso i lidi dell’opposizione. E «otto è la soglia di sicurezza fissata da Berlusconi». Al di sotto di questa, il Cavaliere valuterà seriamente l’ipotesi di allargare i confini della maggioranza di governo. Ma non sarà Pier Ferdinando Casini il suo interlocutore: su questo Berlusconi, nelle sue conversazioni private, è stato molto chiaro. Preferirà rivolgersi direttamente a Veltroni. Offrirà di fare un passo indietro, rinunciando a palazzo Chigi, ma riservandosi comunque il diritto di indicare il nome del presidente del Consiglio (Gianni Letta sarebbe il candidato naturale). E proporrà un governone di unità nazionale, un patto tra grandi per riscrivere assieme le regole (iniziando dalla legge elettorale) e gestire la costruzione delle nuove infrastrutture, l’emergenza dell’immondizia in Campania, il dossier Alitalia, il taglio della spesa pubblica e altre rogne del genere.
Uno degli uomini che sibila all’orecchio del Cavaliere spiega il progetto con sano realismo: «È ovvio che in campagna elettorale non può trapelare l’ipotesi che non si possano vincere le elezioni in modo netto. Ma è chiaro che, se il margine di vittoria non sarà rassicurante, dovremo trattare, e non sarà certo con Casini che lo faremo». Anche perché la ruggine con i centristi è tanta: «Arrivati a questo punto, intendiamo fare di tutto per sbattere l’Udc fuori dal parlamento. Il “porcellum” è un meccanismo elettorale dotato di soglie di sbarramento efficacissime: quattro per cento alla Camera e otto per cento al Senato, su base regionale. Lavoreremo per impedire all’Udc di superare queste soglie».
Dunque, o si stravince o ci si siede al tavolo con Veltroni. Il quale - i berlusconiani ne sono convinti - avrebbe molti buoni motivi per riprendere il dialogo con gli avversari. Passerebbe alla storia come l’uomo che ha condotto il centrosinistra da una sconfitta certa a un quasi-pareggio, e potrebbe riscrivere le regole del gioco, assieme al popolo delle libertà, a uso e consumo dei grandi. Perché simili scenari possano essere presi in considerazione, però, è importante capire se Veltroni la pensa come Di Pietro oppure se può ancora essere considerato un interlocutore tutto sommato affidabile, alle prese con l’ennesimo gioco delle parti.
In casa Berlusconi la sortita di Tonino è stata presa assai male, e lo spiegano le parole del vicecoordinatore forzista Fabrizio Cicchitto: «Veltroni usa un buonismo di facciata e utilizza il suo braccio armato, rappresentato da Di Pietro, per colpire l’avversario politico». Ma accanto al Cavaliere c’è anche chi considera la proposta di Di Pietro qualcosa di quasi scontato, che non decreta la chiusura dei canali diplomatici. Come il forzista Gaetano Quagliariello, che assieme a Vassallo ha tenuto in piedi per settimane la trattativa per la riforma bipartisan della legge elettorale. «Credo», dice il senatore-politologo, «che nel centrosinistra ci sia la consapevolezza diffusa che la legge Gentiloni per la riforma del sistema televisivo sia stata una vergogna. D’altra parte, in campagna elettorale, a sinistra un po’ di antiberlusconismo è inevitabile. Prendo atto che fino a questo momento Veltroni, per non mordere, ha deciso di far abbaiare Di Pietro. Finché non si supera questo stadio, ci si può anche stare».
Insomma, la tensione è salita, ma al momento non si registra alcuno strappo definitivo con il leader del Partito democratico. Certo, il giorno in cui Veltroni dovesse davvero sedersi al tavolo delle trattative con Berlusconi, dovrebbe per prima cosa decidere cosa fare del suo ingombrante alleato. Ma sono problemi che in campagna elettorale nessuno si pone.
© Libero. Pubblicato il 19 febbraio 2008.