De Gregorio e gli altri

di Fausto Carioti

C'è da ridere a leggere le "ragioni" con cui i magistrati romani hanno messo sotto indagine per corruzione il senatore Sergio De Gregorio. Le agenzie di stampa spiegano che «il procedimento è stato avviato dopo l'arrivo nella Capitale del fascicolo inviato da Napoli sul presunto accordo tra il leader del movimento degli italiani nel mondo e il leader del PdL, Silvio Berlusconi». Presunto? Ma quando mai. Accordo palese, bisogna dire. Sbandierato. Ostentato. Mai intesa fu esibita con più orgoglio di questa. Sul Corriere della Sera del 27 luglio De Gregorio, tutto felice, raccontava che Berlusconi, siglando il “patto federativo” tra Forza Italia e Italiani nel mondo, gli aveva staccato un assegno da 300mila euro. Serviranno «per promuovere il mio partito e la Cdl all’estero, ed è normale che la Cdl finanzi un partito a lei federato», spiegava il pasciuto senatore. Prodigo di dettagli, aggiungeva: «È il primo aiuto che riceviamo da Berlusconi, servirà all’organizzazione logistica». Dunque, sul fatto che Berlusconi - vero bersaglio di questa iniziativa giudiziaria - per allearsi con De Gregorio gli abbia dato soldi per il suo partitino, non ci sono dubbi. Così come è acclarato che questi finanziamenti sono stati concessi alla luce del sole, e regolarmente dichiarati dal senatore partenopeo. Piaccia o meno, la politica funziona anche così. E nessuno si tira indietro davanti a simili pratiche. Nemmeno sua santità Walter Veltroni. Tantomeno, finché ha potuto, se ne è astenuto il beato Romano Prodi, tumulato anzitempo nel mausoleo felsineo.

La differenza, semmai, è tra chi per avere sostegno politico mette mano al proprio portafogli, perché può permettersi di farlo, e chi invece mette mano al portafogli del contribuente. Per dire: il governo Prodi ha resistito oltre ogni aspettativa grazie al sostegno eroico che gli hanno fornito i senatori a vita, disponibili a puntellarlo sino a tarda notte durante le votazioni della Finanziaria. La medaglia al valore va assegnata a Rita Levi Montalcini. Incidentalmente, la stessa senatrice ha visto la sua fondazione, la Ebri, premiata dalla Finanziaria con 3 milioni di euro. Niente d’illecito, ovvio. Tutto è avvenuto alla luce del sole, e nessuno può permettersi di dire che cotanta senatrice abbia anteposto l’interesse personale al bene comune: quali che fossero le intenzioni di Prodi, se lei ha resistito sino alle tre del mattino nell’aula di palazzo Madama è perché in quella Finanziaria lei ci credeva. O almeno così bisogna presumere. E infatti nessun magistrato si è sognato di aprire un’indagine.

Prodi è stato molto generoso anche con gli italiani all’estero, e ha avuto un occhio di riguardo nei confronti dell’Argentina. Il senatore Luigi Pallaro, decisivo per gli equilibri al Senato nonché abilissimo mercanteggiatore, chiese - e ottenne - 14 milioni con la Finanziaria del 2007, ai quali se ne sono aggiunti altri 36 con quella del 2008. Così, mentre in Italia le volanti della polizia devono razionare i soldi per la benzina, sugli italo-argentini di La Plata sono piovuti dal cielo un milione e 350mila euro, che serviranno a finanziare le loro «attività formative nell’allevamento del bestiame». Non è andata peggio agli altoatesini, grazie alla presenza in Senato di tre senatori del Südtiroler Volkspartei, il cui appoggio era necessario per la sopravvivenza politica di Prodi. «È il metodo “A Frà, che te serve?”» commentava amaro, durante i mercanteggiamenti della Finanziaria, il veltroniano Peppino Caldarola.

Prendi i radicali, che sull’arte della trattativa potrebbero scrivere un’enciclopedia a dispense. Hanno appena siglato la loro unione di fatto con il partito democratico di Walter Veltroni, il quale gli porterà in dote 3 milioni di euro a titolo di rimborsi elettorali e gli garantirà l’elezione di nove parlamentari. È una compravendita vera e propria. Lecitissima, ma simile a quella che ha legato De Gregorio al Cavaliere. Però questa scandalizza le procure, mentre quella tra Veltroni e Bonino indigna solo il Vaticano.

Quando non si possono mettere sul piatto i soldi pubblici, o se questi non bastano, c’è sempre qualche carica attorno alla quale si può ragionare. Nel 1995 Lamberto Dini pugnalò alle spalle Berlusconi e accettò di guidare il governo di centrosinistra che portò l’Italia al voto. Dini fu poi ministro degli Esteri dei governi dell’Ulivo nell’intera legislatura successiva. Pochi mesi fa, Marco Follini ha compiuto, in senso inverso, lo stesso tragitto di De Gregorio: è passato dall’opposizione alla maggioranza, e ha subito ottenuto la carica di responsabile nazionale per le politiche dell’informazione del Pd. I magistrati non ci hanno visto nulla di male. Giustamente. Perché certi scambi di cortesie sono normali, e la sanzione, semmai, la meritano dagli elettori, non certo dai tribunali.

Neanche i metodi con cui Prodi ha cercato di impedire la sua caduta sono diversi da quelli con cui Berlusconi ha fatto di tutto per accelerarla. L’esecutivo morente dette vita a un mercato delle vacche durato sino a pochi minuti prima del voto. Un pressing concentrato soprattutto sui senatori leghisti (uno dei quali, Piergiorgio Stiffoni, alla fine sbottò: «Non siamo mica delle puttane»), sui diniani, ai quali fu offerto il ministero lasciato libero da Clemente Mastella, e sugli uomini dell’Udeur. Uno dei quali, Nuccio Cusumano, alla vigilia della votazione decisiva vide il suo segretario particolare assunto, con procedura assai anomala, dall’agenzia Agecontrol, che dipende dal ministero delle Politiche agricole, retto dal prodiano Paolo De Castro. Cusumano fu poi l’unico senatore dell’Udeur a votare la fiducia al governo Prodi. Ovviamente, lui definisce la vicenda di quella strana assunzione (bloccata poi dal presidente di Agecontrol) «del tutto casuale» e slegata dal suo voto in Senato.

Gli strumenti della politica, insomma, sono questi, e di sicuro nella legislatura che si è appena chiusa nessuno ha dato il meglio di sé. Chi aveva gli assegni li staccava, chi aveva cariche o soldi pubblici da mettere sul piatto lo faceva senza pensarci due volte. Di diverso, c’è stato solo l’atteggiamento dei magistrati. Che su alcuni hanno deciso di accendere i fari. Su altri, no. Chissà perché.

© Libero. Pubblicato il 26 febbraio 2008.

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