Berlusconi verso la vittoria dimezzata (e va bene così)
La scelta di non allearsi con l'Udc di Pier Ferdinando Casini ha una spiegazione che, ridotta all'essenziale, si può riassumere così: Silvio Berlusconi è pronto a un governo di unità nazionale con Walter Veltroni. Ovvio, preferirebbe ottenere una maggioranza consistente (diciamo una ventina di seggi) al Senato. E si batterà per averla. Ma ha già messo in conto di non poterla raggiungere. E non si scompone davanti all'idea di governare con il partito democratico.
La minaccia di Casini era proprio quella di erodere il margine di vantaggio che il Pdl dovrebbe ottenere al Senato. Correndo sola, infatti, l'Udc uscirà a pezzi dalle urne (contate i senatori e i deputati di cui dispone oggi, e fate lo stesso dopo il 13 aprile: sarà una strage). Però la decisione di Casini farà male anche a Berlusconi, il quale al Senato rischia davvero di trovarsi in una situazione non identica, ma comunque paragonabile a quella che ha portato Prodi nel baratro. Davanti alla scelta tra accettare le richieste di Casini e fare il pieno di voti (imbarcando però un cospicuo numero di senatori inaffidabili) e rischiare una vittoria dimezzata, ma senza l'Udc tra le scatole, non ci ha pensato due volte e ha imboccato la seconda strada. Alla minaccia di Casini, ha risposto con il motto che la Buonanima prese in prestito da Gabriele D'Annunzio: "Me ne frego".
La morale è chiara: stavolta Berlusconi non insegue la vittoria a tutti i costi. L'ingovernabilità, il doversi sottoporre a ricatti continui, sono prezzi che non intende pagare. Se qualcuno il giorno dopo il voto dovrà fare accordi col partito democratico, quel qualcuno sarà lui. E non sarà una tragedia. Meglio trattare con gli avversari da posizioni di forza (grazie al premio di maggioranza che il Pdl dovrebbe ottenere alla Camera) e fare il regista di un governone bipartisan che guidare l'esecutivo e farsi logorare da quale emulo di Marco Follini. I parlamentari dell'Udc e delle altre liste centriste, nelle intenzioni di Beelusconi, sono destinati alla marginalità, non potranno più fare da ago della bilancia. Le regole le scriveranno i grandi.
A Veltroni tutto ciò va benissimo: se le cose andranno in questo modo, infatti, passerà comunque alla storia come l'uomo che ha condotto a un quasi-pareggio quella sinistra che Romano Prodi aveva raso al suolo. Contribuirà a riscrivere le regole e potrà essere di nuovo candidato premier alla tornata successiva. Conviene anche a Gianfranco Fini: porterà An nel partito popolare europeo, e dopo che sarà andato al governo con i post comunisti e i post democristiani del Pd, nessuno potrà più sbattergli in faccia pregiudiziali antifasciste. Chissà, forse sarà un bene anche per il Paese: senza i partitini e con Verdi e comunisti relegati all'opposizione, qualche autostrada, due termovalorizzatori e un rigassificatore si riusciranno a costruire. Magari un governo simile, se mai si farà, riuscirà anche a riportare in agenda la questione del nucleare, che gode di forti consensi sia all'interno del Pdl che nel Pd.
Vedremo. Intanto godiamoci l'escalation che inevitabilmente caratterizzerà la campagna elettorale sino al giorno del voto. L'importante è sapere che molti di quelli che oggi si scannano non escludono affatto di abbracciarsi il 14 aprile.
La minaccia di Casini era proprio quella di erodere il margine di vantaggio che il Pdl dovrebbe ottenere al Senato. Correndo sola, infatti, l'Udc uscirà a pezzi dalle urne (contate i senatori e i deputati di cui dispone oggi, e fate lo stesso dopo il 13 aprile: sarà una strage). Però la decisione di Casini farà male anche a Berlusconi, il quale al Senato rischia davvero di trovarsi in una situazione non identica, ma comunque paragonabile a quella che ha portato Prodi nel baratro. Davanti alla scelta tra accettare le richieste di Casini e fare il pieno di voti (imbarcando però un cospicuo numero di senatori inaffidabili) e rischiare una vittoria dimezzata, ma senza l'Udc tra le scatole, non ci ha pensato due volte e ha imboccato la seconda strada. Alla minaccia di Casini, ha risposto con il motto che la Buonanima prese in prestito da Gabriele D'Annunzio: "Me ne frego".
La morale è chiara: stavolta Berlusconi non insegue la vittoria a tutti i costi. L'ingovernabilità, il doversi sottoporre a ricatti continui, sono prezzi che non intende pagare. Se qualcuno il giorno dopo il voto dovrà fare accordi col partito democratico, quel qualcuno sarà lui. E non sarà una tragedia. Meglio trattare con gli avversari da posizioni di forza (grazie al premio di maggioranza che il Pdl dovrebbe ottenere alla Camera) e fare il regista di un governone bipartisan che guidare l'esecutivo e farsi logorare da quale emulo di Marco Follini. I parlamentari dell'Udc e delle altre liste centriste, nelle intenzioni di Beelusconi, sono destinati alla marginalità, non potranno più fare da ago della bilancia. Le regole le scriveranno i grandi.
A Veltroni tutto ciò va benissimo: se le cose andranno in questo modo, infatti, passerà comunque alla storia come l'uomo che ha condotto a un quasi-pareggio quella sinistra che Romano Prodi aveva raso al suolo. Contribuirà a riscrivere le regole e potrà essere di nuovo candidato premier alla tornata successiva. Conviene anche a Gianfranco Fini: porterà An nel partito popolare europeo, e dopo che sarà andato al governo con i post comunisti e i post democristiani del Pd, nessuno potrà più sbattergli in faccia pregiudiziali antifasciste. Chissà, forse sarà un bene anche per il Paese: senza i partitini e con Verdi e comunisti relegati all'opposizione, qualche autostrada, due termovalorizzatori e un rigassificatore si riusciranno a costruire. Magari un governo simile, se mai si farà, riuscirà anche a riportare in agenda la questione del nucleare, che gode di forti consensi sia all'interno del Pdl che nel Pd.
Vedremo. Intanto godiamoci l'escalation che inevitabilmente caratterizzerà la campagna elettorale sino al giorno del voto. L'importante è sapere che molti di quelli che oggi si scannano non escludono affatto di abbracciarsi il 14 aprile.