I due forni di Berlusconi

La verità è che Silvio Berlusconi deve ringraziare Walter Veltroni. Eccome. Grazie alla creazione del partito democratico, alla impostazione leaderistica che il sindaco di Roma ha dato al Pd e alla scelta di farlo correre da solo, Berlusconi si trova, per la prima volta da quando fa politica, nella condizione di poter scegliere più o meno tutto. Soprattutto gli alleati. E non è affatto detto che chi è alleato con lui per le elezioni lo sia anche il giorno dopo il voto.

La prima scelta che Berlusconi deve fare riguarda - ovviamente - con chi allearsi per il voto. Ovvero, vista la legge elettorale in vigore, con chi dividere il probabile premio di maggioranza. Il quale, ricordiamo, a Montecitorio è assegnato su base nazionale alla coalizione che ha preso più voti. Ma nulla vieta ai partiti di presentarsi da soli. La tentazione che sta assalendo Berlusconi in questi giorni è quella di riproporre l'"editto" di piazza San Babila, rivolto agli altri partiti del centrodestra: nessuna coalizione; o state con me nella mia lista, alle mie condizioni, oppure siete miei avversari elettorali. Se siete nella mia lista, grazie al premio di maggioranza che vi farò prendere avrete più deputati di quanti ve ne spetterebbero grazie al vostro peso rappresentativo. Ma sia chiaro che comando io, e sulla lista c'è il mio nome. Se siete miei avversari, nulla esclude di allearci di nuovo in Parlamento il giorno dopo il voto, ma sappiate che alla Camera conterete meno del vostro peso elettorale, perché il premio di maggioranza o lo prendo io o lo prende Veltroni. Voi, no di certo. Ora, è evidente che per fare un simile discorso bisogna essere in un evidente punto di forza, sul quale Berlusconi può contare solo perché Veltroni ha deciso di candidarsi senza alleati.

Ma anche se Berlusconi si ri-presenta alleato con gli altri partiti della Cdl, nulla gli vieta di ribaltare il tavolo dopo. Se il giorno dopo il voto scopre che la sua coalizione ha al Senato un margine - poniamo - di 15 senatori (ipotesi plausibile), basterebbe la minaccia di voltafaccia da parte di 8 centristi dell'Udeur o dell'Udc (e questa minaccia prima o poi arriva) per portarlo nelle condizioni in cui abbiamo visto Prodi nell'ultimo anno e mezzo: cucinato a fuoco lento. E siccome lui vuole passare alla storia, e non finire bollito, intende evitare un simile scenario. Quindi, già sta pensando che in questo caso la cosa più sensata sia fare un passettino da parte, proporre come presidente del Consiglio il suo braccio destro Gianni Letta e appoggiare un governo basato su una maggioranza che comprenda anche il Pd. Agli altri partiti della Cdl, suoi alleati elettorali, risponderà che il bene del Paese impone scelte nuove e coraggiose, e li inviterà a imitarlo appoggiando il nuovo governo. Anche in questo caso, il suo sarà un aut aut: chi ci sta bene, chi non ci sta ciccia.

Infine, posto che la prossima sarà con ogni probabilità una legislatura costituente, anche se alla fine Berlusconi si candiderà alleato con gli altri partiti della Cdl e farà un governo con loro, il tavolo delle grandi riforme sarà tutt'altra cosa. E la presenza di un partito democratico che si propone agli elettori - specularmente al partito di Berlusconi - come una sorta di nuova Dc, guidato da un leader privo (a differenza di Prodi) di pregiudiziali antiberlusconiane, renderà il dialogo tra i due partiti sulle riforme, e magari l'accordo, assai più facile. Quasi naturale.

Come mi diceva giorni fa un esponente forzista di primo piano, «la nascita del Pd mette Forza Italia, per la prima volta nella sua storia, nella condizione di poter praticare la politica dei due forni, e cioè di poter scegliere, di volta in volta, se allearsi con chi gli sta a destra o chi gli sta a sinistra». Il vero cambiamento della prossima legislatura, rispetto a quanto abbiamo visto negli ultimi anni, sarà proprio questo. Ci attende qualcosa di tutto nuovo: non assisteremo al replay del copione già visto in questi anni.

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