Prima che sia troppo tardi
Stiamo perdendo un'occasione irripetibile. Quella di registrare, di fermare per sempre su un nastro, la testimonianza, il racconto in prima persona di chi allora c'era e presto rischia di non esserci più. Esistono ancora, in Italia, testimoni diretti dei periodi più importanti del secolo scorso. Persone i cui ricordi d'infanzia sono ambientati nella prima guerra mondiale. Gente che ricorda come fosse ieri i primi anni del fascismo, o ha partecipato alla campagna di Russia, le ragazze che erano a Salò e quelle che si erano date alla macchia con i partigiani. Ci sono, li abbiamo qui tra noi, ma ogni giorno sono di meno. Chi nel 1922, quando Mussolini prese il potere, aveva 5 anni, ora ne ha 90. Per quanto ancora ci saranno? Quanto ancora i loro ricordi rimarranno limpidi?
Quanto dareste per sentire dalla voce di uno dei sopravvissuti all'inferno russo il suo racconto? O una delle milioni di storie speciali di gente comune. Quelli che hanno nascosto sotto il letto il soldato alleato inseguito dai nazifascisti. O viceversa. Storie di amicizia. Fascisti che garantiscono con la loro parola per l'amico partigiano che era stato già messo al muro. Favore che viene ricambiato pochi mesi dopo. (Per capirsi: se una di queste storie non fosse accaduta davvero, adesso non sareste qui a leggere queste righe). Storie di vendette barbare e meschine, come quelle raccolte da Giampaolo Pansa. Che ovviamente furono compiute da una parte e dall'altra, anche se la storia, come sempre, l'hanno scritta i vincitori.
Non ci vuole molto. Bastano una videocamera e una persona disposta a parlare, ad aprire i libri delle sue memorie, il suo album fotografico. Già lo stanno facendo negli Stati Uniti. Dove però non c'è stata una guerra civile. Qui, in Italia - a patto di sentire tutti, vincitori e vinti - sarebbe anche un piccolo passo avanti verso il raggiungimento di una sorta di memoria condivisa sul Ventennio e il secondo dopoguerra. Adesso pare un miraggio, ma tra qualche decennio chissà. Dopo tanti morti e tanta sofferenza, alla reciproca comprensione tra ciò che resta delle "due Italie" si dovrebbe arrivare attraverso una conoscenza quanto più possibile completa e diffusa di ciò che è accaduto, non grazie all'oblio e all'ignoranza. L'importante, come sempre, è non illudersi. Ma provarci, quello sì.
Quanto dareste per sentire dalla voce di uno dei sopravvissuti all'inferno russo il suo racconto? O una delle milioni di storie speciali di gente comune. Quelli che hanno nascosto sotto il letto il soldato alleato inseguito dai nazifascisti. O viceversa. Storie di amicizia. Fascisti che garantiscono con la loro parola per l'amico partigiano che era stato già messo al muro. Favore che viene ricambiato pochi mesi dopo. (Per capirsi: se una di queste storie non fosse accaduta davvero, adesso non sareste qui a leggere queste righe). Storie di vendette barbare e meschine, come quelle raccolte da Giampaolo Pansa. Che ovviamente furono compiute da una parte e dall'altra, anche se la storia, come sempre, l'hanno scritta i vincitori.
Non ci vuole molto. Bastano una videocamera e una persona disposta a parlare, ad aprire i libri delle sue memorie, il suo album fotografico. Già lo stanno facendo negli Stati Uniti. Dove però non c'è stata una guerra civile. Qui, in Italia - a patto di sentire tutti, vincitori e vinti - sarebbe anche un piccolo passo avanti verso il raggiungimento di una sorta di memoria condivisa sul Ventennio e il secondo dopoguerra. Adesso pare un miraggio, ma tra qualche decennio chissà. Dopo tanti morti e tanta sofferenza, alla reciproca comprensione tra ciò che resta delle "due Italie" si dovrebbe arrivare attraverso una conoscenza quanto più possibile completa e diffusa di ciò che è accaduto, non grazie all'oblio e all'ignoranza. L'importante, come sempre, è non illudersi. Ma provarci, quello sì.