Alla cortese attenzione del min. Pecoraro Scanio (e dei suoi addetti stampa)

Giornalisti o addetti stampa di Alfonso Pecoraro Scanio? Il dubbio c'è. Va bene i quotidiani di sinistra. Ma che Corriere della Sera, Repubblica (che pur essendo quotidiano d'area ha tutti gli strumenti per svolgere un lavoro critico di tutto rispetto) e Stampa si siano ridotti a copiare e incollare in prima pagina i numeri sparati dal ministro verde dell'Ambiente, senza nemmeno non dico confutarli, ma almeno provare a metterli in discussione, dà parecchio da pensare sullo spirito critico della stampa italiana (senza guardare in casa mia, segnalo il lavoro fatto dal Messaggero, che ha voluto sentire le diverse campane).

Siccome su certi temi non si scrive mai troppo poco (vista anche l'insistenza degli ecocatastrofisti), faccio parlare ancora gli scienziati e pubblico l'appendice al libro "Verdi fuori, rossi dentro. L'inganno ambientalista", scritto per Libero-Free da Franco Battaglia, docente di Chimica Ambientale all'università di Modena e vicepresidente dell'Associazione Galileo 2001, e Renato Angelo Ricci, professore emerito all'università di Padova, presidente onorario della Società Italiana di Fisica e presidente dell'Associazione Galileo 2001. Occhio a dove si parla della nascita di «un nuovo tipo di giornalista: il giornalista ambientale, il quale attira tanta più attenzione quanto più catastrofista è la notizia che riporta». E' una frase che aiuta a capire i titoli di questi giorni.

Nel corso di stampa di questo manuale (maggio 2007) è uscito il Quarto Rapporto dell’International Panel on Climate Change (Ipcc), secondo cui il riscaldamento globale (RG) cui stiamo assistendo sarebbe, con grado di confidenza del 90%, colpa dell’uomo. Ci viene detto che i ghiacciai si sciolgono, il livello del mare si eleva, gli uragani imperversano e che sarebbe tutta colpa nostra. Ci viene detto che, al di là di ogni dubbio, siamo, noi uomini, la causa di eccezionali cambiamenti climatici in corso. Non siate terrorizzati: non è niente vero, ci dicono continuamente bugie. La verità è che quella del RG antropogenico è la più grande mistificazione globale degli ultimi 20 anni. Intendiamoci: il RG attuale è reale, nel senso che la temperatura media globale è, oggi, più elevata di quella non di 150 ma – e questo è importante – di 300 anni fa. Semplicemente non è la CO2 la causa di questo aumento.

L’effetto serra antropogenico (ESA) non è un’ordinaria teoria scientifica: essa è presentata dai media come se avesse l’autorità di una teoria scientifica consolidata dalle ricerche di una organizzazione scientifica internazionale, l’Ipcc. In realtà, l’Ipcc è un’organizzazione intergovernativa voluta dall’Onu e, come tutte le organizzazioni volute dall’Onu, è puramente politica, con numerosi esponenti, molti neanche scienziati, scelti dai politici che dettano le regole del gioco. Spieghiamoci meglio: noi autori di questo libretto siamo membri dell’American Physics Society (Aps) e della Società Italiana di Fisica (Sif); e, siamo tali non perché ci ha nominati qualcuno ma perché abbiamo svolto ricerca nel campo della fisica e abbiamo scritto articoli di fisica (così come uno è socio del club del golf perché gioca a golf). L’Ipcc, invece, è un organismo dell’Onu e i suoi membri sono nominati dai governi. Dov’è la differenza? Che se un rapporto della Sif o dell’Aps dicesse corbellerie di fisica, è la comunità dei fisici italiani o americani a perdere la faccia; se un rapporto dell’Ipcc dicesse corbellerie, a perderci la faccia non è alcuna comunità di climatologi, ma l’Onu e i governi nazionali. E Dio sa quanto entrambi sono sensibili alle perdite della faccia.

Cosi come Dio solo sa cosa mai abbia fatto l’Ipcc, in quasi 20 anni dalla sua istituzione, per onorare il proprio ruolo ufficiale, e cioè, come ne recita lo statuto, «stabilire, in modo completo, oggettivo, aperto e trasparente, le informazioni scientifiche, tecniche e socio-economiche rilevanti per comprendere le basi scientifiche dei rischi dei cambiamenti climatici indotti dalle attività umane». Una affermazione, questa, che dice tutto sul valore scientifico dell’Ipcc, essendo presupposto della sua esistenza il fatto, tutto da dimostrare, che le attività umane influenzino il clima; dovesse mai scoprirsi il contrario, ne conseguirebbe la morte dell’Ipcc. Un contrario che all’Ipcc non potrà mai scoprirsi, perché i suoi membri devono rispondere a chi li ha lì nominati, cioè ai politici che hanno già deciso che l’uomo influenza il clima.

Le conclusioni finali dell’Ipcc sono guidate dai politici, e le obiezioni di quegli specialisti che non concordano con quelle conclusioni e rifiutano di sottoscriverle sono semplicemente ignorate ma il nome di quegli scienziati appare ugualmente tra gli autori. L’esempio – uno fra i tanti – del prof. Paul Reiter dell’Istituto Pasteur di Parigi, noto studioso di malattie causate dagli insetti e membro dell’Ipcc è illuminante, come vedremo alla fine.

Ci dicono che il clima della Terra sta cambiando, quindi. Ma il clima della Terra cambia continuamente e nella storia della Terra furono innumerevoli i periodi sia più caldi che più freddi di oggi, con vaste aree coperte ora da foreste tropicali ora da grandi estensioni di ghiacciai: il clima è sempre cambiato, senza bisogno di alcun intervento dell’uomo. Osservando la temperatura del pianeta sino a circa 1000 anni fa, notiamo, dal 1400 al 1700, la piccola era glaciale, tre secoli di temperature ben inferiori a quelle attuali. E se andiamo ancora indietro nel tempo, ci fu, tra il 1100 e il 1300, il periodo caldo medievale, con due secoli in cui le temperature furono ben maggiori di quelle odierne. L’evidenza storica è inconfutabile: vi sono dipinti del 1600 raffiguranti la Laguna di Venezia e il Tamigi, ghiacciati, usati da pattinatori e attraversati da carri (l’ultimo festival sul Tamigi ghiacciato si ebbe nell’inverno del 1813-14); così come vi sono i racconti di Geoffrey Chaucer a testimoniare come nel XIII secolo i vigneti fiorivano anche nel nord dell’Inghilterra.

Andando ancora indietro nel tempo, sino all’età del bronzo, vi fu quel che i geologi chiamano massimo Olocenico con temperature per oltre 2 millenni di 2-3 gradi superiore a quella odierna, e ad essa ben sopravvissero gli orsi polari, della cui estinzione oggi ci si preoccupa contro l’evidenza che la loro popolazione è, oggi, più numerosa che nel secolo scorso.

L’idea che la CO2 sarebbe responsabile del RG del XX secolo è però in totale contraddizione coi dati reali. Il RG dell’ultimo secolo cominciò proprio nel 1700 – quando la popolazione mondiale era meno 1 miliardo, le automobili, gli aeroplani o i generatori di corrente elettrica non erano stati ancora inventati e l’industrializzazione assente – e proseguì fino ai primi decenni del Novecento, quando la popolazione era un terzo dell’odierna, la produzione industriale era ancora nella sua infanzia, limitata a pochissime nazioni e frenata dalle guerre e dalla depressione economica (si pensi che nel 1930 il numero di automobili era, nel mondo, inferiore al loro numero, oggi, nella sola Italia). Curiosamente, dal 1940 in poi il RG ebbe un arresto, con le temperature che diminuirono, non per uno o due anni, ma per oltre 3 decenni, sino al 1975: eppure, furono proprio quelli successivi alla seconda guerra mondiale gli anni testimoni del maggiore sviluppo industriale e di una crescita esponenziale della popolazione e della concentrazione atmosferica di CO2. Di più: le temperature ricominciarono a salire la china dopo il 1975, proprio in corrispondenza di un’altra recessione economica. Insomma, il RG dell’ultimo secolo è occorso in momenti diversi da quelli previsti dall’ipotesi della sua origine antropica.

Ma è occorso anche in luoghi incompatibili con quella teoria: se il riscaldamento a terra fosse dovuto all’aumento di gas serra in atmosfera, allora, per il meccanismo stesso dell’effetto serra, se ne dovrebbe osservare uno ancora maggiore ad alcuni chilometri sopra le nostre teste, ma né le sonde su palloni aerostatici né i satelliti osservano il riscaldamento atteso della troposfera. Un riscaldamento antropogenico, quindi, nei momenti e nei luoghi sbagliati.

Al Gore, presidente mancato degli Stati Uniti, ha recentemente prodotto un film con l’intenzione di diffondere informazione, a suo dire corretta, sull’intera questione. Egli fonda tutto il suo ragionamento su due fatti, entrambi veri: la CO2 è un gas-serra e, dalle misure eseguite sulle carote di ghiaccio estratte dai ghiacciai polari, si osserva correlazione tra le variazioni di concentrazione di CO2 occorse nel passato e le variazioni di temperatura. Ciò che Al Gore omette di osservare è che “correlazione” non significa “relazione di causa-effetto”. Per intenderci: esiste una forte correlazione tra il canto del gallo e il sorgere del sole, ma questo non sorge perché il gallo ha cantato. Più precisamente, le analisi sulle carote di ghiaccio estratte dai ghiacciai polari dimostrano, in modo inequivocabile, che quella correlazione esiste davvero, ma procede nella direzione opposta a quella che Al Gore lascia intendere: in tutto l’arco temporale (di estensione geologica) interessato da quelle correlazioni, le variazioni di temperatura precedono, anche di 800 anni, le corrispondenti variazioni di concentrazione di CO2. In altri termini, ogni aumento (diminuzione) di concentrazione di CO2 ha seguito e non preceduto il corrispondente aumento (diminuzione) di temperatura. Insomma, l’ipotesi fondamentale dell’ESA è, ancora una volta, contraddetta dai fatti: l’aumento di CO2 non può essere la causa del riscaldamento, né nel passato né oggi, ma, semmai, il riscaldamento causa un aumento di CO2 (oggi, naturalmente, la CO2 aumenta anche per cause antropiche).

Ma da dove sarebbe venuta, nel passato, la CO2 e, soprattutto, da dove il riscaldamento? La risposta alla prima domanda è facile. Premesso che la frazione antropica di CO2 è una piccola percentuale di quella da altri emettitori (i vulcani, ad esempio), i più potenti emettitori sono gli oceani, enormi serbatoi di CO2 in essi disciolta (di fatto, una buona metà delle emissioni antropiche è dagli oceani assorbita) e pronta ad essere immessa in atmosfera non appena la temperatura superficiale delle acque aumenta. Ma perché vi furono fino a 800 anni di differenza tra le variazioni di temperatura e quelle di concentrazione atmosferica di CO2? La ragione è che gli oceani sono così vasti e così profondi che hanno bisogno di centinaia d’anni prima di memorizzare, per così dire, l’avvenuta variazione di temperatura: osservare una variazione, ad esempio, oggi nell’oceano Atlantico, può significare che qualcosa è accaduto decine o centinaia d’anni fa in qualche remota parte di qualche altro oceano.

Cos’è allora che determina, oggi come nel passato, il riscaldamento? Anche qui, la risposta è semplice: bisogna innanzitutto essere consapevoli che tutte le attività degli oltre 6 miliardi di esseri umani sono un nonnulla rispetto all’attività di quel gigante, lassù nel cielo, che è il nostro sole. Le macchie solari sono, sappiamo oggi, intensi campi magnetici che appaiono durante periodi d’elevata attivitàsolare. Ma per secoli, e da molto prima che se ne conoscesse l’origine, gli astronomi ne hanno registrato il numero, e dai dati raccolti si può notare che nel periodo della piccola era glaciale, proprio in corrispondenza del minimo di temperature, tra il 1645 e il 1715, vi fu una drastica riduzione nel numero delle macchie solari (minimo di Maunder, dal nome dell’astronomo inglese che osservò la circostanza). Quanto il numero di macchie solari sia un attendibile indicatore del clima lo scoprirono il danese Friis-Christensen e i suoi collaboratori, che nel 1991 dimostrarono la stretta correlazione tra attività solare e temperatura globale in tutto il periodo compreso fra il 1860 e il 1990. Per escludere che quella correlazione fosse una semplice coincidenza, i ricercatori danesi andarono indietro nel tempo per altri 400 anni e, di nuovo, accertarono la stretta correlazione tra attività solare e temperatura globale.

Un’ulteriore conferma di quanto la CO2 sia ininfluente nella determinazione del nostro clima si ebbe nel 2005, quando geofisici di Harvard pubblicarono le registrazioni di temperatura artiche durante gli ultimi 100 anni e, con esse, le variazioni di concentrazione di CO2 e le variazioni di attività solare registrate indipendentemente da altri ricercatori: la correlazione tra quest’ultima e le temperature era perfetta, mentre nessuna correlazione si osservò tra le temperature e la CO2. Ancora una volta, l’inevitabile conclusione è che è il sole ciò che guida il nostro clima, mentre la CO2 è irrilevante.

Il sole influenza il clima non solo, direttamente, col suo calore ma anche, indirettamente, attraverso le nuvole, che hanno un potente effetto raffreddante. Le formazioni nuvolose a bassa quota si hanno anche grazie all’interazione del vapore acqueo dagli oceani con le particelle di raggi cosmici provenienti dall’esplosione di stelle lontane giunte alla fine della loro vita, per cui le molecole di vapor d’acqua colpite dai raggi cosmici diventano nuclei di condensazione da cui si formano le nuvole. Quando il sole è più attivo, cioè quando il campo magnetico da esso è più intenso, i raggi cosmici (che sono particelle elettricamente cariche) sono maggiormente deviati da quel campo magnetico: ne consegue un più debole flusso cosmico cui corrisponde una minore formazione di nuvole e quindi un maggiore riscaldamento. La potenza di questo effetto è diventata chiara solo recentemente, dopo che si sono confrontate, nel corso degli anni, le temperature globali con il flusso di raggi cosmici, scoprendo, ancora una volta, una stretta correlazione tra temperatura globale e flusso cosmico: la prima aumenta ogni volta che il secondo diminuisce, e viceversa. Insomma: il clima è controllato dalle nuvole, queste sono controllate dal flusso di raggi cosmici a sua volta controllato dall’intensità del campo magnetico dal sole, cioè dalla attività della nostra stella.

In conclusione, la congettura antropogenica del RG dovrebbe essere oggi considerata pura speculazione metafisica sconfessata dai fatti reali.

Interessi politici ed economici della favola del riscaldamento globale antropogenico

Ma perché mai, allora, sebbene l’ipotesi di lavoro dell’effetto serra antropogenico (ESA) si sia rivelata totalmente priva d’ogni fondamento, ne siamo ancora tutti bombardati come se fosse un fatto indiscutibile? Per comprendere come una congettura errata abbia potuto mantenere intatta la sua potenza mediatica dobbiamo sapere come essa nacque. Negli anni Settanta del secolo scorso, dopo 3 decenni di raffreddamento globale, si cominciò a temere, come già detto, per una imminente era glaciale, fino al punto che qualcuno avanzò la stravagante idea che essa si sarebbe potuta evitare con l’immissione volontaria di CO2 in atmosfera, ma non ebbe il tempo di essere ascoltato perché, nel frattempo, le temperature cominciavano ad aumentare di nuovo. Tuttavia, furono quelli, anche, anni di recessione economica, col prezzo del petrolio alle stelle e grandi sommosse tra i lavoratori del carbone. In Inghilterra, Margaret Thatcher, preoccupata per la sicurezza dell’approvvigionamento energetico del proprio Paese e, evidentemente, poco fiduciosa sia verso i petrolieri del Medioriente che verso i sindacati dei lavoratori delle miniere di carbone, pensò fosse proprio dovere sostenere la causa del nucleare. La preoccupazione che la combustione di combustibili fossili potesse elevare la temperatura del pianeta sino a metterne in pericolo il clima cadeva proprio a fagiolo, e così, molto tempo prima che l’effetto serra diventasse una preoccupazione globale, la Thatcher trovò in quella preoccupazione la possibilità di un’ottimo sostegno alla causa pro-nucleare che aveva deciso di sposare. Decise così di allocare consistenti fondi in ricerche che in qualche modo “dimostrassero” i rischi dell’immissione di gas-serra in atmosfera, una decisione che suggellò il legame tra la politica e l’ESA; un legame che, inevitabilmente, promosse enormi flussi di denaro nel settore della climatologia, purché, però, fosse inequivocabile l’enfasi sulla relazione tra CO2 e clima. Fu così possibile la nascita dell’Ipcc, il cui Primo Rapporto, del 1990, ignorando completamente le conoscenze più accreditate della climatologia, inclusi gli effetti del vapore acqueo, delle nuvole e del sole sul clima della Terra, “prediceva” ciò che i politici volevano predicesse: il disastro climatico come conseguenza dell’immissione in atmosfera della CO2.

Agli inizi degli anni Novanta del secolo scorso l’ESA non era più un’eccentrica idea di un gruppo ristretto ma una vasta e fiorente propaganda politica. Fatto che incrementò l’attenzione dei media, che, a sua volta, incrementò il flusso di risorse: in pochi anni, il solo budget annuale americano sulle ricerche dei cambiamenti climatici salì da 200 milioni a 2 miliardi di dollari (oggi è di quasi 4 miliardi). Si crearono nuovi “posti di lavoro”, occupati da persone prive di alcuna competenza specifica nel campo della climatologia, ma che traevano di che vivere da un poderoso budget che a sua volta ingigantì vieppiù la propaganda politica, in un vortice senza fine. Il mondo della ricerca non era escluso da questo vortice: condizione necessaria per vedere finanziati progetti di ricerca nei più disparati rami dello scibile era rivendicarne l’importanza nel contesto dell’ESA. Oggi le università abbondano di corsi di matematica ambientale, fisica ambientale, chimica ambientale, biologia ambientale, geologia ambientale, ingegneria ambientale, economia ambientale, diritto ambientale e così all’infinito: è nato un intero corpo dello scibile scevro di contenuti scientifici ma esuberante di politica. Gli studenti di questi corsi spesso non hanno alcun interesse per la scienza, una scienza inventata dai politici, e il loro unico scopo è acquisire un patacca che gli consenta di parlare ai politici e influenzare la politica. Allo stesso modo sono nati i movimenti ambientalisti: i loro esponenti sono quasi sempre digiuni degli elementi di base della scienza, della fisica, della chimica, e gli scienziati, i fisici, i chimici, i biologi, sono i loro nemici, a meno che non accondiscendano, compiacenti, alla congettura dell’ESA.

Una gran parte delle risorse di ricerca allocate sull’ESA ha foraggiato la stesura di corposi modelli di calcolo per prevedere il clima del futuro. A chi scienziato non è, i modelli al computer sembrano scienza rigorosa, inducono stupore e incutono rispetto. La verità è che, per compiacere i finanziatori, gli autori di questi modelli ignorano l’influenza del sole, del vapore acqueo e delle nuvole, e assumono tutti, direttamente o indirettamente, che le emissioni antropiche siano il principale responsabile dei cambiamenti climatici. Gonfiando a dismisura le emissioni antropiche di CO2, quei modelli hanno prodotto scenari climatici senza alcuna connessione con la realtà delle cose, scenari che ci dicono, ad esempio (si veda il recente Quarto Rapporto dell’Ipcc), che da qui a 100 anni la temperatura globale si eleverà da un minimo di 0.3 oC ad un massimo di 6.4 oC e il livello dei mari si eleverà da un minimo di 18 cm a un massimo di 59 cm. Ma è importante notare che gli scenari non sono previsioni e che i modelli dipendono da numerosi parametri, variando i quali si può ottenere tutto e il contrario di tutto. Gli scenari sono la quintessenza del catastrofismo: sono previsioni di cose che accadrebbero sotto condizioni altamente improbabili. Ecco un esempio di scenario: se domani andate a fari spenti nella notte contromano in autostrada per 100 km, allora avrete il 90% di probabilità, domani, di subire un incidente. Un’affermazione del genere non giustifica naturalmente la conclusione che domani avrete il 90% di probabilità di subire un incidente, per la semplice ragione che non andrete a fari spenti nella notte contromano in autostrada, neanche per 1 metro, né domani né mai. Eppure, i media spacciano gli scenari per previsioni sensate.

Inoltre, se seguendo con un modello gli effetti dello scioglimento di un ghiacciaio i risultati dicessero che nulla accadrebbe di interessante, allora quei risultati non sarebbero neanche degni di pubblicazione. Se invece, variando opportunamente i parametri del modello, lo scioglimento del ghiacciaio “predicesse” un qualche disastro climatico, allora quella “previsione” diventerebbe interessante per la pubblicazione, non solo in un normale quotidiano, per sua natura interessato alle notizie sensazionali, ma anche nelle riviste scientifiche, le quali contengono così solo quei risultati “interessanti” che, a loro volta, tanto più sono drammatici tanto più facilmente attirano l’attenzione dei media. L’ESA ha insomma fatto nascere un nuovo tipo di giornalista: il giornalista ambientale, il quale attira tanta più attenzione quanto più catastrofista è la notizia che riporta. Ad esempio, qualunque testo elementare di meteorologia insegna che la principale causa di violenti eventi meteorologici è la differenza di temperatura tra i tropici e i poli. Gli stessi testi insegnano che quando la temperatura globale è più elevata quella differenza è meno accentuata e, quindi, minori sarebbero quegli eventi violenti. Ma ciò non viene detto, perché a dirlo si sarebbe poco catastrofisti, cioè, alla fine, poco interessanti. Un altro esempio: veniamo terrorizzati che anche un minuscolo aumento di temperatura globale potrebbe causare catastrofici scioglimenti dei ghiacciai, ma la storia del clima della Terra non giustifica questo terrore, come insegna il caso della Groenlandia, che nel passato ha goduto di temperature ben più alte di oggi senza che i ghiacciai si siano sciolti. E ancora: i media riportano le repentine rotture dei ghiacci, suggerendo essere, esse, una conseguenza dell’ESA, ma non dicono che i ghiacci si muovono costantemente e oggi, grazie ai satelliti, possiamo seguirne i movimenti, con conseguenti rotture che sono eventi tanto frequenti quanto lo sono le foglie che cadono in autunno. I media riportano anche la prospettiva di un rapido aumento del livello dei mari. Il livello dei mari cambia continuamente a causa di due principali fattori: un fattore locale, che consiste nella variazione di dislivello tra il mare e la terraferma, spesso dovuto a movimenti della terraferma stessa; e un fattore globale, che più che per lo scioglimento dei ghiacci è dovuto all’espansione termica delle acque, un’espansione che è la risposta a variazioni di temperatura occorse, magari, centinaia di anni prima. Un altro motivo di terrore legato all’ESA è la possibile diffusione verso elevate latitudini di malattie tropicali, come la malaria. Ma la malaria non è una malattia tropicale: quando il Prof. Reiter, membro dell’Ipcc, fece notare che le zanzare sono abbondanti anche ai poli e che una delle più devastanti epidemie di malaria occorse in Siberia negli anni Venti del secolo scorso, con milioni di casi l’anno per diversi anni e con un totale di 600.000 morti, le sue osservazioni non furono recepite nella stesura dei rapporti dell’Ipcc, rapporti ove si inventò di sana pianta l’idea che la malaria avrebbe devastato zone della Terra sempre più a nord e ove si può leggere che «le zanzare che trasmettono la malaria non sopravvivono a temperature invernali inferiori ai 16-18 gradi». Per non vedere il proprio nome infangato con informazioni errate, il prof. Reiter chiese di essere cancellato dalla lista degli autori di quei rapporti, ma fu accontentato solo dopo aver intrapreso una formale azione legale. Il caso di Reiter non fu un caso isolato.

Purtroppo, la Thatcher non aveva previsto che la criminalizzazione della CO2 faceva comodo anche a quella moltitudine di individui e organizzazioni contrari ad ogni forma di industrializzazione, cui fu così fornito il capro espiatorio unico di tutte le loro proteste: la CO2. Lo sviluppo era stato reso possibile grazie al petrolio, al carbone (e, più tardi, al gas), la cui combustione produce energia, acqua e CO2. Escluse le prime due per ovvie ragioni, il nemico comune divenne la CO2: essere contro la CO2 significava essere contro il progresso industriale, il progresso economico e, alla fine, contro gli Stati Uniti d’America, artefice primo di quel progresso. L’antiamericanismo era naturalmente un modo d’essere antecedente ogni movimento ambientalista, ma con la caduta del muro di Berlino e con l’inconfutabile evidenza del totale fallimento delle ideologie di sinistra chi era contro gli Usa, per non trovarsi orfano, per così dire, della propria causa, ha trovato naturale abbracciare la causa del RG d’origine antropica che era, di fatto, un RG d’origine americana: la guerra all’America e al capitalismo diventò di fatto la guerra all’effetto serra.

L’avvento di nuove tecnologie per produrre energia sta dando un nuovo e più forte impulso alla isteria contro la CO2: le turbine eoliche e i pannelli fotovoltaici (FV) consentono di produrre energia elettrica senza immettere gas serra in atmosfera. Purtroppo, queste tecnologie, interessanti da un punto di vista accademico, sono un totale fallimento sia tecnicamente che economicamente. L’energia è un bene di cui l’uomo si serve quando ne ha bisogno e non quando soffia il vento o brilla il sole, per cui né le turbine eoliche né i pannelli FV hanno alcuna speranza di contribuire, se non per pochi punti percentuali e con costi colossali, all’energia di cui l’umanità ha bisogno. Ad esempio, per soddisfare i vincoli del solo protocollo di Kyoto l’Italia dovrebbe installare pannelli FV per 800 miliardi di euro: soddisferebbe lo stesso quei vincoli se spendesse 30 miliardi e installasse 9 reattori nucleari. Ma i movimenti ambientalisti combattono anche il nucleare, con la conseguenza che, in nome della lotta alla CO2, si gonfiano le tasche dei venditori di turbine eoliche e di pannelli FV senza che da questi la società riceva nulla in cambio: combattendo il presunto ESA e foraggiando l’impossibile energia solare altro non stiamo facendo che scavarci la fossa con le nostre stesse mani.

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